E’ ancora possibile la poesia? Un «grido lirico» da Montale alla Glück

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 12 ottobre 1896 nasce a Genova Eugenio Montale, uno fra i massimi poeti italiani del Novecento. Premio Nobel per la Letteratura nel 1975. In occasione (sostantivo, quest’ultimo tanto caro al nostro poeta, Le occasioni, infatti, è il titolo della seconda raccolta poetica pubblicata da Einaudi nel 1939) della consegna del Nobel Eugenio Montale proferisce un discorso che ancora oggi «suona» e «ri-suona» attualissimo: «è ancora possibile la poesia? […] La poesia non è una merce […] È come chiedersi se l’uomo, di domani, di un domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte fin dal primo giorno della Creazione…».

La vera novità della poesia di Montale sta nel suo valore conoscitivo. La poesia di Montale è semplice strumento di conoscenza e decifrazione della realtà in cui viviamo. La poesia di Montale stabilisce un dia-logo, un «rapporto con gli altri offrendo a tutti la propria opera nella quale esprime e sublima lo struggimento crucciato di chi sperimenta in prima persona la difficoltà comune di stare al mondo. Il significato morale e civile di questa poesia consiste nell’invito reiterato a un atteggiamento di dignità di fronte all’invivibilità della vita». (Vittorio Spinazzola). «La poesia di Montale conclude un processo di interpretazione che ha il suo inizio, mai in seguito veramente portato avanti, nella poesia di Leopardi». (Franco Fortini, I poeti del Novecento).

Eugenio Montale, a trentanove anni dalla scomparsa, è ancora più che mai il poeta di una modernità alle prese con le sue angosce irrisolte, con le sue nevrosi («Spesso il male di vivere ho incontrato»). La poesia e la poetica del nostro poeta genovese riflette la crisi dei valori della vita dell’uomo. Una vita oggi segnata e ferita da una epidemia mondiale che «mostra il doppio volto dell’Altro: quello di Caino, e del fratello che ci salva» (Massimo Recalcati, La Stampa, Tuttolibri, 12 settembre 2020).

Negli ultimi anni di vita, Montale, riversa – e non la rallenta come in molti pensano – la sua produzione in articoli culturali, reportage di viaggi pubblicati da Il Corriere della sera. Le colonne del giornale di via Solferino sono lo strumento attraverso il quale testimonia, con acume, la sua politica culturale che cerca e ricerca la via che porta alla humanitas. La grandezza della poetica e della poesia di Montale, infine, si rivela nell’analisi profetico-poetica che scorge non solo crisi e nevrosi ma l’inquieta e confusa metamorfosi del mondo borghese in una civiltà di massa non solo omologata, consumistica, vuota ma tesa in un incontro-scontro-lotta tra «reale e virtuale». In questa gigantomachia sempre più in fieri «… è ancora possibile la poesia?». Il Nobel per la Letteratura assegnato giovedì scorso a Louise Glück forse potrebbe un dono, una risposta, un augurio alle domande, alle lotte, alle nevrosi che segnano e attraversano il mondo («reale e virtuale», sic!). In una poesia (Nostos) di Louise Glück è incastonata una chiave di risposta che segna l’intera letteratura universale di sempre: «Guardiamo il mondo una volta, da piccoli. / Il resto è memoria». (We look at the world once, in childhood. The rest is memory). La novità della poesia di Montale, della Glück – tout court – sta tutta nel suo profondo valore conoscitivo.

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