Mondo candido (1975): un’allegoria surreale

Articolo di Gordiano Lupi

Regia di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi. Soggetto liberamente tratto da Candide di Voltaire. Sceneggiatura di Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi e Claudio Quarantotto. Fotografia di Giuseppe Ruzzolini. Montaggio di Franco Letti. Scenografie di Franco Vanorio. Musiche di Riz Ortolani. Prodotto da Camillo Teti per La Perugia Cinematografica. Distribuito da Euro International Film.

Interpreti: Christopher Brown (Candido), Jacques Herlin (l’inquisitore), Michelle Miller (Cunegonda), José Quaglio (dottor Pangloss), Richard Domphe (Cocambo), Gianfranco D’Angelo (il barone), Alessandro Haber, Marcello Di Falco, Steffen Zacharias, Giancarlo Badessi, John Stacy, Valerio Ruggeri, Sonia Viviani, Lorenzo Piani, Annick Berger, Mauro Perrucchetti, Giancarlo Cortesi, Carla Mancini, Salvatore Baccaro.

Mondo candido è l’ultimo film di Jacopetti uscito al cinema ed è l’unico lavoro a soggetto, di pura fiction, che possiamo attribuire al nostro regista che come al solito si avvale della collaborazione di Franco Prosperi. Marco Giusti definisce Mondo Candido come “una fellinata filosofica partendo proprio dal Candido di Voltaire e spaziando sul sesso, l’Irlanda, i rapporti tra arabi e israeliani e grandi temi sociali del momento”. Indubbia l’ispirazione a Fellini, vista la scelta di raccontare una non storia per immagini, momenti onirici e continui flashback.

Jacopetti e Prosperi non sembrano interessati alla razionalità della trama, che vive i suoi momenti migliori proprio nelle intuizioni surreali per dimostrare un discorso filosofico. Lavora alla sceneggiatura anche Claudio Quarantotto, critico cinematografico de Il Borghese, che fornisce un valido apporto intellettuale. Non è per niente vero che Jacopetti adatta il Candido di Voltaire alla misura dei suoi Mondo cane, come asserisce Pino Farinotti senza aver visto il film, perché niente è più lontano dalla poetica del mondo movie di un’opera basata su insoliti ragionamenti filosofici.

Candido viene educato dal dottor Pangloss nella convinzione di vivere nel migliore dei mondi possibili, ma si renderà conto che non è vero dopo aver compiuto un viaggio surreale attraverso secoli ed epoche storiche, alla continua ricerca dell’amata Cunegonda. Il film gode di scenografie suggestive e di momenti surreali che valgono da sole la visione della pellicola, unitamente a una suadente colonna sonora composta da Riz Ortolani. Vediamo in apertura il giovane e ingenuo Candido vagare nel giardino di un barone e soffermarsi a parlare con la statua di Atlante che per stirare i muscoli gli consegna il mondo in mano.

Un’allegoria surreale che serve a presentare un personaggio puro e casto, una persona che conserva scritto in viso ciò che pensa. L’amore di Candido è tutto per la bella Cunegonda, figlia ingenua e desiderabile del barone, anche se il resto della storia la presenterà in vesti diverse. Pure qui siamo di fronte al solito discorso vagamente misogino di Jacopetti che ci tiene a mettere in mostra le tecniche dell’inganno femminile. Il filosofo della situazione è il dottor Pangloss che si sforza di far capire a Candido come ogni cosa abbia uno scopo nella vita. Per esempio maiali e uccelli servono per mangiare, perché tutto va bene nel migliore dei mondi possibili.

La mensa imbandita è pantagruelica, attorno vediamo personaggi felliniani come una donna con tre seni, un cuoco gigante e un cuoco nano, ma soprattutto commensali che mangiano e defecano. Ogni cosa ha un suo scopo, recita Pangloss, che tra un sermone e l’altro apprezza le natiche rotonde di una bella contadinella. Candido fa l’amore con Cunegonda, ma viene scoperto da un assurdo barone interpretato da Gianfranco D’Angelo che irrompe sulla scena a ritmo di can can. Candido ha disonorato la figlia del barone, per questo viene cacciato via dal castello e comincia un esilio surreale attraverso situazioni fantastiche.

Finisce in un accampamento di soldati che lo fanno mangiare, lo spingono a volare in onore al re dei bulgari e a morire per un ideale. Vediamo un esercito di soldati che sfoggiano assurdi cappelloni rossi, uomini di cartone bruciati da un lanciafiamme e infine un esercito moderno che elimina il nemico e tutti gli eroi dal migliore dei mondi possibili. Simboli che si sprecano a non finire e che Jacopetti inserisce nel contesto della pellicola: inutilità degli eroi, poca consistenza degli ideali, inutilità – per dirla con De Andrè – di morire per delle idee.

Salvatore Baccaro interpreta al naturale un orco orribile che vorrebbe far l’amore con una ragazza morta, ma viene ucciso in tempo da Candido. A un certo punto il nostro eroe viene a sapere che un esercito di satanassi ha assalito il castello del barone per violentare e uccidere, ma soprattutto che la sua amata Cunegonda ha perso la verginità. “Questo non è il migliore dei mondi possibili…”, mormora l’ingenuo protagonista. Pangloss insiste, perché ogni male individuale contribuisce al bene collettivo e rincara la dose affermando di non credere al peccato originale e al libero arbitrio.

Arriva la Santa Inquisizione per fare piazza pulita delle idee eretiche con rogo e strumenti di tortura per uccidere le donne dopo averle chiuse nei sacchi insieme ai gatti. Candido viene soltanto sculacciato, ma Pangloss è impiccato perché la sua colpa di non credere nel peccato originale è troppo grande. Candido salva dalla morte lo schiavo nero Cocambo riconoscendolo come suo servo, subito dopo appare Cunegonda, ancora viva, ma violentata centoventisette volte dagli assalitori. Adesso la ragazza ha due padroni: un ebreo e un inquisitore e possiede pure quattro amanti, tra questi un chitarrista e un governatore sudamericano. Candido è sconvolto, perché sembra che tutti siano legittimati a possedere Cunegonda ma non lui, anche perché lei confessa di aver avuto così tanti amanti da non ricordare il numero.

Tra l’altro la donna non è un esempio di virtù, perché si concede alla violenza con piacere e alla fine la vediamo rapire dai suoi amanti a bordo di una nave. Candido si imbarca sula nave diretta verso il nuovo mondo, la sola speranza degli uomini, perché la gente è tutta uguale e c’è la democrazia. Tanto per non far cadere il tono strampalato e surreale della pellicola, la nave che trasporta Cunegonda vede imbarcare Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, Al Capone e Marylin Monroe…Vale la pena ricordare che questa felice intuizione di Jacopetti è stata ripresa da Woody Allen. Improvvisamente la scena passa alla New York dei nostri giorni, in occasione del Columbus Day, dove vediamo il dottor Pangloss affermare: “Grazie per il nuovo mondo che è senz’altro il migliore dei mondi possibili”.

La critica alla società statunitense è evidente, pure se il filosofo esalta il nuovo mondo vediamo Cunegonda che vive facendo la porno star. Jacopetti e Prosperi parlano dell’Irlanda del Nord e della guerra separatista, ironizzano sulla guerra civile, raccontano per immagini le case distrutte dalle bombe e la quotidiana insicurezza. Un bambino fa fuori due soldati con una bomba a mano inesplosa, mentre una chiesa viene distrutta e il gruppo separatista irlandese si fa chiamare Ira. Adesso Cunegonda viene rappresentata come una santa all’interno di una chiesa diroccata, mentre un esercito di sole donne strappa immagini di Cunegonda dal muro.

Resta il tempo per parlare della guerra tra ebrei e palestinesi, perché Cunegonda è scappata con un fedayn, ma in un campo di papaveri si contano i morti in battaglia. La danza di morte nel campo di papaveri è la scena più suggestiva di tutto il film, girata al rallentatore e dotata di un ottimo commento musicale realizza il connubio poetico tra amore e morte. A questo punto lo spettatore si vede precipitare in un mondo surreale dove i figli dei fiori producono roba inutile per buttarla nel fiume senza rimpianti. In questo mondo c’è persino una macchina per fabbricare i sogni e la suprema entità religiosa è un derviscio che sa tutto ma non risponde quasi mai.

Addirittura c’è chi dice che sia morto. La scenografia sembra imitare le atmosfere del cinema postatomico mentre i personaggi tornano in scena come nella pochade per la bagarre finale, a ritmo di can can. Perché hanno creato un animale strano come l’uomo? Il derviscio non risponde a una domanda così assurda, chiude la porta e non discute, non è interessato al perché sulla Terra ci sia tanto male. Pangloss, invece, risponde alla domanda sul perché la gioventù passa in fretta ed espone la tesi del vantaggio della bruttezza sulla bellezza. La bellezza non dura, la bruttezza è eterna. “Tutto è creato per il migliore dei fini possibili”, aggiunge il filosofo. I giovani gettano nel fiume i simboli di vecchi errori: fascio, svastica, falce e martello…

Mondo candido è un apologo sul senso della vita, ricco di simboli e di riferimenti alla situazione contemporanea nascosti sotto una patina di fantastico. Candido non è più giovane, ha vissuto abbastanza per essere diventato saggio, vede un nuovo se stesso affrontare il cammino che lui ha già percorso, ma non può impedirgli di commettere errori, di andare nella sua stessa direzione e di ricevere gli stessi calci di cui è stato vittima. La pellicola è un vibrante apologo sulla giovinezza, sulla temerarietà di uno spirito candido pronto a sfidare il mondo per cercare il vero amore e un’ideale di verità.

Il Candido di Voltaire è l’idea di partenza per tratteggiare una sorta di ideologia neoilluminista tipica di Jacopetti, basata su una critica alla religione e sulla sfiducia nella natura umana. Il mondo di Jacopetti c’è tutto, come ci sono le sue idee critiche nei confronti dell’utopia hippy, la denuncia della Santa Inquisizione e delle inutili guerre di religione.

Il film non è uno dei migliori lavori di Jacopetti, che verrà ricordato per i mondo movies ma non per questa pellicola produttivamente ricca e zeppa di idee, ma realizzata in maniera troppo simbolica ed eccesiva per colpire nel segno. Gualtiero Jacopetti non ama il film, anche perché non ci fu una collaborazione positiva con il sodale Franco Proisperi e i rapporti con la produzione furono sempre tesi. 

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