“Lucia”, uno dei film più importanti del primo decennio della cinematografia cubana

Articolo di Gordiano Lupi

Lucía è uno dei film più importanti del primo decennio della cinematografia cubana, un lavoro complesso e melodrammatico, girato in bianco e nero, che racconta la storia di tre donne in tre diversi momenti storici: la Guerra di Indipendenza (1895), la dittatura di Gerardo Machado (1933) e i primi tempi della Rivoluzione (1960). Una pellicola divisa in tre lunghi episodi storico – sentimentali che vede protagoniste tre donne di nome Lucía, tre caratteri femminili forti e coraggiosi.

Il primo episodio è ambientato nella Cuba del 1895 e gode di una buona ricostruzione storica. I costumi sono perfetti, le usanze ben documentate, il mondo dell’alta borghesia definito con cura e caratterizzato dalla differenza con gli ambienti popolari. Vediamo le ragazze di buona famiglia che giocano a mosca cieca e danzano romantici boleri. Abbiamo la messa della domenica con gli incontri sentimentali, le donne che cuciono e spettegolano, ma al tempo stesso i mambíses lottano per l’indipendenza cubana contro l’esercito spagnolo. I mambíses sono le truppe guerrigliere antispagnole, un esercito irregolare composto da borghesi, semplici cittadini e persone di altri paesi, uniti contro gli spagnoli. La parola deriva da Ethnnius Mamby (Eutimio Mambí), ufficiale nero che disertò dall’esercito spagnolo per lottare contro di loro a Santo Domingo, cinquant’anni prima dell’inizio della Guerra dei Dieci Anni a Cuba. Il singolare è mambís e molti dicono che si riferisce a un’antica parola india che designava i ribelli che vivevano nascosti nei boschi. I mambíses più noti sono stati Carlos Manuel de Céspedes, Antonio Maceo (autore della prima carica al machete) e il dominicano Máximo Gómez. Humberto Solás descrive molto bene alcune sequenze di guerriglia cruenta contro gli spagnoli e mostra i coraggiosi mambíses mentre combattono con il machete e cavalcano a pelo. Si vede un esercito spagnolo allo sbando deriso dagli abitanti del paese, il territorio è cosparso di cadaveri impiccati, le donne piangono e sullo sfondo aleggia la morte. Notiamo un forte contrasto tra le sequenze girate in interni che raffigurano il mondo borghese e gli esterni lividi e onirici che riprendono l’orrore della guerra. Una scena molto forte racconta un eccidio di monache, catturate e violentate dall’esercito spagnolo, mentre alcune sequenze girate in paese mostrano una popolana in preda alla follia tra i soldati invasori. Il bianco e nero intenso rende bene certi elementi fantastici e alcune soluzioni visive ricordano il neorealismo italiano, ma pure i primi film di Pier Paolo Pasolini. Solás tiene presente anche il Matarazzo di Catene (1949), la cinematografia sovietica, lavori come Riso amaro di Giuseppe De Santis (1949), tutta la tradizione melodrammatica spagnola e l’opera di Luchino Visconti. Il primo episodio racconta una storia di inganni e seduzione, perché l’uomo che finge di innamorarsi di Lucía è un generale dell’esercito spagnolo – tra l’altro sposato e con prole – che vuole soltanto sapere dove si nascondono i mambíses. Lucía si rende conto di aver provocato una battaglia cruenta per colpa di una leggerezza e soprattutto ha causato la morte del fratello. La sua vendetta è terribile, perché prima di morire accoltella il traditore spagnolo sulla pubblica piazza. Si tratta di un vero e proprio melodramma storico che vive di interpretazione teatrale e montaggio lento con ampio uso del ralenti. Una tecnica di regia che utilizza elementi onirici e sequenze fantastiche conferisce drammaticità e senso della morte.

Il secondo episodio narra la vita di una Lucía che vive in una fattoria e si innamora di un romantico rivoluzionario antimachadista che nasconde nel granaio insieme ai compagni di lotta. Pure in questo episodio la ricostruzione d’epoca è ottima, siamo nel 1932, le ragazze di buona famiglia ballano il charleston, vanno a teatro e frequentano feste. Solás descrive la ribellione contro il tiranno, gli assalti al palazzo, le scritte contro la dittatura, i massacri di soldati regolari nei cinema in seguito ad attentati, gli scioperi, i disordini di piazza, le manifestazioni femminili e le repressioni poliziesche. L’episodio è ancora una volta melodrammatico, perché l’innamorato di Lucía viene ucciso dopo un attacco al palazzo presidenziale e lei deve riconoscerlo in obitorio.

Il terzo episodio si svolge in un imprecisato 196…, come indica la scritta in sovrimpressione, ma siamo nei primi anni della Rivoluzione e il regista ci tiene a far vedere che le cose sono molto cambiate. Prima di tutto non esistono differenze sociali, non vediamo borghesi e nobili, ma solo cittadini che in campagna lavorano insieme, cantando e scherzando. Il fervore rivoluzionario vive nelle immagini del regista in maniera partecipa e convinta. La colonna sonora è di Joseito Fernandez, presenta alcune versioni di Guantanamera e altri ritmi campestri che raccontano la vita, il lavoro e l’amore. La nostra Lucía rivoluzionaria deve combattere contro il machismo cubano, contro un marito geloso come Tomás che non la fa uscire, non vuole che lavori e che guardi gli altri uomini, mentre lui è libero di fare quel che vuole. La situazione precipita quando arrivano gli alfabetizzatori – brigata rivoluzionaria inviata nei luoghi più sperduti per insegnare a leggere e a scrivere – e uno di loro incita Lucía a ribellarsi. La Rivoluzione pretende che la donna abbia gli stessi diritti dell’uomo, vuole che lavori e che sia partecipe della vita sociale. Il regista vuol far capire come la Rivoluzione Cubana abbia cambiato il modo di vedere le cose, anche se in un lavoro successivo – Hasta cierto punto – Gutiérrez Alea affermerà che l’ha fatto solo fino a un certo punto. La donna deve lavorare come l’uomo, non è una schiava e non deve subire la folle gelosia del macho che la tratta come un oggetto di sua proprietà. Per i tempi e per Cuba si tratta di un discorso rivoluzionario, forse sono anche queste pellicole che contribuiscono a risolvere la questione femminile. Humberto Solás ci tiene a documentare lo spirito partecipativo dei cittadini alle assemblee, sul lavoro e l’impegno per istruirsi in maniera elementare. La Rivoluzione Cubana sta costruendo un mondo nuovo e gli intellettuali sono al suo fianco per vincere la sfida che presenta il futuro.

Regia: Umberto Solás. Durata: 160’. Produzione e Distribuzione: ICAIC.  Produttori: Raúl Canosa, Camilo Vives. Soggetto e Sceneggiatura: Humberto Solás, Julio García Espinosa, Nelson Rodríguez. Fotografia: Jorge Herrera. Montaggio: Nelson Rodríguez. Musica: Joseíto Fernández, Leo Brouwer, Toni Taño. Suono: Eugenio Vesa Figueras, Ricardo Istueta. Interpreti: (I): Raquel Revuelta, Eduardo Moure, Idalia Anreus, Silvia Planas, Herminia Sánchez, (II): Eslinda Núñez, Ramón Brito, Flora Lauten, Rogelio Blaín, Aida Conde, María Elena Molinet, (III): Adela Legrá, Adolfo Llauradó, Teté Vergara, Aramís Delgado. Premi: Premio della Stampa Cinematografica Cubana – selezionato tra i migliori dieci film dell’anno (1968); Primo Premio al Festival Internazionale del Cinema di Mosca (1969).

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