Gerardo Chijona, il regista introspettivo

Articolo di Gordiano Lupi

Gerardo Chijona nasce all’Avana nel 1949, si laurea in lingua e letteratura Inglese all’Università della capitale e comincia a lavorare nel Centro di Informazione Cinematografica dell’ICAIC. Per diversi anni scrive recensioni di cinema e segnalazioni critiche sul quotidiano Granma e sulla rivista Cine Cubano. Assistente regista per diversi lungometraggi (Rio Negro, 1977), direttore di documentari spesso premiati come Kid Chocolarte (1987) e El desayuno más caro delmundo (1988). Nel 1990 viene invitato da Robert Redford a tenere corsi di sceneggiatura e regia presso il Sundance Institute. Gira il suo primo lungometraggio di fiction, la commedia Adorables mentiras (1991), vincitrice di diversi premi come il Colón de Oro di Huelva (1992). Anni dopo realizza altre due commedie di stampo televisivo come Un paraíso bajo las estrellas (1999) ePerfecto amorequivocado(2004). Ricordiamo in sintesi alcune pellicole.

Río Negro (1977) è il primo lavoro di una certa importanza al quale Chijona prende parte come assistente regista. Si tratta di una fiction di 140’, in bianco e nero, scritta e sceneggiata da Manuel Pérez e Víctor Casaus. Il regista è Manuel Pérez Paredes che dirige ottimi interpreti come Sergio Corrieri, Nelson Villagra, Alejandro Lugo e Mario Balmaseda. Il film racconta i vecchi rancori di due contadini che si scontrano su opposti fronti, il primo è un militante rivoluzionario, il secondo è un controrivoluzionario durante l’invasione di Playa Girón.

Una vida para dos (1984) è un documentario a colori di soli 18’, scritto e diretto dal regista, basato sulla vita e sulla solida relazione affettiva di una coppia internazionalista che racconta le sue avventure nella lotta contro il fascismo, durante la Guerra Civile Spagnola e nella Seconda Guerra Mondiale.

Kid Chocolate (1987) è un documentario di 20’, girato in bianco e nero e a colori, che si propone di raccontare la maggior figura della boxe cubana di tutti i tempi: Eligio Sardiñas, noto come Kid Chocolate (1910 – 1988). Il regista espone le sue opinioni sullo sport e su aspetti importanti della vita come l’amicizia, la fama e il denaro, per comporre una filosofia di vita vicina ai valori rivoluzionari.

El desayuno más caro al mundo (1988) è un cortometraggio di 15’ scritto da regista con la collaborazione di Senel Paz, interpretato da Pedro Fernández, Jorge Hernández, José Manuel “Litico” Rodríguez, Thais Crehuedt, Mónica Sierra. Si tratta di un buon lavoro di breve respiro basato sull’assunto che un’azione innocente può produrre conseguenze catastrofiche quando l’assurdo e l’irrazionalità diventano parte della vita quotidiana.

Adorables mentiras (1991)è il primo lungometraggio diretto da Chijona su soggetto e sceneggiatura di Senel Paz. Jorge Luis, un giovane che aspira  diventare sceneggiatore e regista cinematografico, resta affascinato dopo aver conosciuto la bella Sissy durante la prima di una pellicola. Poco prima il regista del film gli aveva chiesto di lavorare in una delle sue storie. Per fare colpo su Sissy, si presenta come un regista che cerca un’attrice non professionista. Comincia così una relazione nella quale entrambi si presentano non come sono, ma come vorrebbero essere. La commedia ricorda le telenovelas latinoamericane, non scava in profondità e – imitando i protagonisti – presenta la realtà come vorrebbe che fosse. Interpreti: Isabel Santos, Luis Alberto García, Jr., Mirtha Ibarra, Thais Valdés, Miguel Gutiérrez, Jorge Cao, Alicia Bustamante, Ernesto Tapia, Rogelio Meneses, Laura Chijona. La pellicola è stata premiata al Festival del Cinema Latinoamericano di Trieste.

Un paraíso bajo las estrellas (1999) è una fiction di 90’ prodotta dall’ICAIC con la collaborazione della televisione spagnola, scritta dal regista insieme a Luis Agüero e Senel Paz. Il titolo fa riferimento al Tropicana, un paradiso sotto le stelle, uno dei cabaret più famosi del mondo, ma il soggetto segue i rigidi schemi della telenovela latinoamericana. La storia pare una semplice scusa per pubblicizzare il Tropicana, visto che per buona parte del film si sviluppa nella scenografia del cabaret, tra magnifiche coreografie, musica a base di vecchi boleri e salsa tradizionale. Abbiamo identità perdute, destini tragici, incesti, amore, disamore, tradimenti e tutto quello che non può mancare in un film dalle caratteristiche prettamente televisive.

Un padre abbandonato (Enrique Molina) dalla moglie ballerina che ha scelto la Spagna come luogo per vivere, non vuole che la figlia (Thais Valdés) segua la stessa strada e cerca di impedirle di danzare al Tropicana. In compenso lui canta vecchi boleri nei locali notturni, mantiene una relazione con una vecchia amica e scopre di avere un figlio che non conosceva (Vladimir Cruz). Il problema è che questo ragazzo si innamora di sua figlia e insieme mettono al mondo un bambino. Alla fine tutto si aggiusta, perché si scopre che la figlia era frutto di una relazione extraconiugale della moglie con il direttore del balletto. Tema conduttore della storia sono i momenti d’ira del padre geloso (Enrique Molina), che prende a bastonate le persone che scatenato la sua rabbia. Si superano i limiti consentiti dalla farsa quando il padre che muore per una caduta da un ponte provocata da una buccia di banana, ma subito dopo resuscita durante il funerale. Molto bravo Luis Alberto García, in una partecipazione straordinaria, che lo vede caratterizzare ben quattro personaggi. Si tratta di semplici apparizioni, macchiette di poliziotti, divinatori del futuro, camionisti, ma la presenza dell’attore conferisce un tocco di originalità a una pellicola scadente. Lo sviluppo della trama e la sceneggiatura sono prevedibili e i colpi di scene non esistono. Da notare diverse scene erotiche abbastanza esplicite con un’interpretazione insolitamente disinibita di Vladimir Cruz e Thais Valdés. Belle le coreografie – da citare una a base di zombi e tombe di vecchi musicisti come Lecuona – e ottima la colonna sonora, ma la pellicola non dice niente di nuovo. Siamo di fronte a una telenovela corretta da elementi di farsa e di commedia degli equivoci, ma le storie d’amore che si intrecciano non presentano elementi interessanti. Il regista manca di profondità e di realismo, presenta un’Avana da cartolina fatta di panoramiche suggestive del Malecón e fa vivere i suoi personaggi in case ben arredate e senza problemi di vita quotidiana. Una delle battute più ironiche del film è quando si tiene una piccola cerimonia di purificazione santera e il personaggio recita: “Dal periodo speciale, liberaci Signore!”. Troppo poco per giustificare la visione. Interpreti: Thais Valdés, Vladimir Cruz, Enrique Molina, Daisy Granados, Luis Alberto García, José Manuel “Litico” Rodríguez.

Perfecto amor equivocado (2004) è un lavoro dimenticabile di Gerardo Chijona, una fiction di 94’ ispirata come sempre alle telenovelas che vanno per la maggiore alla televisione cubana. Soggetto e sceneggiatura sono del regista con la collaborazione di Eduardo del Llano. Julio del Toro, scrittore di successo, ha tenuto sempre sotto il suo controllo la moglie Miriam, la figlia Milly, l’amante Silvia e la sua carriera professionale. Un bel giorno, quando torna da un viaggio all’estero, si rende conto che le cose stanno cambiando. La figlia vorrebbe sposare un vecchio impresario spagnolo per scappare da Cuba, l’amante pretende più attenzioni e molla lo scrittore per finire tra le braccia di un bisessuale che la mette incinta, la moglie si lascia corteggiare dal fidanzato della figlia e alla fine fugge con lui… Non è un film interessante perché perde l’opportunità di raccontare la vera Cuba per descrivere un mondo inesistente fatto di lussi, ricevimenti, divismo, imitando ambienti e situazioni tipiche di telenovelas messicane, colombiane e brasiliane. La pellicola è girata all’Avana ma la città viene presentata con inquadrature scorrette, tagli e scorci che la mostrano perfetta, pulita, decorosa, senza mai indugiare con la macchina da presa sui problemi e sulla realtà quotidiana. Niente a che vedere con Suite Habana, tanto per intenderci. Le scene girate in interni sono numerose, ma pure questi sono artefatti, dalle case di lusso ai saloni di rappresentanza, passando per locali perfetti dove sembra di essere a Miami invece che all’Avana. Una pellicola da dimenticare, con una trama risibile da telenovela e una Cuba irreale raccontata con disprezzo e noncuranza della realtà storica. Non sono questi i film e i registi che ci interessano. Interpreti: Luis Alberto García (hijo), Beatriz Valdés, Susana Pérez, Sancho Gracia, Sheila Roche, Mónica Alonso, Mijail Mulkay, Yotuel Romero.

Boleto al paraiso (2010) si riassume con le parole del regista: “La pellicola è la cronaca del viaggio fisico e spirituale di Eunice, la protagonista. Un viggio fisico, che comincia nel suo piccolo paese nell’Oriente cubano, conmtinua lungo la strada verso la città dell’Avana e termina in un sanatorio per malati di AIDS”. Premiato in molti festival cinematografici americani. Siamo nella Cuba del 1993. Eunice, adolescente orfana di madre, vuole fuggire dalla morsa sessuale del padre che tenta ripetutamente di violentarla, scappa di casa, in cerca di sua sorella che vive in un paese vicino alla capitale. Alejandro, un giovane rockettaro, è stanco di essere discriminato dala società, dopo aver svaligiato una farmacia, parte insieme a due amici in direzione dell’Avana, dove l’attende una strana promessa di libertà. Il destino farà incontrare i due giovani che cercheranno di andare alla ricerca di un paradiso, difficile dire quanto reale.

Esther en alguna parte (2013), vince la XVI edizione del Festival del Cinema di Los Ángeles (Laliff) come miglior film e miglior sceneggiatura. La pellicola è interpretato da un grandissimo Reynaldo Miravalles, vecchio attore cubano residente a Miami da vent’anni, che è tornato all’Avana per girare il film. Un segno di tempi che cambiano. Al suo fianco troviamo gli ottimi Enrique Molina e Daisy Granados. Miravalles è Lino Catalá, un anziano molto serio che vede trasformare la sua vita da un amico stravagante come Larry Po (Molina). Lino viene chiamato Il mago, perché in gioventù era un mago della stampa, un abile linotipista che stampava la rivista Origines di Lezama Lima. Fu proprio il grande poeta a definirlo mago. Larry Po è un vecchio pazzo, simpatico e lunatico, ubriacone, un cubano che ama divertirsi e travestirsi, non prende la vita sul serio e scherza persino sui sentimenti. Fino a un certo punto, però, anche lui convive con il ricordo d’un amore impossibile e con una pena che si porta nel cuore. L’incontro tra due anziani così diversi avviene al cimitero Colon, dove Lino porta ogni giorno fiori sulla tomba della defunta moglie Maruja. Larry rivela a Lino che Maruja aveva una doppia vita, era cantante di boleri e al tempo stesso mandava avanti una relazione omosessuale. Lino si rende conto di aver vissuto per 25 anni con una donna che non conosceva fino in fondo. Comincia un’indagine per le strade della vecchia Avana sul passato di Maruja, ma anche alla ricerca di una fantomatica Esther, il primo amore di Larry, contrastato e incompiuto.

Il film è molto intenso, una commedia introspettiva che – come la miglior commedia all’italiana – unisce momenti di farsa a stupende immagini liriche, permeata di teatro dell’assurdo, secondo la lezione di Beckett, Pinera e Ionesco. Il soggetto è di Eliseo Alberto Diego, detto Lichi, un romanziere da poco scomparso, tra i migliori interpreti della nuova letteratura cubana. Un tema approfondito dal regista è l’amicizia tra due anziani, uniti dalla passione per la stessa donna, perché alla fine si scopre che la famosa Esther di Larry è soltanto un’invenzione. La vera Esther è Maruja, una donna che Larry non ha mai potuto possedere perché troppo innamorata del suo uomo. Stupendo il finale che vede Lino immedesimarsi nella storia raccontata dall’amico, morto dopo l’ultima sbronza, rivedere le pagine del diario che raccontano la storia di Maruja, e presentarsi con un sorriso innamorato alla porta di Esther. I personaggi sono ben tratteggiati grazie a una sceneggiatura accorta, ma anche per merito di un’interpretazione ispirata di Miravalles e Molina. Alcune sequenze sono da antologia, perché con poche pennellate e senza inutili sermoni raccontano la vita quotidiana a Cuba: Lino fa la coda per comprare il Granma (il periodico del partito) e lo usa come pannolino per la sua incontinenza, un’impiegata dell’ufficio cultura si dipinge le unghie dei piedi sulla scrivania perché non ha niente da fare… Bellissima la colonna sonora a base di vecchi boleri, così come il tono romantico è la nota dominante dell’intera pellicola. Stupenda la fotografia anticata, color seppia e pastello, che alterna immagini del lungomare avanero al tramonto con alcuni pescatori di fronte all’Oceano a sequenze ritagliate nei poveri solares della capitale. I due vecchi sono l’immagine proustiana di due cubani che ricercano il passato negli anfratti di vecchi amori e per i quartieri d’una capitale troppo cambiata. La solitudine, la vecchiaia, l’amicizia, l’amore che supera i confini della vita, il sesso, la musica… sono i grandi temi affrontati da Gerardo Chijona, che gira il miglior film della sua carriera. “Cantava boleri per sentirsi viva e restò con te per morire in pace”, è l’analisi spietata di Larry, che mette in evidenza tutte le difficoltà del rapporto di coppia, quanto sia impossibile capire fino in fondo chi vive insieme a te. Un film pirandelliano, ciascuno di noi è “uno, nessuno e centomila”, ognuno è una maschera, la vita stessa è “una commedia di maschere”. Un film da vedere, anche in lingua originale, perché recitato in uno spagnolo internazionale, un castigliano perfettamente comprensibile. La pellicola è prodotta dalla cubana ICAIC, ma è una coproduzione peruviana e spagnola. 

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