Rosario Livatino e Aldo Moro. Oggi un magistrato beato, quarantatré anni fa il ritrovamento di un corpo

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Questa mattina, nella cattedrale di Agrigento, il «giudice ragazzino» Rosario Livatino, magistrato-martire della giustizia (https://www.ilsaltodellaquaglia.com/2020/12/22/rosario-livatino-il-giudice-ragazzino-e-beato/), ucciso in odio alla fede dalla «stidda» il 21 settembre 1990 a meno di trentotto anni viene proclamato beato.

Rosario Livatino, come il prefetto e governatore delle provincie del nord (le attuali Lombardia, Liguria ed Emilia) Ambrogio (340 ca-397), è un uomo, un magistrato innamorato di Dio, un homo viator incline – per formazione e educazione – a camminare sui sentieri della giustizia e della pace. In questa circostanza – la beatificazione, appunto – risuona ancora più forte il grido di Giovanni Paolo II, al termine dell’omelia pronunciata nella Valle dei Templi proprio il 9 maggio 1993: «Non uccidere! […] Convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio».

Il 9 maggio 1978 è anche una data storica, «periodizzante» (come da anni insegna il professore Salvatore Distefano). Dopo cinquantaquattro giorni difficilissimi dal rapimento, viene ritrovato, in via Caetani, il corpo del Presidente Aldo Moro. Un ritrovamento «simbolico» poco distante dalle sedi del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana.

Aldo Moro – ricorda il nipote Renato Moro, professore di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi «Roma Tre» – è un uomo del Sud. Il padre pugliese, un ispettore scolastico, la mamma calabrese, un’insegnante credente e vicina ai movimenti di emancipazione della donna. All’età di ventidue anni consegue la laurea in Giurisprudenza, con il massimo dei voti. Una grande figura che con la sua tragica fine – e pochi anni dopo con la morte di Berlinguer (l’11 giugno 1984) – segna la crisi della Repubblica, di quella Repubblica «espressione» istituzionale della Carta Costituzionale.

Dell’operato di Aldo Moro – desidero da docente ed educatore ricordare – l’iniziativa didattico-legislativa di rendere obbligatoria a scuola, nel 1958, l’Educazione civica: una grandissima intuizione che rappresenta una chiave decisiva per comprendere la società contemporanea.

Questi due grandi e diversi uomini hanno scelto di sedere sulle «spalle di giganti», sopra l’auctoritas di «pietre« miliari e fondanti come i Vangeli, gli insegnamenti di Cesare Beccaria, di Giuseppe Mazzini e di tanti altri uomini e donne che nel cammino della Storia – tra memoria e saggezza – costituiscono la nostra imperitura carta d’identità di Italiani ed Europei.

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