Il futuro dell’istruzione in Italia e i modelli esteri

Articolo di Manlio Distefano

L’influenza della società americana su quelle occidentali, e non solo, si dispiega su tutti gli ambiti del nostro vivere. Dalla politica agli ambiti più frivoli della nostra quotidianità, la pop culture, i film, le canzoni, i videogiochi e così via. Se non possono essere negati gli aspetti positivi, l’ormai non poter fare a meno di tanti prodotti americani, in senso ampio, per esempio le serie tv che ci accompagnano quasi ogni sera; dall’altro lato non possiamo non rimarcare alcune conseguenze nefaste di una società americanizzata.

Gli aspetti più ludici e legati al tempo libero sono solo l’iceberg del cambiamento indotto dall’influenza americana, oltre che avere anch’essi un risvolto più politico ed ideologico. Ciò su cui vorrei oggi soffermarmi è una sfera che è stata oggetto di varie discussioni ai tempi della pandemia, ma che aveva già subito delle pesanti sferzate ben prima di subire il colpo di grazia delle chiusure e della didattica a distanza, quella dell’istruzione scolastica e universitaria.

Negli ultimi anni, è evidente a tutti come oggetto di una grande campagna di smantellamento siano stati gli indirizzi umanistici, nelle scuole come nelle università. Non possiamo certo negare che il nostro sistema scolastico paghi una mancanza di adattamento all’evoluzione tecnologica ed economica degli ultimi anni, ma siamo davvero sicuri che il nostro gap nei confronti degli altri paesi sia dovuto allo studio del latino e del greco nelle nostre scuole o che ci sia dell’altro? Dobbiamo davvero inseguire il sistema anglosassone e formare i nostri diplomati e laureati solo al fine di lavorare, come se questo fosse il significato unico del nostro apprendimento, ossia formare dei lavoratori e consumatori?

Durante la mia esperienza di studio all’estero, in Germania, mi sono reso conto come l’università che ho frequentato, che premetto potrebbe costituire un caso particolare, privilegiasse molto di più l’aspetto pratico di quello nozionistico. Personalmente non ho ritenuto fosse una coincidenza. Pur studiando delle materie umanistiche, ogni lezione si trasformava in un dibattito su di una questione, con pochi o nessun intervento diretto da parte del professore. Questi era lì solo per dare degli input, o per correggere i saggi che dovevano essere scritti alla fine del corso. Oltre a quello, l’unica altra cosa da portare a termine erano delle presentazioni in classe, con Powerpoint e qualche spiegazione agli altri compagni. In alcuni casi, la distanza dal punto di vista delle nozioni era davvero ampia rispetto a ciò a cui ero abituato in Italia, ma questo sembrava avere poca importanza al fine del raggiungimento dell’obiettivo pratico che si proponeva il corso, e ogni materia si concentrava su un particolare spicchio della letteratura o della storia, in maniera quasi specialistica. Un paio di autori, un libro, un evento storico, solo quello e poco altro per due mesi di lezione.

Ripeto, potrebbe trattarsi di un caso specifico, personale e non generalizzabile. Ma mi ha fatto riflettere anche sui modelli di cui sentiamo parlare in riferimento alla società americana e anglosassone in generale, e dei temi di cui si parla continuamente nel dibattito italiano sull’istruzione. Diminuire il carico di studi, realizzare degli indirizzi di studio più agili. Alle estreme conseguenze, diminuire le materie e i corsi di laurea che non permettano sbocchi lavorativi, connettere l’università e la scuola al mondo del lavoro.

Difficile confutare l’importanza dello sbocco lavorativo, e anche a livello personale sappiamo quanti problemi debba affrontare la nostra generazione nella ricerca di un lavoro e nel mettere in pratica ciò che ha studiato. Ma forse il sistema tedesco si pone già come giusto mezzo fra l’istruzione indirizzata al mercato tipica del modello anglosassone, si pagano degli studi contraendo prestiti con il chiaro fine di far fruttare l’investimento, e invece la necessità, allo stesso tempo, di formare anche un individuo che cresca intellettualmente per far parte della società, per una piena cittadinanza. Il compromesso tedesco fra stato sociale e capitalismo, soziale Marktwirtschaft, potrebbe trovarsi quindi anche in questa visione dell’istruzione pubblica.

Su questo vorrei tuttavia difendere un certo aspetto della nostra istruzione scolastica ed universitaria. Dal punto di vista delle conoscenze specifiche, ancora per poco forse, gli studenti italiani sono, o erano, avanti rispetto ai loro omologhi stranieri. Manca molto l’approccio pratico, in molto lo riscontrano. Non vorrei che però, per rincorrere un risultato da un lato, si finisca per compromettere ciò che si è già ottenuto dall’altro, finendo per rimanere a metà del guado. Questo processo sembra già in atto in molte scuole e università italiane.

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