La politica come arte, fine e tecnica

Articolo di Pietro Salvatore Reina

In questo tempo confuso e «liquido», vogliamo fare memoria tracciando un percorso e tenendo fisso dei punti d’orientamento che da Platone a Machiavelli possano ri-disegnare il nostro modo di vivere da uomini che abitano una città, uno Stato, una Nazione.

L’arte della «politica» rimanda a pólis, «la citta»: il luogo dove coabitano urbs e civitas, le pietre e gli uomini: le opere degli uomini sono incastonate nelle mura della città, nello spazio e perimetro civile del nostro io. Nell’urbs e civitas, con difficolta e bellezza, prendono forma i linguaggi, le funzioni e gli interessi di tutti (cfr. Ivano Dionigi, «Presentazione» in Elogio della politica. Centro Studi «La permanenza del Classico» 2008).

Il professore Ivano Dionigi, latinista e già Magnifico Rettore dell’Università di Bologna dal 2009 al 2015, nello scritto sopracitato ricorda che «la Res publica – diversamente dalla res privata – mette al primo posto il bonum commune, «il bene comune […] la politica precede l’economia, l’amministrazione, la tecnica. Incurante della dóxa, «l’opinione dominante», essa e dettata dall’epistéme, «il sapere scientificamente fondato»».

Il professore e filologo classico Federico Condello insegue e trova nel celeberrimo incipit della Politica aristotelica (1, 1253a) la celebre definizione dell’uomo quale «animale politico». In questo «classico» passo della Politica Aristotele (384-322 a.C.) l’uomo è posto a fondamento della famiglia e quindi dello Stato, che costituisce, teleologicamente, il fine ultimo di ogni forma di comunità (Politica 1252b 32).

Definito zoon politikon, l’uomo è dunque un animale portato, «per natura» (physei) a vivere in una comunità civile, in quanto unico, tra tutti gli esseri, ad avere la parola, e il solo in grado di percepire il bene e il male. (Cfr. F. Condello, L’uomo «animale politico» in Elogio della politica. «La permanenza del Classico» 2008).

L’odierna globalizzazione non può farci dimenticare la nostra grande tradizione e memoria politica. La techne politike («arte della politica») appartiene a tutti gli uomini per divina decisione: «Senso del rispetto e senso della giustizia devo distribuirli cosi, fra gli uomini? O devo distribuirli a tutti?». «A tutti», disse Zeus, «e che tutti ne abbiano una parte: perché altrimenti non potranno esistere citta, se solo poche persone ne godranno il privilegio, com’e per le altre specialità professionali. E stabilisci una legge, da parte mia: chi non ha senso del rispetto e senso della giustizia lo si mandi a morte, perché e come una peste per lo Stato». (Platone, Protagora 322d).

I ragionamenti sull’arte della politica – docet Niccolò Machiavelli che nel suo famosissimo trattato Il principe (1513-1514/18) offre le proprie idee sui segreti dell’arte dello stato, maturate in quindici anni di vita politica – devono partire, scaturire da considerazioni estremamente realistiche. L’arte della politica è una cosa strettamente necessaria e dura da vivere e sopportare. Politica – scrive Machiavelli – è conflitto, competizione per il potere. Ma per il segretario della seconda cancelleria della repubblica fiorentina la politica è lotta per il potere. Ma il politico secondo Machiavelli è un politico dotato di virtus: un potere per realizzare obiettivi, fini. Non un potere per il potere. Ma per il potere per fare, per costruire una «città» (urbs), una civitas dove possa prendere forma e vita il bonum commune, «il bene comune». I classici e i maestri del Pensiero costruiscano la nostra intelligenza, la nostra identità alla vigilia di un fine settimana dove siamo chiamati a edificare le nostre città.

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