Cittadini, governi e crisi climatica

Articolo di Manlio Distefano

Il problema ambientale è ormai considerato centrale da parte non solo dei cittadini, ma teoricamente da parte della maggior parte dei governi, soprattutto europei. Non è difficile trovarsi d’accordo su questo argomento, anche quando si parla con persone con cui non condividiamo le idee politiche o la visione del mondo. Allo stesso tempo, sembriamo essere tutti consapevoli che nessuno di noi fa effettivamente abbastanza per l’ambiente.

Sebbene io sia sempre molto attento alle notizie sul cambiamento climatico, mi piaccia leggere libri e vedere documentari sull’argomento, mi rendo conto ogni volta che le mie abitudini sono cambiate in maniera quasi impercettibile rispetto a prima. Ho bandito le bottiglie di plastica in casa, non del tutto in verità, e uso poco la macchina, ma non l’ho mai amata quindi la coscienza ambientale qui c’entra poco. Guardandomi intorno ho notato che anche gli altri miei amici e conoscenti che si interessano al tema non hanno cambiato più di tanto la propria vita.

Quello che sembra riscontrarsi anche fra chi è più sensibile al problema è la tendenza a fare il minimo indispensabile per essere a posto con la propria coscienza come se davvero bastasse cambiare le lampadine ad incandescenza con quelle a LED per risolvere l’emergenza climatica.

L’introduzione di questo articolo potrebbe fare pensare che esso riguardi solo ciò che noi possiamo fare e come possiamo fare di più, tutte questioni valide e importanti. In realtà la mia tesi è diametralmente opposta: possono davvero le nostre singole scelte essere sufficienti a salvare il mondo?

È vero che la nostra società ci insegna costantemente che la scelta del singolo è fondamentale e che la nostra opinione è importante, e tutti noi crediamo nel valore e nell’importanza della volontà dell’individuo, base della democrazia. Ugualmente è difficile credere che sia possibile che miliardi di persone decidano finalmente di agire nella stessa direzione per risolvere il problema ambientale. La volontà del singolo individuo potrebbe essere molto utile per votare governi più sensibili al tema ambientale, ma risulta meno efficace nel momento in cui si tratti di applicare dei comportamenti d’impatto davvero significativo.

Il problema è capire se sia realistico affidarsi del tutto alla nostra libera scelta in quanto cittadini. Mi sembra altamente difficile che tutti possano da un giorno all’altro decidere di riciclare, di non mangiare più carne e di viaggiare meno in aereo. Certo, abbiamo già torme di giovani volenterosi di fare la propria parte, e quando ho vissuto in Germania ne ho incontrati tantissimi, tanto che anch’io sono stato motivato a fare di più personalmente. Ma non è sufficiente una minoranza agguerrita quando il resto della popolazione mondiale non li segue.

È molto più difficile riciclare in un paese dove non c’è alcuna certezza su dove vadano a finire i rifiuti opportunamente differenziati, o dove ad esempio non ci sono nemmeno i cassonetti per differenziarli. È ben diverso riciclare in una città in cui poi alla sera i rifiuti vengono tutti conferiti nell’indifferenziata e in una dove si ha la garanzia che essi siano effettivamente riciclati. Non è davvero una scelta privilegiare i mezzi pubblici in una città in cui essi non sono adeguati alle esigenze dei cittadini.

Dobbiamo anche ricordare che in molti paesi i comportamenti ecosostenibili sono un lusso. Non sembra un caso che i paesi del nord Europa non siano solo quelli con una migliore istruzione, e quindi una migliore educazione ambientale, ma anche quelli dove la situazione economica garantisce maggiormente la possibilità di sopportare dei piccoli sacrifici per un risultato positivo per l’ambiente. Senza dimenticare, ad esempio, che in un paese come la Norvegia quella stessa ricchezza deriva dallo sfruttamento del petrolio o che la Germania sia un grande produttore di auto che vengono poi vendute ai paesi del sud, mentre contemporaneamente a Berlino si discuta di bandirle.

Un secondo problema è il dissidio fra libertà e coercizione. Da un lato si può ritenere che sia più giusto lasciare ai cittadini la libera scelta sui propri personali comportamenti ecosostenibili; dall’altro che sarebbe meglio costringerli a compiere determinate scelte. Se per un verso rafforzare i trasporti pubblici e la differenziata può aiutare, dall’altro è difficile cambiare radicalmente la vita dei cittadini, soprattutto se si entra nella loro sfera più intima e privata.

A questo punto è difficile capire quale sia la strada corretta da seguire. Da un lato la strada dell’incentivo, del divieto mirato, dall’altra la strada della coercizione dura e pura: ci troviamo in una situazione di emergenza ambientale e dobbiamo tutti fare la nostra parte, da oggi dovete comportarvi così. Nell’era del COVID, d’altronde, vediamo spesso l’utilizzo del termine emergenza per giustificare provvedimenti largamente limitativi delle libertà personali.

Infine, il concentrarsi su ciò che i singoli cittadini possono fare sembra sviare dalla vera questione: il sistema economico che sostenta questo disastro ambientale. È inutile nascondere che un calo dei consumi, necessario per diminuire la pressione sull’ambiente, non è compatibile con l’idea della crescita perpetua del sistema capitalista. Non è possibile conciliare una produzione in costante crescita con l’esaurimento delle risorse e il deterioramento del nostro ambiente. In molti nutrono anche dubbi sulla possibilità che le rinnovabili possano permetterci una crescita paragonabile a quella attuale senza una effettiva riduzione dei consumi globali, o sull’effettivo impatto zero che esse avrebbero sull’ambiente, che in realtà non pare confermato sul campo e considerando le risorse e i materiali necessari a realizzarle.

Non si tratta, pertanto, di piantare un albero in più o di usare meno la nostra auto. Si tratta di accettare un cambiamento radicale nel nostro stile di vita, perché non è possibile garantire un tenore di vita come quello che l’occidente ha sostenuto fino ad oggi alla totalità di una popolazione globale tuttora in aumento. L’idea di uno sviluppo globale e universale potrebbe rivelarsi un colossale inganno.

Basterà, dunque, cambiare il nostro stile di vita o sarà necessario anche che gli stati e le grandi potenze cambino le proprie scelte a livello globale?

Foto: greenpeace.org

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