Accadde al penitenziario (1955), uno dei film più riusciti di Giorgio Bianchi

Articolo di Gordiano Lupi

Regia: Giorgio Bianchi. Soggetto: Felice Zappulla. Sceneggiatura: Ruggero Maccari, Ettore Scola e Giovanni Grimaldi. Musiche: Nino Rota, dirette da Franco Ferrara. Fotografia: Tonino Delli Colli. Produzione: Titanus – Fortuna Film. Interpreti: Aldo Fabrizi, Alberto Sordi, Walter Chiari, Peppino De Filippo, Mara Berni, Nino Besozzi, Mario Riva, Riccardo Billi, Turi Pandolfini, Enrico Luzi, Carlo Romano, Ignazio Balsamo, Memmo Carotenuto, Mino Doro, Ciccio Barbi.

Giorgio Bianchi (Roma, 1904 – 1967) debutta nel 1925 come attore di film muti, passa al sonoro e si occupa di direzione del doppiaggio fino al 1941. Direttore di produzione e aiuto regista, supervisore di alcune pellicole interessanti, persino soggettista, ma sempre di genere comico. Debutta alla regia nel 1942 con La maestrina e si conferma abile negli adattamenti cinematografici di testi teatrali con La nemica (1952), entrambi scritti da Niccodemi. Il suo stile è perfetto per la direzione di commedie, spesso scanzonate e rosa, altre volte permeate di blande implicazioni sociali. Ha diretto i migliori talenti comici del cinema italiano: Gilberto Govi (Che tempi!, 1947), Alberto Sordi e Vittorio De Sica (Il conte Max, 1957; Il moralista, 1959), Totò e Peppino De Filippo (Totò e Peppino divisi a Berlino, 1962), Ugo Tognazzi e Aldo Fabrizi.

Accadde al penitenziario (1955) è uno dei film più riusciti di Giorgio Bianchi. Il personaggio principale, che lega le varie storie dei condannati in uno schema simile a Un giorno in pretura (1954) di Steno e Accadde al commissariato (1954) di Giorgio Simonelli, è Aldo Fabrizi, un secondino bonaccione vessato dai detenuti e dal superiore. La sceneggiatura del film segue la lettura del quaderno del secondino dove ogni carcerato scrive la storia della sua detenzione. L’ambientazione carceraria è irreale, un ambiente edulcorato, dove i detenuti sono amici, scherzano tra loro, solidarizzano, fraternizzano con il secondino e costituiscono una vera e propria comunità. Siamo in una commedia rosa, tutto sommato, non è fondamentale il realismo, ma la comicità delle situazioni, mentre la realtà si stempera nelle tipologie dei personaggi. Soggetto e sceneggiatura non sono né logici né realisti, ma la pellicola è ugualmente interessante e si ricorda per interpretazioni magistrali.

Peppino De Filippo è un figlio di detenuti, nato al carcere delle Mantellate, incapace di vivere fuori dalle mura di una prigione. Una volta scarcerato, mangia senza pagare in un grande ristorante, fa di tutto per farsi arrestare e impone al poliziotto di essere condotto in questura. Alberto Sordi interpreta un folle personaggio arrestato per ubriachezza molesta e partecipazione a un furto, dopo essere stato colto sul fatto da un metronotte.

Fantastica la scena in questura e lo scambio di battute con il vice commissario, che ricorda la parte recitata con Nino Taranto in Accadde al commissariato. “Chiami il commissario, lui ha studiato, ha una laurea, lui capirà. A lei è andato tutto bene nella vita, per questo non si è mai ubriacato. Tutto bene, certo, a parte la carriera, perché è rimasto vice…”. Pura comicità fantastica, senza nessun aggancio alla realtà, un pezzo cabarettistico, teatrale, impostato sul rapido scambio di battute tra comico e spalla. Walter Chiari è la vittima di un bidone da parte di una bella truffatrice (Mara Berni) che finisce per sottrargli un diamante di grande valore. Mario Riva e Riccardo Billi sono più in ombra, le loro doti comiche sono minori rispetto agli interpreti degli episodi principali, ma compongono piacevoli momenti farseschi all’interno della prigione. Si pensi allo sciopero della fame e alla zuppa condita con dentifricio e tabacco che il secondino dal cuore d’oro è costretto a ingerire. Ottimo Aldo Fabrizi, innamorato dei suoi condannati, che accudisce come un padre bonario, subendo con rassegnazione scherzi e capricci. Nel finale Mara Berni si redime e riconsegna il diamante al secondino perché il detenuto venga liberato. “La vita di una persona vale più di un diamante”, dice. Tutto molto edulcorato. Palestra dei buoni sentimenti. Piacevole.

Giudizi critici. Paolo Mereghetti (due stelle): “Specie di clone di Accadde al commissariato, ancor più gratuito nella giustapposizione degli episodi. La slegata da ogni logica, la sceneggiatura lascia libero sfogo alla genialità degli attori: da De Filippo, figlio di detenuti nato lui stesso in carcere (si definisce mantellatese perché venuto al mondo alle Mantellate), che teme di dover uscire di prigione, a Mario Riva, che sogna scenari truculenti come nei film americani; da Walter Chiari, innamorato della truffatrice (Berni) che gli ha sottratto un diamante, ad Alberto Sordi, ubriacone coinvolto involontariamente in un furto, irresistibile quando vuole mettere in discussione l’autorità del vicecommissario. Su tutti il bonario masochismo di Fabrizi, specie di Oliver Hardy romanesco destinato a essere continuamente sconfitto”. Morando Morandini (una stella e mezzo la critica, tre stelle il pubblico): “Antologia di barzellette e di aneddoti da settimanale umoristico (romano), cuciti col filo conduttore di un secondino (Fabrizi). Uno degli 8 film interpretati nel 1955 da Sordi, qui nello sketch di un ubriaco”. Pino Farinotti concede due stelle senza motivare.

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