Auschwitz, quelle foto irrispettose in un campo di concentramento

Articolo di Francesco Pira

Quello di Auschwitz è il campo di concentramento più conosciuto al mondo, il più vasto mai realizzato dalla Germania nazista. Ci sono stato anni fa. Ho provato a raccontare quello che ho visto. Brividi e lacrime, quando ero dentro il campo. Stessa sensazione di rabbia e dolore mentre scrivevo. Bisogna andare per capire. E per questo ci sono stato. Altrimenti tutto è fosco, tutto è poco comprensibile. Ad Auschwitz, secondo le stime degli storici, persero la vita almeno un milione di persone. Il campo si trova nei pressi della cittadina di Oświęcim, in Polonia, che era appunto chiamata “Auschwitz” in tedesco.

L’ex campo di concentramento di Auschwitz oggi è un sito aperto alle visite e prende il nome di Memorial and Museum Auschwitz-Birkenau. Ho potuto osservare in prima persona i luoghi in cui furono attuate le peggiori atrocità volute dal regime nazista, e la possibilità di visitare il campo serve a mantenere viva la memoria di tutte le vittime innocenti dell’Olocausto, che qui persero la vita. Data la portata storica di questo luogo, l’Auschwitz Memorial ha sentito il bisogno, di esprimere il proprio dissenso verso certe fotografie scattate dai turisti in visita al campo. L’Auschwitz Memorial, sul suo profilo Twitter, ha voluto richiamare l’attenzione sui comportamenti inopportuni di alcuni visitatori, invitando a una seria riflessione.

L’Auschwitz Memorial ha pubblicato, nel 2019, un tweet in cui si mostrano alcune fotografie di turisti che giocano a rimanere in equilibrio sui binari. Si tratta degli stessi binari su cui un tempo passavano i treni diretti ad Auschwitz, carichi di persone che sarebbero state rinchiuse da lì in poi nel campo di concentramento. La leggerezza con cui i visitatori decidono di scattare simili fotografie ha generato una forte reazione da parte dell’Auschwitz Memorial, nel cui tweet si legge: «Quando venite all’Auschwitz Museum ricordate che vi trovate in un luogo in cui più di un milione di persone sono state uccise. Rispettate la loro memoria. Ci sono posti migliori dove imparare a camminare in equilibrio, rispetto al sito che rappresenta la deportazione di centinaia di migliaia di persone verso la loro morte». Il museo ha poi precisato che: “le foto non saranno vietate. Chiediamo solo ai visitatori di comportarsi in maniera rispettosa”. Ma nel 2020 gli episodi si sono ripetuti.

Lo stesso tema era già emerso tempo fa grazie al progetto di Shahak Shapira, intitolato “Yolocaust”, che intendeva far riflettere sulla superficialità del turismo di massa e sull’inadeguatezza del comportamento di certi visitatori dell’Holocaust Mahnmal di Berlino. Shahak Shapira ha raccolto una serie di fotografie scattate al Monumento alla memoria delle vittime dell’Olocausto, in cui i turisti sono ritratti mentre guardano sorridenti verso la fotocamera, si esibiscono in posizioni di yoga o eseguono numeri di giocoleria. Shahak ha poi ritagliato le sagome delle persone ritratte e le ha sovrapposte a fotografie storiche molto forti, che mostrano i corpi delle vittime dei campi di concentramento gettati nelle fosse comuni. Con una tale crudezza, il progetto Yolocaust vuole far riflettere sull’importanza di comportarsi in maniera rispettosa quando ci si trova in un luogo come l’Holocaust Mahnmal, realizzato in memoria dei sei milioni di ebrei uccisi nei campi di concentramento.

Interpretare questi eventi porta inevitabilmente a prendere in considerazione il concetto di “vetrinizzazione”, spiegato dal sociologo Zygmunt Bauman, perché consente di interpretare in modo unitario numerosi fenomeni sociali. Chiarisce, infatti, il processo di progressiva spettacolarizzazione e valorizzazione che negli ultimi due secoli ha investito i principali ambiti delle società occidentali: gli affetti, la sessualità, il corpo, l’attività sportiva, i media, il tempo libero, i luoghi del consumo, gli spazi urbani e persino le pratiche relative alla morte. Adesso, l’ uso dei social network ha portato alle estreme conseguenze il fenomeno della “vetrinizzazione”. Molti giovani per ottenere un like, o una visualizzazione, sarebbero disposti a tutto.

Questo è uno spaccato della società che, giorno dopo giorno, fa davvero paura. In fondo, riusciamo ad ottenere tanti like sulle piattaforme digitali ma, fuori dallo schermo, molte volte siamo completamente soli. La solitudine, del mondo reale, ci conduce verso un continuo bisogno di conferme alle nostre insicurezze e pur di apparire siamo disposti a calpestare anche quella che è stata la pagina più nera della storia dell’umanità. Bisogna fermarsi a riflettere, poiché stiamo davvero raggiungendo la deriva della logica, del senno e della ragione. Puntiamo sull’educazione emotiva, puntiamo sulla riscoperta dei valori, puntiamo sul rispetto dell’essere umano, poiché questa “disumanizzazione” logora, annienta, cancella, automizza. Si viene trasformati in non persone, in scheletri vaganti, occhi spenti e anime perse. Chi ci è stato in quel campo di concentramento ed ha rivissuto quella tragedia non riesce a pensare ai selfie sui binari, o a balletti dentro il campo o foto con dietro le ciocche dei capelli delle persone uccise. Educhiamo le giovani generazioni al rispetto. E’ doveroso.

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