“La pared de las palabras”, la storia di un uomo che perde l’autonomia dei movimenti

Articolo di Gordiano Lupi

Un film indipendente girato con pochi mezzi e molta passione, con un regista che si cala a fondo nella realtà e due attori straordinari come Jorge Perugorría (anche produttore) e Isabel Santos, bravissimi nel riprodurre il forte legale madre – figlio in una situazione difficile, che vede la donna occuparsi di una malattia degenerativa del ragazzo.  Fernando Pérez ha detto che i suoi personaggi sono ispirati a fatti reali e che non è stato semplice il lavoro degli attori, capaci di dare vita a una storia complessa e delicata, in gran parte ambientata in un ospedale psichiatrico. Perugorría interpreta un uomo che non riesce a esprimersi con le parole, quasi completamente immobile sopra una sedia a rotelle, innamorato di una ragazza down che vive in una struttura di riabilitazione insieme a lui, amato dalla sua famiglia ma condannato a morire. Il film racconta le vicende di un uomo che poco a poco perde completamente l’autonomia dei movimenti e la possibilità di comunicare con gli altri, fino a diventare del tutto dipendente dalla madre e dal fratello minore. La parete delle parole sta proprio a significare la barriera che si viene a creare tra il personaggio e la vita, nonostante gli sforzi che tutti cercano di fare per assisterlo. Ogni membro della famiglia assume una posizione diversa (madre, fratello, nonna), a suo modo tutti hanno ragione perché i punti di vista cambiano. La nonna pensa che la madre abbia trascurato troppo il fratello minore per stare accanto a un figlio in ogni caso condannato, il fratello si sente trascurato, la madre ritiene imprescindibile sostenere il figlio più bisognoso di cure e di affetto. Il regista, con la collaborazione dello sceneggiatore Monné, affronta un tema delicato come quello della malattia degenerativa – neurologica e mentale -, a tratti toccando punte di vera e propria docufiction, per le numerose riprese all’interno della struttura ospedaliera, realistiche e crude. Non c’è ombra di realismo fantastico in questo film cupo e angosciante, la cui unica speranza sboccia nel finale con la pianta nata dal seme regalato dalla fidanzata che il figlio è riuscito a piantare prima di bloccarsi del tutto in un letto. Jorge Perugorría per interpretare Luís (nome del protagonista) ha dovuto sottostare a una dieta rigorosa che evidenzia un deterioramento corporale insito nel personaggio. La coprotagonista Maritza Ortega (Maritza), che ha una relazione con Luís, non è un’attrice professionista ma una ragazza che nella vita reale soffre della sindrome di down. Isabel Santos nei panni di Elena (la madre di Luís) ha dato veramente tutto per interpretare una donna che ha esaurito le lacrime di fronte alla degenerazione della malattia del figlio. Laura de la Uz interpreta la folle Orquídea, ribelle nella sua pazzia per quanto è silente la malattia di Luís. Per il regista il ruolo dell’attrice è molto importante, ispirato a una persona reale, sta a sottolineare l’esplosione immotivata di idee dissociate dalla realtà, un vero e proprio contrasto con la personalità di Luís. In realtà esistono a Cuba molte persone simili a Orquídea, spesso s’incontrano libere vagare per le strade delle città. Fernando Pérez ha detto: “In questa pellicola ho voluto mostrare luci e ombre, nel finale cerco di far intravedere la speranza, ma la cosa che più mi interessava era far trapelare tanto dolore”. La pared de las palabras è un film drammatico nel senso più letterale del termine, soprattutto vero, ispirato alla realtà, non fa sconti a nessuno, non edulcora né semplifica situazioni complesse. Fotografia luminosa di un’Avana vitale nei pochi esterni cittadini, che si stempera nelle parti girate in riva al mare, in una spiaggia degradata e cadente, per diventare cupa negli interni casalinghi e ospedalieri. Regia ispirata e coinvolgente, ottima direzione di attori, riprese mai banali, che regalano un preciso punto di vista sulla situazione. Colonna sonora languida e ben dosata rispetto al tema trattato con la popolare Yo quiero bailar contigo che si apprezza durante una festa tra i degenti della clinica.  Tra le sequenze migliori la gita in autobus del gruppo di degenti a visitare L’Avana e la parte molto evocativa che inserisce immagini di rovine cadenti e palazzi crepati come sottofondo alle parole angosciose scritte dalla nonna in una lettera, poco prima di partire. Stupendo il finale con Luís che può finalmente parlare, ora che è morto e che la sua anima è libera di volare via da una terra che lo teneva prigioniero.  Pellicola indipendente (non ICAIC) premiata dalla giuria del trentaseiesimo Festival del Nuovo Cinema Latinoamericano.

Regia: Fernando Pérez. Soggetto e Sceneggiatura: Zuzel Monné, Fernando Perez. Fotografia: Raúl Pérez Ureta. Montaggio: Julia Yp. Musiche: Edesio Alejandro. Scenografia: Jorge Garcia. Costumi: Violeta Cooper. Suono in Presa Diretta: Edesio Alejandro, Raúl Amargot, Israel López, Fernando Péerez. Produttori: Jorge Perugorría, Camilo Vives. Genere: Drammatico. Durata: 90’. Interpreti: Jorge Perugorría (Luis), Isabel Santos (Elena), Laura de la Uz (Orquídea), Carlos Enrique Almirante (Alejandro), Maritza Ortega (Maritza), Verónica Lynn (Carmen), Ana Gloria Buduén (Doris), René de La Cruz jr. (Armando), Eman Xor Oña (dr. Cuenca), Alejandra Palomino (Jiménez), Omar Alí Pérez (Fabio), Jorge Molina (spazzino), Hector David Rosales (Yonise).

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