Il crepuscolo di un anno che va

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 31 dicembre è il crepuscolo di un anno che, come nella poesia di Corrado Covoni, ci traghetterà in un altro anno pieno di meraviglie, stupori, paure, gioie, ecc… tutti sentimenti che tessono la vita d’ogni essere vivente. Tanto più la nostra.

In una celebre pagina de le Confessioni (XI, 14) sant’Agostino cerca di capire, di chiarire «Che cosa è il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so». Una domanda epocale, fondamentale che non ha una risposta immediata, facile. Dinanzi a tale interrogativo ci si smarrisce in un mare di dubbi, di contraddizioni, di tante altre domande all’infinito. Lo stesso «smarrimento» del poeta greco Esiodo che fa risalire la nascita dello spazio e del tempo alla separazione di Urano e Gea. Lo stesso «smarrimento» che percorre tutto il nostro essere in questo tempo segnato dal Covid che ci ricorda – afferma Massimo Recalcati – quello che invece «vorremmo dimenticare, ovvero il confine tragico che unisce profondamente la vita alla morte».

Il calendario è la grande costruzione della «misura del tempo». Una delle prime scoperte dell’uomo. Come, ad esempio, il fuoco. Una scoperta che è il tentativo di computare, forse a volte di addomesticare, l’inesorabile flusso della vita. L’uso di compilare degli almanacchi, dei lunari e degli oroscopi ad inizio anno rispondeva e risponde ad un profondo ed intimo bisogno dell’Uomo, che va oltre la computazione del tempo, ma che cerca di stendere su di esso il velo della speranza. Il calendario, come misura e addomesticazione del tempo, si basa sul ciclo dell’anno. Anno deriva etimologicamente dalla radice -an da cui viene annulus, cerchio, anello.

«Il calendario – insegna saggiamente Jacques Le Goff – dipende dal tempo cosmico, regolatore della durata che s’impone a tutte le società umane; ma queste lo recepiscono, lo misurano e lo trasformano in calendario secondo le loro strutture sociali e politiche, i loro sistemi economici e culturali, i loro strumenti scientifici e tecnologici». Sempre il grande storico ci ricorda che «dividere è, significa dominare». Oggigiorno, specialmente in questo contesto che stiamo vivendo, il dominio del tempo è proiettato per dare risposte al pericolo di catastrofi naturali, carestie, virus, ecc… Il tema antropologico e contestualmente scientifico della misurazione del tempo attraversa ogni cultura, ogni latitudine e risponde anche e soprattutto al bisogno d’amore e di protezione insito nell’animo/a di ogni individuo. Un bisogno su ci si fonda la nostra stessa identità personale e sociale. Una misurazione che però fa i conti con una generazione non sempre capace di progettare, osare, aprire le strade al nuovo, al futuro. Come augurio a chi legge, ma non solo a chi legge, dedico due celebri «costruzioni letterarie» del Tempo, il grande costruttore (Yourcenar). La prima è un po’ come se fosse il nostro alfabeto di vita: «solo il tempo è nostro; la natura ci ha fatto entrare in possesso di questa sola cosa, fugace e incerta […] e la stoltezza degli uomini è così grande che si riconoscono debitori per avere ottenuto beni di scarsissima importanza e valore, certamente recuperabili, mentre nessuno che abbia ricevuto il tempo in dono, ritiene di essere in debito; questo è invece l’unico bene che neppure una persona che prova gratitudine può restituire» (Seneca, Lettere a Lucilio, I, 3). Il secondo è il noto incipit del leopardiano Dialogo di un venditore d’almanacchi:

«Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano Signore almanacchi?

Passeggere: Almanacchi per l’anno nuovo?

Vend.: Sì, Signore;

Pass.: Credete che sarà felice quest’anno nuovo?

Vend.: Oh illustrissimo sì, certo;

Pass.: Come quest’anno passato?

Vend.: Più più assai.

Pass.: Come quello di là?;

Vend.: Più, più illustrissimo […]

La «costruzione» del Tempo comporta, innanzitutto, e assomiglia a un cambiamento di alfabeto: attacchiamoci alla Vita e viviamola pienamente.

Nella foto il campanile della chiesa parrocchiale Santa Maria Assunta a Silandro (Bz). Il campanile più alto del Trentino Alto Adige con i suoi 90 metri di altezza.

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