Marcello Mastroianni, l’esempio di come fosse possibile trasformarsi essendo sempre se stesso

Articolo di Paolo Quaglia

Essere se stessi inventando allo stesso tempo è patrimonio di pochissimi talenti o di tantissimi paraculi. Sfortunatamente non tutti i paraculi riescono a diventare artisti apprezzati dalle masse, ma vivono in palcoscenici molto più difficili da soddisfare. Parlando di cinema italiano esistono artisti che sono riusciti a diventare indelebili grazie alla loro capacità di ritagliarsi addosso ogni vicenda. La storia non ricorda di attori e attrici in grado di suggerire se stessi in ogni film essendo perennemente, o quasi, credibili. Durante i primi anni del 900 esistevano maschere come Buster Keaton, Chaplin e Totò, la medesima faccia corrispondeva a un carattere perfettamente inserito nelle varie trame. Uomini in grado di trasformarsi nel film stesso, tutti i maggiori esempi delle cosiddette maschere hanno a che fare solo con il comico ( spesso nostalgico e riflessivo) o al massimo con commedie. Marcello Mastroianni è stato l’esempio di come fosse possibile trasformarsi essendo sempre se stesso. Non esistono più Marcello, esiste un solo Mastroianni che le storie di volta in volta ospitano. Non serve aggiungere qualcosa a quello che già si sa di un professionista e un attore simile, si può suggerire qualche visione e lasciare che l’attore parli per lui. Artista in grado di passare dal teatro al cinema e dal drammatico alla commedia è ricordato per quasi tutti i film cui ha preso parte. La collaborazione con Fellini ha segnato una parte della storia del cinema, le commedie con Monicelli Antonio Pietrangeli o Germi hanno contribuito a costruire quella parentesi felicissima della commedia all’italiana che ha lanciato un nuovo modo di fare cinema. Riuscire a mescolare malinconia e risate sono da sempre la base del cinema indipendente che ancora oggi regala gli esempi migliori di cinema a ogni latitudine. La grandezza di Mastroianni è stata quella di passare in maniera disinvolta da registi come Ettore Scola a Ferreri o Visconti concedendosi di essere sempre se stesso. Che fosse Valerio Zurlini o Luchino Visconti la pacatezza con cui Marcello proponeva le proprie abilità, ha sempre convinto pubblico e critica rendendolo un meraviglioso indolente così vicino alle persone comuni. Meno visibile di Sordi, meno smaccato di Manfredi e meno bello di Gassman Mastroianni è stata la perfetta sintesi di umiltà e identificazione con il pubblico che ha sempre apprezzato quella sua coerenza nel recitare che è stata, ed è la sua cifra stilista più importante.

Fantasma d’amore Dino Risi 1981

A volte non si è soliti parlare di quanto la malinconia aiuti i giorni ad avvicinarsi a un senso, con alcuni film succede la stessa cosa. Un attore Mastroianni, un regista Risi e la donna fa Schneider di cognome e Romy di nome cosa volere più da una vicenda? Ps si parla d’amore perduto. Fantasma d’amore non è mai entrato nella cinquina ideale di nessuno degli artisti che ha creato a questo piccolo tesoro nascosto. Dopo vent’anni di ricordi un uomo rivede la donna che fu il suo grande amore su un autobus. Il tempo sfalsa le impressioni, è lei? Appare provata dalla vita e forse il bisogno di riprovare emozioni ha ingannato l’uomo che non crede fino ai suoi occhi. Un’altra donna è barbaramente uccisa nel suo quartiere e l’uomo si convince che sia stata la sua amante persa nel tempo a commettere il delitto. Parte la ricerca per scoprire cosa ci sia di vero e quanto il ricordo possa amplificare la realtà, senza mai ridurla.

La notte Michelangelo Antonioni 1960

L’incomunicabilità è il vero destino dell’uomo. In una Milano grigia e socialmente fredda lo scrittore Giovanni e la moglie si rincorrono tra feste senza alcun valore umano e strade dove la nebbia si fatica a vedere. Entrambi alla ricerca di qualcosa che li smuova dal torpore in cui sono caduti troveranno dei flirt amorosi della durata di pochi istanti che li lasceranno ancora più vuoti. La base per riprendere a conoscersi passerà attraverso la morte di un amico e quell’allontanamento quasi rassegnato e senza alcuna apparente motivazione. Sceneggiato dallo stesso Antonioni in collaborazione con Ennio Flaiano e Tonino Guerra la notte è uno dei capolavori totali degli anni sessanta. Il regista ferrarese, qui al suo meglio torna a parlare d’incomunicabilità e lo fa attraverso il viso di un Mastroianni che appare indifferente a tutto.

Con la sua recitazione quieta, Marcello riesce a trasmettere anche la noia che si prova nell’essere fedifrago. Sullo schermo c’è un uomo rassegnato all’apatia svegliato solo dalle parole della figlia di un suo conoscente e dalla prossima e inevitabile perdita di quel compagno benevolo conosciuto molti anni prima. La fotografia sublime di Gianni Di Venanzo fa da cornice a una storia silente che solo nel finale e grazie alla moglie troverà quelle parole in grado di motivare la coppia. Un film completo in grado di saziare ogni spettatore. A volte le crisi vanno affrontate per ripartire illuminati da un po’ di onestà intellettuale.

Cronaca Familiare 1962

Tratto da un romanzo di Vasco Pratolini il film racconta il rapporto tra due fratelli. Enrico, il maggiore, ricorda la sua vita e quella del fratello Lorenzo. Giornalista e scrittore senza fama Enrico rivive gli avvenimenti che hanno accompagnato entrambi con particolare attenzione a evocare quegli stati d’animo mai affrontati. Leone d’oro al festival di Venezia è uno dei film più riflessivi di Zurlini che coniuga perfettamente il bisogno di malinconia del protagonista e la certezza che alcune situazioni sono irreparabili se non nella totale ammissione degli errori di valutazione. Essere artefici di se stessi è il tema fondamentale di tutta la vicenda, qui adattata e proposta con la solita attenzione al particolare. Mastroianni e Perrin danno un volto alla coppia di fratelli lavorando sui silenzi e facendo trasparire i sentimenti in maniera quasi trattenuta, scelta che ne aumenta la portata agli occhi dello spettatore. Una visone quasi claustrofobica quella di Zurlini che decide di aumentare il pathos attraverso dialoghi quasi lirici e rivolti completamente all’accettazione di entrambi i protagonisti, evitando accuratamente la rassegnazione passiva.

Mi ricordo si, io mi ricordo.

Girato da Anna Maria Tatò nel 1987 il film è una confessione spettacolo dell’attore che più ha caratterizzato il cinema italiano nel dopoguerra. Si assiste a una sequela di Racconti, aneddoti e considerazioni espressi con enorme garbo. Marcello racconta Mastroianni e parla direttamente al pubblico passando attraverso gli anni della sua carriera. Parole malinconiche che non lesinano battute e sorrisi di un artista che non ha più nulla da dimostrare e per questo riesce ancora a farlo. La parte umana dell’attore viene fuori per chiunque abbia desiderio di conoscerla, un lavoro lungo ma essenziale per capire quanto questo divo del cinema mondiale fosse in realtà una persone molto umile e non avesse nessuna altra forma di linguaggio se non quella di mettersi sullo stesso piano con il pubblico che per anni lo ha visto lavorare.

Enrico IV Marco Bellocchio 1984

Dopo una caduta da cavallo un uomo perde la memoria e crede di essere Enrico IV, amici e famiglia reggono il gioco per vent’anni, si arriverà alla verità ma sarà impossibile liberarsi della” lucida” follia. Tratto da un lavoro di Luigi Pirandello è un film poco conosciuto ma di grande impatto visivo e con un Mastroianni in grande spolvero. In antitesi ai suoi personaggi l’attore riesce a dare uno spessore finissimo al protagonista, lavorando per sottrazioni. Lo spettatore non si rende mai conto quanto sia veramente folle o lucido quest’uomo malato. Il regista da un forte impianto teatrale al tutto e riesce a centrare il senso dell’opera Pirandelliana: quando le frustrazioni della vita non passano, la follia rimane l’unico rifugio. Il crescendo della vicenda e un’ottima sceneggiatura sono la forza del film, Mastroianni riesce a dettare i tempi della vicenda variando il ritmo della sua recitazione. Un piccolo film da riscoprire a testimonianza di quanto il protagonista di Dolce Vita fosse duttile.

Oci Ciornie Nikita Michalkov 1987

Cechov è eterno. Bastato su alcuni racconti dello scrittore russo Anton Cechov il film racconta la storia di un uomo incapace di credere nel prossimo e incapace di dire la verità . L’eccessiva paura di esporsi di Romano lo porterà anche a perdere l’ultima occasione di vivere un sentimento profondo con una donna che non lascerà mai entrare del tutto nella sua vita. Intrappolato in un matrimonio senza trasporto, preferirà perpetuare la sua condizione invece che lasciare la moglie cominciando una nuova vita. Giocato tra realtà e fantasia, il film è un delizioso adattamento delle parole dell’autore de Il giardino dei ciliegi che vede Mastroianni nel ruolo di un protagonista ironico e rassegnato. Si assiste a una storia carica di maestria che alterna ironia a riflessioni sullo scorrere del tempo e sulle paure. Terza nomination all’oscar per Marcello che riesce a trasmettere il fallimento della spinta vitale del personaggio attraverso un’interpretazione che alterna momenti di ironia a pensieri malinconici. Un film sottovalutato nonostante l’incredibile risultato, da riscoprire per rendersi conto di quanto la rassegnazione possa essere il più grande errore.

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