“Il maestro di Vigevano”, una commedia dolceamara

Articolo di Gordiano Lupi

Regia: Elio Petri. Redazione Cinematografica (Sceneggiatura): Age, Furio Scarpelli, Elio Petri. Tratto dal romanzo omonimo di Lucio Mastronardi. Fotografia. Otello Martelli. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Musica: Nino Rota. Diretta: Franco Ferrara. Edizioni Musicali Dino (Roma). Aiuti Registi: Vana Caruso, Berto Pelosso. Operatore alla Macchina: Arturo Zavattini. Direttore di Produzione: Giorgio Morra. Scenografia e Ambientazione: Gastone Corsetti. Costumi: Lucilla Mussini. Arredatore: Giovanni Checchi. Teatri di Posa: Dino De Laurentiis Cinematografica SpA. Produzione: Dino e Alfredo De Laurentiis. Negativi e Positivi: Istituto Luce. Colore: Bianco e Nero. Interpreti: Alberto Sordi, Claire Bloom (Ada), Vito De Taranto, Ya Doucheskaya, Guido Spadea, Eva Magni, Piero Mazzarella, Lilla Ferrante, Ezio Sancrotti, Anna Carena, Umberto Rocco, Carlo Montini, Adriano Tocchio, Tullio Scovazzi, Enzo Savone, Gustavo D’Arpe, Ignazio Gibilisco, Bruno De Cerce, Nando Angelini, Egidio Casolari, Agniello Costabile, Franco Moraldi, Olivo Mondin, Joris Muzio, Luciano Muzzi, Franco Tuminelli, Lorenzo Logli, Gaetano Fusari.

Il maestro di Vigevano è una commedia dolceamara ambientata da Elio Petri nel centro principale della Lomellina, la capitale dei calzaturifici, un posto dove “l’occhiata si ferma ai piedi”, come ammonisce la voce narrante sin dalle prime sequenze. Il tono della pellicola è narrativo, circolare, da romanzo per immagini, sottolineato dalla voce fuori campo – lo stesso Sordi – del maestro che racconta le sue vicissitudini. Il bel romanzo di Lucio Mastronardi è reso con efficacia, fotografato da un livido bianco e nero che indulge in panoramiche sul lungo fiume e nel centro cittadino, senza dimenticare sequenze di vita operaia. Antonio Mombelli (Sordi) è un remissivo maestro elementare con 19 anni di servizio, vessato e umiliato da tutti, persino da un grottesco direttore (De Taranto) e da un arrogante imprenditore – padre di un alunno – che considera la cultura tempo perso. A casa le cose non vanno meglio. La moglie Ada (Bloom) vorrebbe vivere nel lusso, fare vacanze a Parigi, sfoggiare vestiti eleganti, ma non può perché il marito guadagna poco, meno di un operaio. Il figlio è una delusione, perché non è portato per gli studi, ma il padre non vuole che lavori, così come non vorrebbe che la madre si impiegasse come operaia in un calzaturificio per arrotondare il magro stipendio. A un certo punto Ada mette su una piccola azienda casalinga, dopo aver convinto il marito a dimettersi dall’insegnamento, ma l’attività finisce male per la dabbenaggine del maestro che spiffera agli amici oscuri traffici per non pagare le tasse. Il maestro vede la sua vita andare a rotoli, decide di studiare e di rientrare a scuola, nel frattempo la moglie lo tradisce con il solito imprenditore, fino al giorno in cui muore in un incidente stradale. Il maestro difende il suo onore, non ammette il tradimento, nega l’evidenza della moglie morta a bordo dell’auto del rivale, poi riprende la solita vita e inizia un nuovo anno scolastico.

Un film delicato, struggente, ambientato nel mondo della scuola. “I maestri sono come i bambini. Basta un nulla per farli felici”, dice la voce narrante. La pellicola è popolata da personaggi deboli e perdenti, incapaci di affrontare la vita, come il maestro supplente che finisce per suicidarsi gettandosi sotto un treno in corsa, unico vero amico di Antonio. Il regista narra le piccole cose della vita di provincia di un’Italia rurale e retorica, che comincia ad aprirsi ad artigianato e industrializzazione, descrive gli effetti di un boom economico, fatto di imprenditori ignoranti che disprezzano colti maestri. Vediamo gli insegnanti parlare tra loro, contendendosi i figli di artigiani e rampolli benestanti, meno problematici rispetto ai figli di operai. Si sogna guardando la televisione nei bar, perché il cinema è un lusso, ma con la misera paga di un maestro anche vestiti eleganti e scarpe nuove sono una chimera. Sordi presta il volto a un perdente esemplare, umiliato da tutti, ricattato da un genitore arrogante, vessato da un direttore pieno di sé, bistrattato da una moglie che non lo ama. Il solo a capirlo è il maestro supplente, ma entrambi sono incapaci di vivere un’esistenza che vorrebbero troppo diversa, più semplice e tranquilla, come non può essere la vita. Il maestro non riesce a fermare la sua donna che vuole lavorare per guadagnare di più, si riduce a fare il casalingo, fa il doposcuola per arrotondare, prova a lottare per i diritti sindacali della categoria. Niente va per il suo verso. Fare l’imprenditore è l’ultimo degli errori, perché la sola vocazione di Antonio, fare il maestro, finisce per essere tradita. Un film che a tratti diventa melodrammatico, racconta vizi e difetti della provincia, descrive il fallimento di chi non si adatta a un mondo che cambia, realizza un’epopea delle piccole cose di pessimo gusto tanto care a Gozzano. Ottime alcune parti oniriche, soprattutto quando Sordi sogna la scuola e immagina la moglie nei panni di Eva in un assurdo Paradiso. Per Antonio la scuola è tutto, unica ragione di vita, al punto che finisce per tornarci, anche se deve soffrire per il tradimento della moglie e piangere la sua morte. Finale circolare, che Petri riporta alle immagini iniziali, con un nuovo anno scolastico, i discorsi di sempre, bambini che entrano a scuola accompagnati dalle madri e maestri che discutono del niente. Antonio Mombelli è ancora al suo posto, succube come sempre, umile, perdente fino in fondo nei confronti della vita. Ottima la musica di Nino Rota che sottolinea il crescendo melodrammatico, ideale per una simile tema narrativo. Paolo Mereghetti (tre stelle e mezzo): “Incarnando il protagonista dell’omonimo romanzo di Lucio Mastronardi, Sordi offre una delle sue più crudeli e sofferte interpretazioni: lungi dall’essere il carattere poco riuscito di cui molti parlarono. Antonio Mombelli è il mirabile ritratto di una sciocchezza studiata, scavata, sofferta fino in fondo, una sciocchezza simbolica (…), la metafora dell’indifferenza freddezza stanchezza di tutta una classe (Soldati), che finisce per pagare sulla propria pelle l’altra faccia del boom. Paladino di una dignità professionale di cui lui stesso sperimenta i limiti (vedi la pochezza umana e culturale dei colleghi), schiacciato da una realtà che si rivela sempre squallida e deludente (e che le scivolate impressionistiche – del libro e della sceneggiatura – sottolineano con una crudezza inusitata per quegli anni), quello del maestro è un personaggio tutto in nero, nichilista e autodistruttivo, che non può lasciare indifferenti”. Morando Morandini (due stelle e mezzo, tre per il pubblico): “Fuori parte in un personaggio di settentrionale, Sordi è imbarazzato e lo interpreta sul registro contraddittorio della macchietta e della commozione. Elio Petri ci aggiunge troppo moralismo”.  Non condividiamo niente di quanto scrive Morandini, anche perché il personaggio di Sordi non è da settentrionale; al critico è sfuggito quando il maestro dice di essere rimasto a Vigevano dopo aver conosciuto Ada, quando faceva il militare. Moralismo non ne abbiamo visto per niente. Tutt’altro. Pino Farinotti concede tre stelle, ma si limita a raccontare una sintetica trama senza sprecare giudizi. In definitiva un ottimo film, nei canoni della commedia all’italiana, originariamente pensato per Tognazzi e Risi, ma interpretato con bravura da Sordi e diretto con mestiere da un Petri che ama andare sopra le righe. Enrico Giacovelli ne La commedia all’italiana (Gremese) afferma che i rapporti tra Sordi e Petri non erano proprio idilliaci, perché “il primo voleva fare del maestro un personaggio credibile e il secondo intendeva rispettare il testo di Mastronardi come se fosse la Divina Commedia”. L’interpretazione di Sordi di un uomo onesto incapace di fare strada in una società come la nostra resta comunque memorabile.

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