“I crudeli”, l’apoteosi del western più sadico e violento

Articolo di Gordiano Lupi

Sergio Corbucci (Roma, 1927 – 1990) è uno dei nostri più bistratti artigiani, anche se siamo di fronte a un regista geniale, dotato di tecnica sopraffina e grande capacità di passare da un genere all’altro. Nasce giornalista, debutta alla regia a ventisei anni con il melodramma Salvate mia figlia (1951), dopo aver studiato alla bottega di Aldo Vergano. Il dramma popolare per un certo periodo di tempo rappresenta il suo mondo, visto che il genere fa successo nei cinema di provincia; subito dopo si dedica al cinema comico, confezionando piccoli gioielli di commedie (Totò e Peppino e la dolce vita, 1960, I due marescialli, 1962  …), spesso interpretate da Totò. Il cinema western è il settore dove ci regala le cose più originali, perché prende il genere e lo riempie di contenuti sociali, condendolo di violenza e sadismo. Basti vedere pellicole come Django, I crudeli, Vamos a matar … e Il mercenario. Sergio Corbucci non si ferma con la fine dello spaghetti western, gira commedie gialle (La mazzetta) e molti film comici di sicura presa popolare (Il conte Tacchia, Rimini Rimini).

I crudeli (1967) rappresenta l’apoteosi del suo western più sadico e violento, dopo Django e Johnny Oro; film amato da Tarantino (ventesimo nel suo gradimento personale), racconta la storia di un invasato colonnello sudista che compie una strage per derubare ai nordisti un ingente quantitativo di denaro. La guerra di secessione è finita da tempo ma il sogno del pazzo idealista è quello di ricostruire un esercito confederale per dare vita a una nuova guerra per l’indipendenza. Il colonnello è un vero e proprio padre padrone che si fa aiutare dai tre figli nell’impresa e da una donna che deve giustificare il passaggio di una bara, che non contiene un inesistente marito morto ma il denaro. Ne viene fuori un film violento che racconta una storia senza redenzione di una famiglia maledetta, con scontri a fuoco girati all’americana ed eccellenti momenti di suspense. Colonna sonora di Morricone, che non piace a Matteo Mancini (Spaghetti western, volume 2, Il Foglio Letterario Edizioni, 2014),  ma che ritengo tra le cose migliori del nostro grande artista. Tra l’altro vanno citate buone parti jazz sottolineate dalla tromba del valido Nunzio Rotondo. Montaggio rapido e consequenziale di Baragli e Gallitti; fotografia luminosa di Barboni che realizza un perfetto clima western tra le montagne spagnole. Ruggero Deodato è uno degli assistenti alla regia, proprio come in Django, con compiti minori, ma la scuola di Corbucci sarà importante per il suo futuro cinema violento e amorale. Sceneggiatura adattata da un buon romanzo americano (Guns of North Texas di Will Cook), modificata da Ugo Liberatore – futuro buon regista di esotico – erotico e di cinema avventuroso – e dallo spagnolo Maesso. I personaggi sono ben caratterizzati psicologicamente, soprattutto il padre, un grande Joseph Cotten doppiato da Emilio Cigoli, tratteggiato nella sua follia antinordista, fino alla sequenza terminale che lo vede portare in salvo la bandiera. I tre figli sono diversificati bene, tra la pazzia sadica di Jeff (doppiato da Proietti) fino alle diverse sfaccettature di Nat e Ben. Importante la figura femminile di Claire (la brasiliana Norma Bengell, una vera diva in patria), che al campo nordista tradisce il gruppo e favorisce il finale tragico, in una sorta di resa dei conti generata dalla follia erotica di Jeff. Sorpresa e colpo di scena finale con la bara che si apre e mostra il cadavere di un messicano giustiziato dai nordisti al posto del denaro. La fine del malefico gruppo è dovuta soltanto ai loro componenti, non ci sono elementi esterni che minano la solidarietà familiare, ma è la famiglia a sgretolarsi. Un nuovo triello firmato Corbucci sancisce la fine della storia. Film che subisce il divieto ai minori di anni 14 per eccessi di violenza, sangue esibito, esecuzioni palesi, cadaveri che escono dalle bare e ripetute sequenze di violenza carnale, tentate o esplicite. Rileviamo persino un elemento gotico – come sottolinea Matteo Mancini nel fondamentale Spaghetti western – quando i fratelli si recano nel cimitero nordista e in una notte di tregenda trafugano la bara sbagliata. Film molto apprezzato dalla critica nordamericana e inglese (molti blogger lo valutano uno dei migliori spaghetti western italiani), mentre i soloni di casa nostra lo citano poco e male, persino la voce di Wikipedia risulta imprecisa e non veritiera. A nostro parere abbiamo visto un western insolito ed emozionante, per niente convenzionale, girato benissimo, sorretto da una solida sceneggiatura e da un’inconsueta introspezione psicologica dei personaggi. Da rivedere senza pregiudizi intellettualistici.

Regia: Sergio Corbucci. Soggetto: Albert Band (Alfredo Antonini) e Ugo Liberatore da un romanzo di Will Cook (Guns of North Texas). Sceneggiatura: José Gutiérrez Maesso, Ugo Liberatore.  Fotografia: Enzo Barboni. Montaggio: Nino Baragli, Alberto Gallitti. Musiche: Ennio Morricone. Scenografia: Jaime Pérez Cubero. Costumi: Nori Bonicelli. Produttore: Albert Band. Casa di Produzione: Alba Cinematografica, Tecisa Film. Distribuzione (Italia): Cineriz. Paesi di Produzione: Italia, Spagna. Durata: 93’. Interpreti: Joseph Cotten (Jonas) – doppiato da Emilio Cigoli, Norma Bengell (Claire), Julian Mateos (Ben) – doppiato da Giancarlo Giannini, Gino Pernice (Jeff) – doppiato da Gigi Proietti, Angel Aranda (Nat), Claudio Gora (reverendo Pierce),  Aldo Sambrell (Pedro), Maria Martin (Kitty), Julio Peña (sergente Tolt), Enio Girolami (tenente Soublette), Claudio Scarchilli (capo indiano), Benito Stefanelli (Slim), Simon Arriaga (bandito messicano), José Nieto (lo sceriffo), Rafael Vaquero (Tyler), Giovanni Ivan SCratuglia (scommettitore nel saloon), Alvaro de Luna (Bixby), José Canalejas (bandito messicano).

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