Aristide Massaccesi, il regista artigiano

Articolo di Gordiano Lupi

Non abbiamo la pretesa di aver detto tutto quello che c’era da dire su un autore come Aristide Massaccesi che con la sua opera ha attraversato tutto il cinema di genere italiano dagli anni Settanta agli anni Novanta. Massaccesi è stato il classico regista artigiano, quello che sa fare di tutto con pochi mezzi, soprattutto riesce a  farlo bene e in poco tempo. Veniva da una famiglia di cineasti: il padre lavorava come capo tecnico elettricista e lui ha respirato cinema sin da bambino. A dodici anni andava a bottega dal nonno di Lamberto Bava per imparare come si facevano i titoli sulle pellicole. Ha iniziato così Aristide Massaccesi, tagliando striscioline di nomi di attori e fissandole sulla pellicola. Poi non ha più abbandonato il cinema, cominciando come fotografo con Francesco Alessi, dove caricava le lastre di vetro con una gelatina impressionabile per realizzare la fotografia. Ha lavorato con il padre come elettricista per necessità, perché in famiglia erano molti fratelli e qualcuno doveva portare i soldi a casa. Ha fatto l’assistente operatore per una casa cinematografica che noleggiava personale e macchine, quindi il direttore della fotografia, il direttore di produzione, l’assistente regista e infine il regista. La sua passione resta la fotografia e in quel campo è un vero maestro. “La luce mi ha sempre affascinato”, ha detto a Davide Pulici e Manlio Gomarasca in un’intervista rilasciata a Nocturno Cinema. Tra l’altro, quando comincia a fare le prime regie, utilizza nomi di comodo per il timore di non essere più chiamato per dirigere la fotografia dai colleghi registi.

Il marchio di fabbrica di Massaccesi resta l’uso della macchina a mano, tecnica di ripresa nata come risparmio di tempo, ma che verrà utilizzata sempre di più. La macchina a mano conferisce maggior verismo a certe scene, Massaccesi la utilizza per inseguire gli attori, per i primissimi piani, per fissare dettagli, soprattutto nelle sequenze erotiche. È noto che Massaccesi filmava le donne con la camera a mano quando si spogliavano, sdraiandosi per terra e riprendendole dal basso verso l’alto. “Vengono meglio, sono più sensuali” diceva.

Ha fatto film con materiali di scarto, avanzi di pellicole importanti, cose realizzate in tre giorni, senza farsene mai un problema. Ha saputo tirare fuori prodotti dignitosi dal niente. Si pensi a pellicole come Eroi all’inferno o Scansati a Trinità arriva Eldorado, che sono puri film di montaggio. Ha girato soltanto una pellicola  con il suo vero nome (La morte ha sorriso all’assassino) lasciando alla storia del cinema una fantasiosa collezione di pseudonimi. Ha girato oltre duecento film e negli ultimi anni della sua vita si è dedicato quasi esclusivamente al porno. Resta famoso per le poche pellicole horror – splatter e per l’erotismo. Massaccesi amava il genere horror, era il suo prediletto, quando realizzava film di quel genere ci metteva tutto il suo estro e la sua genialità. Ha sempre avuto il coraggio di mostrare quello che altri non facevano vedere: banchetti cannibalici, teste mozzate, membra divelte e sangue. Tutto quello che coinvolge e sconvolge il pubblico. Nei film horror (ma anche in altri generi) ha avuto come collaboratore per la sceneggiatura Luigi Montefiori con il quale è sempre stato legato da un rapporto di amore-odio. La differenza di idee spesso li ha portati a scontrarsi e a dibattere certe situazioni, ma l’amicizia non è mai finita. Massaccesi ha pure lanciato Montefiori nelle sue prime prove da regista, a dire il vero poco convincenti. Amava anche l’erotismo.

“Erotismo è tutto quello che non é hard. L’hard è la completa distruzione dell’erotismo. Erotismo per me è voyeurismo. Tutto ciò che non vedi e intuisci”. Ha confidato a Davide Pulici e Manlio Gomarasca di Nocturno. E nei suoi film erotici questa concezione viene messa in pratica. Basti pensare alla serie Emanuelle, forse quella che gli ha dato il maggior successo sul finire degli anni Settanta. Una sorta di erotismo geografico, ben sceneggiato, soprattutto ben fotografato, inserito in una dimensione di viaggio e di scoperta. Massaccesi avrebbe anche voluto rilanciare il personaggio di Emanuelle, ma la Gemser ha sempre rifiutato di tornare a interpretarlo.

L’hard lo ha fatto solo per motivi alimentari, in realtà la vera passione di Massaccesi resta la dimensione erotico-soft, ed è qui che ha dato il meglio di sé. Per dirla con Antonio Tentori “Massaccesi è un regista che sa dare l’impressione di mostrare tutto senza in realtà mai farlo. Le pellicole soft appaiono spesso come dei veri hard, mentre i veri film porno finiscono per vanificare in parte la sua abilità di far vedere il non visibile”.

Tra i maestri dell’erotismo cui Massaccesi si ispira c’è Tinto Brass, anche se per lui il più grande regista erotico italiano è Salvatore Samperi. L’autore di Malizia(1973) aveva la prerogativa di far intravedere più che mostrare e in questo va d’accordo con le idee di Massaccesi. 

Quando Massaccesi è morto i giornali hanno scritto che se n’era andato il re del porno. In realtà questa definizione è molto limitante. Massaccesi era uomo di cinema, che nel cinema ha fatto di tutto. Dava al mercato ciò che il mercato chiedeva senza farsi troppi problemi. Per far questo aveva fondato una sorta di factory  che ha lanciato giovani registi horror (Michele Soavi con l’ottimo Deliria, pure se poi ha preso altre strade) e incoraggiato produzioni che altrimenti non sarebbero mai state realizzate.

Luigi Cozzi, che ha collaborato con Massaccesi per la sceneggiatura di Paradiso blu (insieme a Gianluigi Zuddas) e che ha sistemato le sceneggiature dominicane di Orgasmo nero e Sesso nero, lo ha visto all’opera sul set e lo ricorda così.

“Come regista Aristide era cinico e sbrigativo. Badava al racconto e  alla sua continuità e basta. Non si curava più che tanto di bilanciare le inquadrature e trascurava del tutto la recitazione: gli bastava che gli attori facessero i gesti corretti e dicessero decentemente le battute fondamentali. Tutto il resto per lui era superfluo. Aveva anche una singolare concezione di ciò che andava messo sullo schermo. In Orgasmo nero, dato che avevo scritto un dialogo piuttosto lungo,  volle inserire qualcosa per tener desta l’attenzione dello spettatore. Massaccesi fece recitare a una donna e a un uomo una masturbazione, mentre gli attori principali parlavano seduti al bar. Ecco come, secondo Aristide, si poteva ravvivare una scena!”. (A proposito di Joe D’Amato in Horror made in Italy vol. 2, pag. 223-224).

Adesso che Joe D’Amato non c’è più il cinema di genere italiano sente la mancanza di un autore irriverente, che con metodi di ripresa diametralmente opposti sapeva sconvolgere sia con l’horror che con l’erotico.

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