I referendum sulla giustizia: l’uso distorto dello strumento referendario

Articolo di Massimo Rossi

Questo periodo di pandemia ha messo a dura prova anche le menti più acute e maggiormente allenate. È molto singolare vedere stringere le mani da parte del Presidente delle Camere Penali a chi sostiene “che la difesa legittima è sempre legittima”. Sicuramente, tra i radicali che hanno sempre lottato per le libertà individuali e per la Giustizia vi sono persone che si sono mosse con il massimo impegno ed i migliori auspici. I radicali non sono una forza politica oggi rappresentata in Parlamento e, quindi, è normale che possano rifarsi allo strumento referendario sia come mezzo di propaganda sia come strumento di sprone nei confronti di una classe politica che non è più abituata a scegliere ed a decidere. La provocazione dei referendum è, con certezza, uno strumento efficace, ma non del tutto condivisibile (il metodo è fondamentale). È, con certezza, uno strumento, al quale un partito politico non presente in Parlamento, guarda con favore; è uno strumento democratico. I referendum – peraltro – toccano temi vitali ed essenziali del mondo della Giustizia ed affrontano temi difficilmente non condivisibili, almeno, circa l’urgenza e la necessità del confronto. Il punto non è se i temi non siano centrali per il mondo della Giustizia; il tema vero è se lo strumento del referendum è quello corretto e più utile al fine preposto.

Il referendum, nel nostro sistema costituzionale, è solo abrogativo e non ha valore legislativo o consultivo. Il referendum nel nostro sistema è stato pensato per eliminare leggi che il popolo non sente più attuali (fa eccezione quello per modifiche costituzionali). Nel nostro sistema vige quella regola denominata “mandato parlamentare” (molti lo hanno dimenticato). Ovvero, siccome la nostra Repubblica è una Repubblica Parlamentare e siccome il Parlamento fa le leggi non è accettabile che tale ruolo (se non quello di abrogarle) sia rimesso al Popolo. Non è un segno di democrazia tutto ciò, ma è il segno di una totale mancanza di capacità decisionale ed è una violazione del mandato parlamentare. Le elezioni politiche danno un mandato libero agli eletti, ma lo danno e gli eletti devono rispettarlo. Il rimettere agli elettori delle decisioni che sono dei parlamentari è il venire meno del rapporto di mandato, è il venire meno della democrazia parlamentare. L’idea di rivolgersi da parlamentari al Popolo degli elettori è semplicemente incostituzionale perché spezza (e fa venire meno) il ruolo determinante del “rapporto di mandato”. Questa idea bislacca ha fatto breccia nelle menti poco avvezze alle tematiche giuridiche con l’avvento del Movimento denominato “5 Stelle” e con la “Piattaforma Rousseu” (una vera e propria consacrazione della demagogia imperante).

Una follia in termini politici, una vera e propria aberrazione in termini giuridici. Il parlamentare non può rivolgersi al Popolo indistintamente una volta eletto per sapere cosa deve fare; mina il suo ruolo e lo svilisce. Il parlamentare – in forza del mandato ottenuto – deve sapere cosa fare (essendo nel suo programma elettorale) e farlo, non ci sono alternative e/o scorciatoie. Se non lo fa in modo soddisfacente non sarà rieletto, ma non è democrazia quella che nasce dalla “consultazione” della Piattaforma Rousseu” che è espressione della minoranza degli elettori. Non è questo il metodo che si deve adottare. Il mandato parlamentare obbliga il deputato o senatore a svolgere la propria attività nel rispetto dei valori e dei principi che si sono rappresentati in campagna elettorale. Se poi si è forza politica rappresentata in Parlamento non si può accedere ai referendum abrogativi con tanta leggerezza, ma si ha l’obbligo istituzionale e di mandato di fare proposte di legge e chiedere il consenso delle forze parlamentari per farle approvare. Non vi è una strada diversa da questa. Altrimenti, si tradisce il compito istituzionale e di mandato avuto con le elezioni che sono il più alto valore democratico. La democrazia non è chiedere al Popolo cosa fare, ma è, una volta eletti, fare cose per il Popolo che si sono promesse. È sciocco e banale il sistema adottato, ma – e questo ci spiace molto – non viene detto da alcuno (hanno paura di perdere consensi).

Anche gli organi di informazione ed i giuristi costituzionalisti non si sono indignati e non hanno fatto riflessioni sul punto (se non sporadiche). A parere di chi scrive hanno perso una buona occasione. La democrazia parlamentare ha sofferto di ignavia e di ignoranza; ignoranza che ha colmato anche fisicamente i banchi e gli scranni di Palazzo Madama e Palazzo Montecitorio. L’idea perversa che “uno vale uno” è una follia logica ed una deriva politica che porta solo al caos delle idee ed alla “dittatura dei peggiori”. Ma vi è un altro tema che non può essere sottovalutato: cosa porta l’abrogazione delle norme oggetto di questi referendum? La risposta delle forze che l’hanno proposti è che il Parlamento farà nuove leggi. La verità giuridica e non fantasiosa è diversa: porterà ad un vuoto normativo (nella ipotesi dell’abrogazione). Vuoto normativo che significa spazio non regolamentato e poi sarà sempre il Parlamento (organo delle leggi) a dover scrivere nuove norme. Un Parlamento che tra le immense divisioni, le profonde ignoranze della materia e l’epilogo della legislatura difficilmente potrà occuparsi di temi così importanti e significativi. Quindi, non è difficile prevedere che se si dovesse arrivare al quorum per poter effettuare la tornata referendaria e la consultazione desse ragione ai proponenti (rilevante come è nota la partecipazione degli elettori alle consultazioni 50%+1) si giungerebbe ad uno stallo normativo che in poco più di un anno, difficilmente, sarebbe colmato.

Siccome, non ci piace criticare senza offrire soluzioni alternative non ci fermiamo qui. Le forze politiche presenti in Parlamento hanno un dovere: fare proposte di legge e farle approvare. La via maestra è sempre quella da preferire. Si faccia una proposta di legge, ci si confronti con le altre forze politiche, si trovi (se possibile) un punto d’incontro e si lavori su questo. Si pongano delle priorità e si facciano delle calendarizzazioni incalzanti. Anche perché non vi sono alternative al Parlamento per fare le leggi e, visto alcuni soggetti, possiamo anche affermare a denti stretti “menomale”. Occorre che la democrazia rientri nell’alveo istituzionale, alveo che negli anni ha profondamente lasciato preferendo affermazioni ad effetto e spot nei social. La vera politica si riprenda le sedi costituzionali ed istituzionali e smetta di scimmiottare solo per parlare alla pancia dell’elettorato e si guardi di più alla testa ed al cuore con quelli che si può fare progredire la nostra amata Patria. I referendum sono un segnale di disagio, ma essi non sono la soluzione, sono la spia dell’olio e non l’olio che evita di fondere il motore della macchina. L’olio è la democrazia compiuta che ci hanno lasciato i nostri Padri della Patria, l’olio è la responsabilità nell’agire e nello scegliere, l’olio è il rispetto del mandato parlamentare.

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