“Fatalità”, quarto e ultimo film interpretato da Nino D’Angelo sotto la guida di Ninì Grassia

Articolo di Gordiano Lupi

Fatalità è il quarto e ultimo film interpretato da Nino D’Angelo sotto la guida di Ninì Grassia, il suo scopritore, esattamente dieci anni prima con Celebrità (1981), film che dette il via al fenomeno dei musicarelli napoletani a metà strada tra sceneggiata e commedia sentimentale. In breve la trama. Nino Santoro (D’Angelo) è un giovane rappresentante di calzature, povero ma felice, sposato con Anna (Soldano), che un giorno conosce la malafemmina Barbara Chierici (Bartoli), figlia di un calzaturiere, e ne diventa l’amante. Barbara organizza una truffa ai danni del padre e della ditta per conto della quale Nino lavora, i due fuggono a Roma, ma Nino viene arrestato e infine la donna lo tradisce mentre lui è in prigione. Nino si rende conto di essere stato uno sciocco, ma è troppo tardi, dopo sette anni rientra a Napoli, conosce il cantante di avanspettacolo Gino Ramaglia (Paolantoni) che gli dà un passaggio, diventa suo amico e lo invita a vivere a casa sua. La svolta della vita avviene quando Nino salva da uno scippo l’armatore Aristide Iannotti (Villa) che per riconoscenza lo assume insieme a Gino come cameriere nella sua villa. Nino si trova di fronte alla dura realtà: la sua ex moglie abbandonata si è rifatta una vita sposando l’industriale che ha adottato la piccola Antonella, la figlia che non sa di avere, nata quando lui è fuggito a Roma con l’amante. L’ex moglie odia Nino con tutta se stessa, non vuole che la bambina sappia la verità, lo mette in difficoltà come cameriere e fa di tutto perché non si veda con la piccola, che invece prova simpatia per lui. Aristide verrà a sapere la verità e nella sua totale bontà dirà ad Antonella il nome del vero padre, spingendola a raggiungerlo alla stazione prima che vada via per sempre. Finale romantico con immancabile corsa e abbraccio al ralenti, una tantum non per una donna, ma per una scena d’amor filiale, commovente anche se abbastanza kitsch

Ninì Grassia si conferma scopritore di talenti, lanciando con Fatalità un ottimo Paolantoni nei panni del cantante trash Gino Ramaglia – personaggio che porterà in televisione -, famoso nelle balere sul mare per la canzone di serie Z Accidenti a te. Divertente il suo modo di parlare a scatti e quando esclama Sono sbigottino!, invece di sbigottito. Nino D’Angelo prova a riconvertirsi come attore puro, più drammatico, alle prese con un soggetto articolato (pur se piuttosto improbabile), sceneggiato da Grassia a base di colpi di scena, incontri inattesi e storie di vita che si intersecano nel corso di sette anni. Non ha più il casco d’oro, i capelli sono neri, viene doppiato in napoletano, non canta durante l’azione scenica, ma riserva la sua musica (insieme ad Antonio Annona) per la colonna sonora neomelodica. Nina Soldano è la moglie, prima dolce e comprensiva, poi ferita e vendicativa, buona attrice che rivedremo in televisione (fiction e programmi) e al cinema. La malafemmina è una poco nota Veronica Bartoli, molto sexy nelle sue mise con vestiti rossi e scosci ammiccanti, al punto di convincere Nino a interpretare – con evidente imbarazzo – un paio di scadenti sequenze erotiche. Importante il ruolo di Gabriele Villa (in altri film di solito il ricco padre della ragazzina di turno, contrario al matrimonio), benestante imprenditore tutto cuore, un vero e proprio angelo della bontà, disposto a sacrificare la sua vita per il bene degli altri, soprattutto della figlia adottiva. La piccola Maridea Santovito interpreta in maniera credibile la figlia di Nino con momenti vicini al lacrima movie e al cinema sentimentale, soprattutto il finale.

Ninì Grassia non è un regista raffinato, anzi risulta schematico e grezzo, in questo periodo si dedica molto al cinema erotico di bassa fattura e le conseguenze si notano in alcune parti meno riuscite di Fatalità. Il tentativo sarebbe quello di riportare in auge una sorta di sceneggiata napoletana adattata ai tempi moderni, con la musica in sottofondo e una storia basata sui consueti temi: amore, tradimento, amicizia e figli. Il risultato è forse il miglior film di Ninì Grassia, pur restando confinato nel cinema di genere puro, in un melodramma romantico che profuma di fotoromanzo sentimentale e di telenovela sudamericana. I buoni sono troppo buoni, soprattutto Aristide (Villa), che pensa soltanto agli altri e al bene del prossimo, ma anche Nino che si ravvede dopo l’esperienza con la malafemmina, l’amico Gino, sempre disponibile, e la bambina che non conosce il padre ma vuole vederlo, sa persino di amarlo senza averlo mai incontrato. I cattivi, invece, visto il genere di storia, sono perfidi: Veronica Bartoli è la sola protagonista negativa, riveste un ruolo da donna fatale che usa la sensualità come arma per sedurre e ingannare. Nina Soldano è cattiva oltre misura nei confronti dell’ex marito fedifrago ma ne ha motivo, in ogni caso si comporta da donna tradita che nel finale si commuove vedendo l’abbraccio tra padre e figlia.

Il film è girato tra Napoli, Roma (poche sequenze), Amalfi (il duomo e il lungomare), Ravello, Pontecagnano (incontro tra D’Angelo e Paolantoni) e la stazione Amalfi – Vietri sul Mare (sequenza finale padre – figlia). Alcuni flashback onirici riportano in auge il passato e i ricordi mentre Nino passeggia da solo per le strade di Amalfi e sul lungomare di Ravello ripensando agli errori commessi e alla vita che faceva sette anni prima. Fotografia marina solare di Ciccarese. Montaggio compassato di Colangeli. Musiche languide, da cinema sentimentale. Dialoghi da dimenticare. La critica. Marco Giusti (Stracult): “Nino D’Angelo si muove, in questo film, quasi come i guappi di Merola. Per colpa di una malafemmina, molla la moglie e finisce in galera per sette anni. Poi torna a Napoli e fa amicizia con Francesco Paolantoni, qui al suo esordio cinematografico nei panni di un suo cavallo di battaglia, il cantante di serie Z Gino Ramagli. A Napoli Nino scoprirà di avere una figlia, Antonella. Ma la mamma, che si è risposata con un ricco armatore, non vuole che lui la veda. Il dramma vede nel finale Nino sbavare per assistere alla prima comunione della figlioletta”. Buona parte della trama, soprattutto il finale, è inventato, ma ormai si sa che Marco Giusti è un fantacritico. Pino Farinotti (una stella): “Se sono rimasti ancora degli appassionati di Nino D’Angelo, e si suppone che ce ne siano, questo è un film esclusivamente per loro. Sposato, Nino lascia la moglie per un’amante molto danarosa. Vuole il destino che questo sia anche uno dei più brutti film del cantante, ammesso che quelli passati siano passabili”. Commento che si giudica da solo per il pressapochismo becero, perché non racconta la vera trama e giudicare (quasi con certezza) senza aver visto. Fa meglio Morandini che omette il giudizio. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Solo e povero, dopo aver lasciato la famiglia sette anni prima per un’avventuriera ed essere finito anche in prigione, Nino Santoro viene aiutato dapprima da un attore male in arnese e poi da un generoso armatore, che assume entrambi come domestici: troppo tardi scoprirà che il suo benefattore è sposato con la sua ex moglie e che la piccola Antonella è sua figlia. D’Angelo cerca di rinnovarsi riducendo il ruolo delle canzoni e puntando su una trama più complessa, in cui il destino si trasforma in giudice morale (mettendo il marito traditore alla mercé della moglie abbandonata). La regia di Grassia (anche sceneggiatore) è come sempre schematica e si respira un’aria di insopportabile buonismo (l’abbraccio finale, al ralenti, tra padre e figlia, è da annali del kitsch), ma le performance di Paolantoni – che anticipa gag poi rese celebri in tv – non sono male”. Il Davinottiriporta diversi giudizi antitetici che vanno dal non male al mediocre, passando per lo scarso e il gravemente insufficiente. Vediamone alcuni, riportando i simpatici nickname dei commentatori: “Nino è felicemente sposato (sua moglie è incinta e lui non lo sa), ma perde la testa per una sciacquetta che lo fa carcerare. Quando uscirà, scoprirà che la moglie si è risposata con un ingegnere … Roba da mal di testa! Il classico triangolo, che qui si fa quadrangolo a scoppio ritardato, per una regia di Grassia un po’ più ricca – si fa per dire – del solito. Neanche la guest-star D’Angelo (cinematograficamente alle corde) riesce a sollevare le bieche sorti dell’ovvietà di una pellicola trashisticamente prevedibile” (Markus). “Aggiornamento (si fa per dire) della sceneggiata napoletana di fine 70 inizio 80, ripropone l’idolo partenopeo D’Angelo in una veste più drammatica e meno buonista dei suoi tipici ruoli passati; assenti sequenze canore, anche se la colonna sonora presenta brani del protagonista. Rispetto a softcore di Grassia del periodo c’è una certa cura in più e non sono presenti scene spinte, nel rispetto di uno script costruito su misura di D’Angelo; scontato e prevedibile quanto si vuole, ma comunque efficace per la platea di riferimento. Mediocre con dignità”. (Herrkinski). “Un Grassia tecnicamente in palla gira probabilmente il proprio capolavoro dal punto di vista tecnico, sfoderando una regia che segue col giusto ritmo le peripezie del protagonista (un D’Angelo incredibilmente doppiato!). La sceneggiatura punta su di un canovaccio risaputo con tanto di ascesa, crollo e redenzione che non dispiace fino infondo. Peccato che la mediocrità dei dialoghi affossi la qalità complessiva dell’opera, perché il cast se la cava (nota di merito per il personaggio dell’ingegnere). Non male le location amalfitane” (Didda23). “Parente stretto della sceneggiata napoletana del decennio precedente. Sembra una fiction televisiva. Grassia calca lamano con risaputa (a modo tutto suo scafata) tecnica da cineamatore. Melodramma da cronaca rosa? No, incolore. Umorismo non pervenuto. D’Angeloè pettinato alla Don Johnson dei sobborghi e le sue canzoni sono solo in colonna sonora. Personaggi femminili infidi ma insipidi; Paolantoni (la sua interpretazione) tenta di sbancare e riesce a essere insopportabile. Difficile arrivare fino ala fine” (Faggi).

Regia: Ninì Grassia. Soggetto e Sceneggiatura: Ninì Grassia. Montaggio: Roberto Colangeli. Fotografia: Luigi Ciccarese. Scenografia: Antonella Pansera. Direttore di Produzione: Enzo Samà. Casa di Produzione: P.A.G. Film International. Musiche: Nino D’Angelo, Antonio Annona. Edizioni Musicali: Biondo. Aiuto Regista: Gianni Cozzolino. Segretaria di Edizione: Roberta Frasca. Ispettore di Produzione: Raffaele Orecchio. Segretario di Produzione: Mario Tagliamonte. Operatore alla Macchina: Sandro Tamborra. Assistente Operatore: Enrico Priori. Assistente al Montaggio: Roberto Russo. Costumi: Anna Maffeo. Assistente Costumi: Donatella Nicolai. Sarta. Adriana Scotti. Fotografo di Scena: Gioacchino Cantone. Fonico: Alessandro Calabrese. Truccatore: Enrico Bonante. Parrucchiera: Anna Langella. Attrezzista: Albino Biancifiori. Capo Elettricista: Ninuccio Tonnarini. Elettricista: Mario Veible. Capo Macchinista: Paolo Savini. Macchinisti: Bruno Gallo, Ciro De Falco. Gruppista: Giovanni Fioretti. Teatri di Posa: PatheStudios (Roma). Mezzi Tecnici: Arco 2 (Roma). Mezzi di Trasporti: Cinetrasport (Roma). Edizione Sonora: Cinemontaggio (Roma). Sviluppo e Stampa: Augustus Color. Pellicola: Eastman – Cinema e Televisione. Esterni: Napoli, Roma, Amalfi, Ravello, Vietri sul Mare, Pontecagnano. Interpreti: Nino D’Angelo (Nino Santoro), Nina Soldano (Anna), Veronica Bartoli (Barbara), Gabriele Villa (Aristide), Francesco Paolantoni (Ciro Ramaglia), Gianni Rossetti, MarideaSantovito (Antonella), Laura Piattella, Patrizia De Angelis, Lara Schioppi, Vincenzo Caliendo, Eugenia Abbati, Giuseppe Esposito, Luigi Orientale Caputo, Gennaro Napoleone Crescenzo.

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