La riforma della giustizia e le falle a bordo

Articolo di Massimo Rossi

La Ministra Cartabia si è impegnata, da subito, a superare l’imbarazzante momento istituzionale rappresentato dalle “riforme” del precedente Ministro Bonafede, il quale ha generato la peggiore riforma della prescrizione della storia repubblicana. L’impegno era preciso e l’impegno è stato mantenuto. Si è costituita una Commissione di esperti che hanno fatto le loro osservazioni su alcuni “correttivi” normativi nel settore penale. La Commissione presieduta dal Presidente Emerito della Corte di Cassazione Dott. Giorgio Lattanzi ha fatto un ottimo lavoro mettendo a fuoco i temi cruciali del processo penale. Da tale comunicazione è nato il “ddl penale” sbandierato dal Governo Draghi, come lo strumento, attraverso cui l’Italia può (di diritto) raccogliere i soldi provenienti dall’Europa. Un tema già questo che non è proprio di altissimo profilo: poter accedere a dei soldi a scapito di garanzie per i cittadini. Ma c’è un altro passaggio logico che, a nostro parere, cozza con il sistema democratico: l’ingerenza dell’Europa nella legislazione nazionale ed in particolare in quella penale. Si badi bene che conosciamo, perfettamente, i lacci ed i laccioli, nei quali l’Europa a trazione Franco-Tedesca ha inteso ed intende portare il resto dei Paesi, ma vi è un limite invalicabile: la nostra Costituzione.

Il tema, come si vede, è per nulla semplice e per nulla accennato a livello di informazione. L’Europa ci da i fondi a patto che i nostri Tribunali siano efficienti. Sfornino sentenze come una catena di montaggio sforna autovetture o altri prodotti della tecnocrazia. Questo non è accettabile. Questo è (o può essere) contro le garanzie costituzionali e di diritto sostanziale e processuale. L’Europa – che se ne dica – non è una federazione di Stati. L’Europa non è un soggetto che fa venire meno per gli Stati Membri la propria sovranità nazionale intesa, principalmente, come sovranità legislativa. L’Europa, proprio in merito al diritto penale, ha un “controllo”, attraverso la Corte Europea, ma non ha una legislazione penale a cui conformarsi. Non esiste un diritto penale europeo. Esistono norme europee di rango costituzionale, ma esse (nessuna) confligge con i principi della nostra Carta Costituzionale. Non riteniamo di essere andati fuori tema. Abbiamo parlato di Europa perché la riforma Cartabia ha uno spirito ben preciso, ovvero, quello di “sfornare” una modifica delle norme processuali, in modo tale che i Tribunali (penali) siano più efficienti. E qui è il vero problema: non si tratta di una riforma strutturale e di largo e profondo respiro (come sarebbe stato necessario, si veda articolo sul Dubbio del 21.07.2021 del Prof. Paolo Ferrua), ma si tratta di una riforma dettata da esigenze di cassa.

Questo non ci piace. Le mani sul processo penale non si possono mettere senza un preciso progetto strutturale e disegno complessivo. Non si può toccare il processo penale solo in alcuni punti e lasciarli intatti altri. Non si può non vedere che la vera riforma è da fare sulle modalità operative ed organizzative dei Tribunali che sono vetuste. La riforma digitale deve essere effettiva e deve funzionare per poter determinare quel salto di qualità che il sistema penale complessivo richiede. La digitalizzazione deve essere incrementata, ma deve esserci un organismo amministrativo in grado di recepire la riforma, non come adesso che vi sono amministrativi del tutto digiuni della digitalizzazione e sistemi operativi che non funzionano. La piaga, però – a nostro parere più rilevante – è l’enorme numero di reati (molti bagatellari) contenuti nel codice penale e nelle leggi speciali che uniti alla obbligatorietà dell’azione penale, produce solamente un pachidermico sistema che funziona allo stesso modo per una contravvenzione o un delitto di cui è competente la Corte di Assise. Tutto ciò, unito – dobbiamo dirlo – ad un insufficiente numero di amministrativi nelle varie segreterie e cancellerie (dove si annidano ancora soggetti presi senza preparazione e concorsi negli anni ’80-’90) e ad una totale assenza di controllo (anche disciplinare) circa l’attività dei PM.

Nelle segreteria dei PM “dormono” sonni beati fascicoli che meriterebbero una definizione (archiviazione o giudizio). Non bisogna solo fare presto nel processo penale, ma occorre che siano garantite tutte le posizioni processuali, nessuna esclusa. Troviamo, profondamente, anormale che si pensi ad una improcedibilità in Appello o in Cassazione se non si definisce il processo in tempi brevissimi. La riforma sul punto (anche se ve ne sono altri) riteniamo sia impropobile perché penalizzerebbe solo due categorie: gli imputati innocenti e le persone offese. Andrebbe a penalizzare proprio i soggetti che nel processo dovrebbero trovare le massime tutele e riconosciute le loro ragioni. Facendo, invece, un favore immenso a chi è imputato colpevole che potrebbe vedersi “eliminato” il processo proprio per la lentezza del sistema (lentezza uguale cancellazione). Peraltro, non convince nemmeno la riforma della prescrizione. Meglio sarebbe stato ritornare a quella Orlando che non era una cosa eccezionale, ma almeno aveva una sua logica intrinseca. Anche in questo caso, il problema è di sintesi politica tra le diverse anime di un governo che è un arcobaleno di contraddizioni. I 5 Stelle devono rendersi conto che la riforma della prescrizione di Bonafede era una vera e propria follia giuridica (che ne dica Conte).

Ma al tempo stesso non si può, per dare il contentino a 5 Stelle, riformare in un modo incomprensibile e deleterio. La soluzione è difficile da inquadrare, ma alcune strade possono essere tracciate:

1) una forte depenalizzazione di norme che, ormai, sono fuori dal contesto di tutela di beni principali;

2) riforma costituzionale della obbligatorietà dell’azione penale.

La prima riforma è impopolare, ma a nostro parere, del tutto necessaria per non dire impellente. La seconda va studiata molto bene perché con il clima che c’è adesso in Magistratura ed in particolare nelle Procure la modifica della obbligatorietà dell’azione penale darebbe maggiore potere a queste. E come si è rivelato con il caso Palamara ed Amare, con un CSM che ha preso delle decisioni, a dire poco imbarazzanti, appare molto rischioso rimettere nelle mani di soggetti che hanno dato segnali poco rassicuranti in termini di garanzie istituzionali. Ma – e gli avvocati ed i magistrati lo sanno – l’obbligatorietà dell’azione penale è un principio costituzionale già da tempo , di fatto, disapplicato. La riforma del processo penale dovrebbe essere complessiva e disegnare un reticolo di garanzie e responsabilità per tutti i soggetti del processo.

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