I colori della misericordia raccontati da san Luca attraversano ognuno di noi

Articolo di Pietro Salvatore Reina

La Chiesa universale – Madre de’Santi; immagine / della città superna (Manzoni) – ricorda (dal latino -re più cor: vuol dire «ri-chiamare in cuore») e festeggia il 18 ottobre l’evangelista Luca. Patrono di artisti, pittori, chirurghi, medici.

Ma cosa sappiamo di quest’uomo? Probabilmente Luca è un’abbreviazione del nome Lucano e una lunga tradizione, confermata dagli Atti degli Apostoli (11, 1-26), lo vuole originario di Antiochia – in questa città fu utilizzato per la prima volta il termine «cristiano» – ove probabilmente conosce l’apostolo Pietro. Verso l’anno 40 Luca è compagno di san Paolo in alcuni suoi viaggi: «Luca solo è con me» scrive l’apostolo Paolo nella seconda lettera a Timoteo (2 Tm 4,11) redatta a Roma durante l’ultima prigionia che lo porterà al martirio. Sempre Paolo ricorda l’amico Luca e lo menziona tra i suoi più stretti collaboratori nella Lettera ai Colossesi: «Vi salutano Luca, il caro medico e Dema».

L’originalità della tecnica narrativa dell’evangelista Luca si manifesta subito già nel prologo del suo Vangelo. L’unico scritto neotestamentario che incastona i tratti delicati della Vergine Maria che egli ha conosciuto e ascoltato di persona. La tradizione di origine orientale presenta Luca come «pittore del volto di Maria». La testimonianza più antica è quella dello storico bizantino Teodoro il Lettore (520 ca) il quale afferma che la regina Eudocia mandò da Gerusalemme alla regina Pulcheria un quadro della Madre di Dio dipinto dall’evangelista Luca. Quanti artisti, poi, hanno intinto i loro colori nelle parole del Magnificat – gemma letteraria del vangelo lucano – dando vita a opere d’arte di inestimabile valore (Botticelli, Antonello da Messina, Pontormo, Chagall, ecc.). Ma l’originalità di Luca si manifesta soprattutto nella parte centrale del Vangelo dove racconta l’autorevole insegnamento del Maestro Gesù attraverso una serie abbondantissima di parabole come quella del buon samaritano (Lc 10, 29-37) del cosiddetto “figliol prodigo” (15, 11-32) ecc.. Parabole che solo l’evangelista Luca racconta, tratteggia e che schiudono, rivelano la luce, i colori della misericordia che hanno incantato, fatto innamorare, solo per fare qualche nome, Vincent Van Gogh, E. Delacroix, Rembrant. Pagine di grande stupore che ri-velano il grande talento letterario del medico antiocheno ma soprattutto l’affascinante parola di Gesù. Fra le righe del vangelo lucano non mancano neppure tracce di linguaggio medico (febbre alta, 4, 48; paralisi 5,18) testimonianza non solo dell’attività professionale dell’apostolo ma soprattutto manifesto della tenerezza di Gesù e – a priori – della grande qualità e potere terapeutico che l’Arte possiede in sé.

Lo stesso Sommo Poeta Dante Alighieri attratto dalla delicata finezza della tenerezza narrativa dell’apostolo lo chiama «scriba mansuetudinis Christi».

Le luci della tenerezza, i colori della compassione, il volume in arte del magistero del maestro Gesù di Nazareth vorrei, in un viaggio conoscitivo e salvifico, esplorare insieme all’uomo, all’artista, al docente e amico Massimiliano Ferragina ((https://ferraginart.onweb.it/).

D.: Professore Massimiliano Ferragina, in quest’anno dantesco nel quale celebriamo i settecento anni dalla morte di Dante (1321-2021), in quali autori e quadri ha scoperto le parole «tenerezza, compassione, autorità magisteriale della parola di Cristo» hanno catturato e fecondato la sua formazione di uomo, artista e docente?

R.: Le celebrazioni in questo anno dantesco sono di grande importanza per l’Italia e per il mondo intero. Dante è conosciuto ovunque, la bellezza del suo pensiero ancora attualissimo, non smette di generare meraviglia e sapere. Per rispondere adeguatamente alla domanda e quindi cercando delle opere nella mia formazione come uomo e come artista che mi hanno evocato sentimenti di tenerezza e commozione non ho dubbio alcuno si tratta del “Crocifisso bianco” di Marc Chagall. Un’opera che oltre la sua bellezza compositiva, traduce il Christo patiens nell’uomo ebreo che soffre, e oserei dire nell’uomo sofferente tutto. Quest’opera mi emoziona perché Dio interviene nella sofferenza umana con una luce “tenerissima” bianca, trasparente, diffusa, che accarezza le fragilità umane e le trasfigura. Una crocifissione senza sangue, di una sofferenza subita nascosta dignitosa una crocifissione che domina su un mondo ebraico ma universale dove incontriamo l’errante, il fuggitivo, il migrante, la vittima di guerre e violenze. Trovo l’opera tenera e compassionevole perché delicata, luminosa, con tanti simboli di speranza seppur in un vortice di sofferenza. La bellezza è proprio espressa in questo concetto, riuscire ad essere teneri e compassionevoli anche se travolti dall’orrore.

D.: Professore Ferragina le parole del Magnificat celebrano ineffabilmente il più grande evento storico e di fede di sempre – centro e cardine anche della Commedia di Dante – l’Incarnazione. Le parole di Maria mostrano una donna innamorata di Dio ma anche tormentata da umanissimi dubbi e angosce. Questi attraversano tutta la Storia dell’Arte dalla Preistoria ad Oggi. Quale senso, significato, valore offre l’Arte e la tua arte personale alle ansie, alle preoccupazioni in questo tempo difficile di pandemia e/o forse di post-pandemia, speriamo.

R.: Il Magnificat è il più bel Cantico della storia. E questo non poteva sfuggire a Dante ovviamente…Maria emerge come donna che da serva diventa beata in virtù del suo fiat. Le ansie di Maria vengono riscattate dalla fede esuberante, nell’accezione più positiva del termine, le ansie diventano canto liberatorio. E così avviene nella pittura e nella mia pittura particolarmente. Ci si accosta alla tela con un miscuglio di stati d’animo, con un tutto un carico di suggestioni, percezioni, emozioni sedimentate nel tempo e nell’esistere. Sulla tela avviene il trasferimento, non che le paure e le ansie svaniscano…ma diventano visibili e quindi dominabili. Questo complesso processo psicologico ed artistico avviene ogni volta, e ogni volta in maniera nuova ed inedita. Con la pandemia e le conseguenze generate dal Covid per me l’arte è stata medicina.

D.: Massimiliano, in questo periodo di emergenza sanitaria quale persona, incontro, viaggio, lettura ha ridato colore nuovo alla tua intima tavolozza di pittore che nei colori trasfigura la Vita?

R.: La mia pittura si nutre quotidianamente di elementi provenienti dalla mia esperienza umana. Credo sia così per ogni artista. Nel tempo di emergenza l’esperienza umana è stata messa alla prova, restrizioni, notizie di morte quotidiane, la speranza dei e nei vaccini. Quello che più mii ha aiutato a ridare colore alla mia tavolozza è stato l’incontro col Santo Padre Francesco il 23 giugno 2021. Mai avrei immaginato che in tempo di Covid avrei potuto abbracciare e parlare con papa Francesco. In quella dozzina di minuti ho sintetizzato tutto quello che desideravo ritirare fuori con le parole “Santo Padre benedica il mio essere artista”. Questo ha dato slancio, propulsione alla mia vita artistica, umana, cristiana.

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