La memoria di un uomo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che guarda in faccia la Storia

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 23 dicembre 1896 nasce a Palermo Giuseppe Tommasi, duca di Palma e principe di Lampedusa. Per comprendere appieno un autore bisogna conoscere, innanzitutto, le persone che più gli sono state vicine e l’ambiente nel quale e grazie al quale si è formato.

Le persone sono la madre e la moglie. La madre, innanzitutto, e la moglie. La madre, Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò (1870-1946), fu per il figlio un punto di riferimento costante e fondamentale per la sua crescita e formazione (Bildung) umana e letteraria. Apparteneva ad una delle famiglie più antiche della Sicilia, quella, appunto, dei principi Filangeri. Una famiglia d’origini normanne che aveva dato ben tre viceré alla Trinacria. Una donna colta, curiosa, molto determinata. Una delle protagoniste della «dolce vita» palermitana tra fine Ottocento e inizio Novecento. Memorie, ricordi di quell’«età dell’oro» rivivono nelle pagine del grande romanzo del Gattopardo.

Pagine che raccontano, descrivono una Palermo mondana, festosa, attraversata da una «bramosia di vivere». Fu la mamma ad insegnargli amorevolmente il francese e fu sempre la sua amorevolezza materna a fargli «superare» i terribili ricordi legati alla sua esperienza di soldato durante la Grande guerra. La moglie, Alexandra von Wolff-Stomersee, detta Licy la incontra attorno ai trent’anni mentre era in giro per l’Europa. Come la mamma, anche la moglie di Giuseppe Tomasi era colta, forte, indipendente, poliglotta. Ma le due donne del nostro autore non andarono mai d’accordo. La moglie fu una delle figure di riferimento della psicoanalisi in Italia. Dopo un decennale matrimonio epistolare, Giuseppe Tomasi e Licy riescono, sul finire della Seconda guerra mondiale, a vivere insieme. È la moglie ad avere un ruolo da protagonista nell’invitare e nel convincere il marito a scrivere quanto lo stesso amava raccontarle, leggerle, narrarle.

Il grande romanzo del Gattopardo, non è un libro scritto in pochi anni, nato ex abrupto ma è un libro germogliato, nato, cresciuto, illuminato dalla prodigiosa conoscenza letteraria del nostro autore. Un libro che ha preso forma, volume, che è cresciuto insieme e grazie alle continue e vitali letture ed emozioni, sentimenti che vestono e rivestono questo magnifico romanzo novecentesco perché innanzitutto vestono e rivestono la sua vita di uomo e di letterato. Per Tommasi di Lampedusa i libri furono i compagni più fedeli della sua esistenza. Li amava con un amore tenero ed unico. Li sfogliava. Li leggeva. Li stampava nel «libro della sua memoria e del suo cuore». Amava raccontarli. Amava comperarli anche quando, durante gli ultimi anni della sua vita, si ritrovò povero.

Il Gattopardo è un grande romanzo indimenticabile, un classico perché contiene la saggezza, la sapienza, l’amore per la letteratura e la vita che Giuseppe Tommasi è riuscito a tessere, a cucire, a stampare in pagine memorabili. Appunto classiche. Un libro rifiutato da Einaudi – benché Vittorini lo avesse apprezzato – e da Mondadori ma che arrivato, dopo la morte di Giuseppe Tommasi (23 luglio 1957) nel maggio del 1958 sul tavolo di Giorgio Bassani direttore, a quel tempo, di una collana di narratori italiani e stranieri, fu stampato da Feltrinelli. Un romanzo di un fine, aristocratico letterato siciliano che guarda e contempla con profonda umanità, sapienza, con pietas e misericordia la storia, ma anche le ombre, della «bella e perduta» stagione risorgimentale.

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