Il vescovo di Hong Kong Joseph Zen e il trattamento umiliante ricevuto dal Vaticano

Articolo di C. Alessandro Mauceri

I rapporti del Vaticano con i paesi esteri sono sempre di più un tema caldo (del quale, però, si parla poco). In particolare quelli con la Cina da sempre oggetto di discussioni accese a causa soprattutto della politica del governo di Pechino.

E proprio per parlare della situazione in Cina e delle proteste mai del tutto cessate a Hong Kong, il cardinale Joseph Zen, ha attraversato mezzo mondo sperando di incontrare il Pontefice. Ma non è stato ricevuto. Un gesto pesante e degno di attenzione. Al quale però i media non hanno dedicato l’attenzione che avrebbe meritato.

Giunto in Vaticano, il vescovo Zen ha aspettato tre giorni di essere ricevuto dal Pontefice.  Poi, davanti al suo silenzio, ha rifatto le valige ed è ripartito per Hong Kong. È riuscito a consegnare solo una lettera indirizzata a Papa Francesco per il tramite del suo segretario, padre Gonzalo.

Joseph Zen non si sarebbe mai aspettato un trattamento così umiliante. Specie considerando che la situazione cinese appare grave. Il vescovato di Hong Kong risulta vacante da quasi due anni: dalla morte del vescovo Micheal Yeung, avvenuta nel gennaio 2019. La nomina del successore potrebbe essere legata alle tensioni sul territorio semi-autonomo: la scelta di non affidare il vescovado al vescovo ausiliare di Yeung, Joseph Ha, sarebbe legata alle sue opinioni favorevoli nei confronti del movimento pro-democrazia di Hong Kong. Una scelta quella di Ha fortemente appoggiata dalla comunità cattolica locale. Ma non dal governo centrale di Pechino.

Per questo si è parlato del problema di effettuare una scelta “condivisa” che possa andare bene sia al Vaticano che al governo di Pechino. Una scelta che vede la comunità cattolica in Cina quanto mai divisa. “Sono venuto per perorare la causa del nostro futuro vescovo”, ha dichiarato Zen.

“Da più di un anno e mezzo siamo senza vescovo, a Hong Kong. All’inizio c’era la buona idea di fare vescovo l’ausiliare, che è rimasto quando è morto il vescovo; un francescano gentile, ma anche coraggioso: mons. Joseph Ha Chi-shing”. Una persona che come ha ribadito Zen “Ha criticato il governo gentilmente, senza gridare”. Per questo “Si parlava di questo vescovo ausiliare come successore. Adesso, invece, dicono che serva uno che abbia la benedizione di Pechino”.

Tra le proposte del vescovo ci sarebbe anche quella di soprassedere dal rinnovo dell’accordo con la Cina. In un’intervista al National Catholic Register, Zen, da sempre critico nei confronti del Partito comunista cinese, ha detto che questo accordo “ucciderà la Chiesa”. Secondo il porporato, “il governo di Pechino potrà usarlo per chiedere alla gente qualsiasi cosa in nome del Papa”. Chiara la sua presa di posizione.

Molto meno chiara, invece, la posizione di Papa Francesco. Ufficialmente la decisione di non riceverlo sarebbe stata dovuta ai troppi impegni. Ma l’argomento “Cina” è assolutamente prioritario e la nomina del vescovo di Hong Kong è un problema non da poco. I rapporti tra la Chiesa e la Cina non sono mai stati facili: interrotti nel 1951, sono ripresi nel 2018. A suggellarli  un accordo che consentiva al Vaticano di nominare i vescovi nel Paese. I dettagli di questo  accordo non sono noti. Ma una cosa è certa: la scadenza dell’accordo, prevista per il mese di Settembre 2020. Per questo, da tempo, sono in corso trattative per il rinnovo. E per questo, la decisione della nomina del vescovo di Hong Kong appare estremamente delicata. In ballo ci sarebbe la possibilità (preannunciata da un periodico cattolico) per il Vaticano di aprire un ufficio di Pechino con un rappresentante permanente. E il Segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, sarebbe alle prese con l’organizzazione di un incontro con il premier cinese per gettare le basi di un nuovo rapporto senza precedenti tra i due “governi”. Accordo che potrebbe influire molto sulla nomina del vescovo di Hong Kong. Il presidente della Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia, cardinale Charles Maung Bo, ha dichiarato pubblicamente che la legge sulla sicurezza nazionale voluta da Pechino proprio per fronteggiare le proteste a Hong Kong “indebolisce gravemente il Consiglio legislativo di Hong Kong e la sua autonomia” e “trasforma radicalmente l’identità di Hong Kong”.

Ma i problemi non finiscono qui: il vescovo ad interim di Hong Kong, Tong Hon, non sarebbe ben voluto dalla comunità locale per le sue posizioni sulle politiche di Pechino per Hong Kong e per aver “compreso” la decisione di Pechino e “ritenuto che la legge non avrebbe inciso sulla libertà di religione a Hong Kong”, come si legge in una intervista rilasciata da Hon dopo aver partecipato partecipato a una riunione a porte chiuse organizzata dall’Ufficio cinese per i rapporti con Hong Kong nella quale il delegato di Pechino avrebbe “invitato” i 21 leader religiosi presenti a esprimere sostegno alla legge sulla sicurezza nazionale.

Un motivo in più per l’88enne Zen per volare precipitosamente in Vaticano sperando di poter ricevere udienza dal Pontefice. Il quale, però, ha preferito non incontrarlo.

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