L’Italia nel 1919: l’avvento del fascismo e la fase legalitaria

Articolo di Salvatore Distefano

Non è possibile comprendere pienamente il fenomeno della nascita del movimento fascista nel 1919 e del suo tumultuoso sviluppo negli anni immediatamente successivi se non si tengono presenti le condizioni in cui versava l’Italia dopo l’armistizio che aveva posto fine alla tragedia della Prima Guerra mondiale nella quale centinaia di migliaia di soldati italiani erano morti e altrettanti erano divenuti invalidi.

Agli entusiasmi per la guerra suscitati in parte della popolazione dall’attivismo dei gruppi interventisti facevano da contraltare le immani sofferenze dei militari al fronte e della popolazione civile.

All’armistizio del 4 novembre 1918 era presto seguita la smobilitazione di una massa immensa di soldati, sottufficiali e ufficiali che tornavano alla vita civile e non trovavano un lavoro. Trovavano, invece, un paese dove era nato un nuovo ceto, quello dei profittatori di guerra, che si erano arricchiti mentre i militari versavano il loro sangue al fronte e che la gente chiamava “pescecani”.

Nella massa ingente degli ex combattenti divenuti disoccupati c’era anche chi aveva fatto l’abitudine alle armi e alla violenza. Nella drammatica realtà di quel periodo nacque il mito della “vittoria mutilata”, uno slogan a lungo agitato dai capi fascisti per esprimere la loro insoddisfazione per le acquisizioni territoriali dell’Italia a seguito del trattato di pace che a loro avviso erano insufficienti rispetto ai sacrifici sopportati e al contributo che l’Italia aveva dato per la sconfitta della Germania e dell’Austria.

Alla gravità del fenomeno della disoccupazione si aggiungeva quella dell’inflazione che, anche se non raggiungeva i livelli disastrosi della Germania, pesava fortemente sulle condizioni di vita delle masse popolari rendendole sempre più dure. Si doveva cercare di lottare contro il fenomeno del caroviveri e, più in generale, contro il carovita. L’aumento dei prezzi, specialmente di quelli dei generi alimentari, rendeva furiose le masse, che non sapevano come uscire da quella strettoia e non trovavano una valida guida che le aiutasse.

Questa era la situazione agli inizi del 1919.

Nel gennaio di quell’anno Luigi Sturzo fondò il Partito Popolare Italiano (P.P.I.) e nel marzo Benito Mussolini, l’ex leader socialista passato nel ’15 all’interventismo, dette vita ai “Fasci di combattimento”. Era un movimento antisocialista, demagogico e molto aggressivo, ma che paradossalmente riprendeva proprio dal P.S.I. e dalle forze più popolari alcune parole d’ordine e rivendicazioni sociali e politiche, che in verità nel momento in cui il fascismo conquistò il potere non furono applicate; anzi, avvenne esattamente il contrario, facendo capire ben presto che si trattava di un movimento politico espressione degli interessi della grande borghesia italiana, che col fascismo trovò la via d’uscita alla drammatica crisi nella quale si dibatteva.

Nel programma fascista (fortemente demagogico) di piazza S. Sepolcro – Milano, 23 marzo 1919 – si rivendicava, fra l’altro, il suffragio universale a scrutinio di lista regionale con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne; il minimo di età per gli elettori abbassato ai 18 anni, quello per i deputati a 25 anni; l’abolizione del Senato. E poi si chiedeva: la giornata di otto ore, i minimi di paga, una legge di assicurazione sull’invalidità e sulla vecchiaia, abbassando il limite di età da 65 a 55 anni, una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che avesse la forma di vera espropriazione di tutte le ricchezze. Questo impianto “socialisteggiante” era accompagnato da qualche affermazione molto meno rassicurante: i fascisti chiedevano anche l’istituzione di una milizia nazionale, con brevi periodi di istruzione e compito esclusivamente difensivo; una politica estera nazionale intesa a valorizzare nelle competizioni pacifiche della civiltà la nazione italiana nel mondo.

A nessuno sfugge che in questo modo si esprimeva l’egemonia nazionalista, bellicista e razzista, che farà premio su tutta la politica mussoliniana, al di là della demagogia, del “camaleontismo” e dell’eclettismo. Volgiamo lo sguardo, allora, a quanto c’è scritto in quel programma:

Italiani!

Ecco il programma nazionale di un movimento sanamente italiano.

Rivoluzionario perché antidogmatico e antidemagogico; fortemente innovatore, perché antipregiudizievole. Noi poniamo la valorizzazione della guerra rivoluzionaria al di sopra di tutto e di tutti. Gli altri problemi: burocrazia, amministrativi, giuridici, scolastici, coloniali, ecc. li tracceremo quando avremo creato la classe dirigente.

Per questo noi vogliamo:

Per il problema politico:

a) Suffragio universale a scrutinio di lista regionale con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne

b) Il minimo di età per gli elettori abbassato ai 18 anni; quello per i deputati ai 25 anni.

c) L’abolizione del Senato.

d) La convocazione di una Assemblea Nazionale per la durata di tre anni, il cui primo compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato

e) La formazione di Consigli nazionali tecnici del lavoro, dell’industria, dell’igiene sociale, delle comunicazioni ecc. eletti dalle collettività professionali e di mestiere, con poteri legislativi, e col diritto di eleggere un Commissario generale con poteri di Ministro

Per il problema sociale:

Noi vogliamo

a) La sollecita promulgazione di una Legge dello Stato che sancisca per tutti i lavoratori la giornata legale di otto ore di lavoro.

b) I minimi di paga.

c) La partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell’industria.

d) L’affidamento alle stesse organizzazioni proletarie(che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici.

e) La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti.

f) Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione sull’invalidità e sulla vecchiaia, abbassando il limite di età proposto attualmente da 65 a 55 anni.

Per il problema militare:

Noi vogliamo

a) L’istituzione di una milizia nazionale, con brevi periodid’istruzione e compito esclusivamente difensivo.

b) La nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi e di esplosivi.

c) Una politica estera nazionale intesa a valorizzare nelle competizioni pacifiche della civiltà la nazione italiana nel mondo.

Per il problema finanziario:

Noi vogliamo

a) Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che abbia la forma di vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze.

b) Il sequestro di tutti i beni delle Congregazioni e l’abolizione di tutte le mense vescovili, che costituiscono una enorme passività per la Nazione, e un privilegio di pochi.

c)La revisione di tutti i contratti di forniture di guerra ed il sequestro dell’85% dei profitti di guerra.

Del resto, sarebbe inutile continuare ad elencare tutte le richieste del primo fascismo poiché noteremmo solamente che tanto più le rivendicazioni erano “popolari”, quanto più furono poi disattese dal momento in cui il fascismo diventò regime.

Ma come definire il fascismo? A noi sembra utile usare categorie interpretative che ne facciano comprendere la natura di classe e al tempo stesso supportare questa chiave di lettura con i fatti, gli eventi, lo svolgimento delle vicende che interessarono il nostro Paese dal 23 marzo 1919 al 25 luglio del ’43.

LO SQUADRISMO

Le squadre d’azione fasciste, armate di manganelli e di pistole, aggredivano i militanti socialisti e antifascisti, spesso con la tacita approvazione delle forze di pubblica sicurezza.

Nelle file dei socialisti, che erano stati ostili alla guerra, e tra i loro simpatizzanti, erano molto vivi atteggiamenti antimilitaristi e ciò costituiva motivo ulteriore di attrito col movimento fascista che esaltava le virtù militari e i sacrifici compiuti dai combattenti durante la guerra.

Col 1919 si apriva un periodo di grandi lotte destinate a caratterizzare fortemente quello che fu poi definito il “biennio rosso”. Durante il governo di Francesco Saverio Nitti, dal giugno del ’19 al giugno del ’20, si susseguirono in Italia una serie di avvenimenti destinati ad avere una vasta influenza nella crisi del primo dopoguerra, avvenimenti rispetto ai quali Nitti aveva mostrato tutta la sua debolezza. Dall’impresa dannunziana di Fiume all’occupazione delle fabbriche, lo stato liberale rivelava tutta la sua debolezza e non si accorgeva del baratro che gli si stava aprendo irreversibilmente. Il momento, poi, di massima reazione si ebbe con il rifiuto degli industriali di concedere gli aumenti salariali richiesti dal sindacato dei metallurgici (FIOM), che portò prima all’ostruzionismo, rallentamento della produzione, ad opera dei lavoratori e successivamente all’occupazione delle fabbriche. Superate di molto le consuete modalità sindacali, la lotta assunse pertanto il valore di una sfida alle leggi in vigore nel nostro Paese in quegli anni. Il Partito socialista, però, né seppe né volle assumersi la responsabilità di quella scelta rivoluzionaria, coerente con le premesse massimalistiche più volte riaffermate; pertanto, i lavoratori furono mandati allo sbaraglio e si profilò all’orizzonte la sconfitta storica del movimento operaio.

A metà del mese di settembre di quell’anno si riaprirono le trattative fra le parti in lotta e gli operai si impegnarono a lasciare pacificamente le fabbriche, ottenendo alcune assicurazioni del governo in carica: questo risultato fu vissuto come una sconfitta e diede vita alla controffensiva padronale del periodo successivo.

L’esaurirsi delle lotte operaie alimentò il rafforzamento dello schieramento politico di destra, che verso la fine del 1920 fece registrare una convergenza tra gli agrari e i fascisti, i quali con le loro squadre di azione esercitavano vaste e sistematiche violenze contro le organizzazioni contadine. Peraltro, i fascisti furono appoggiati dagli industriali, all’inizio i piccoli e medi, che all’indomani dell’occupazione delle fabbriche erano spinti da una politica di rivincita verso i lavoratori.

L’imponente rete delle organizzazioni socialiste venne distrutta in meno di dieci mesi e anche quelle cattoliche non furono risparmiate. Le istituzioni, d’altra parte, erano fortemente compromesse col fascismo perché pensavano di poterlo utilizzare in funzione antioperaia. A tal proposito citiamo la circolare diramata dallo Stato maggiore e diretta ai corpi d’armata dell’esercito in data 24 settembre 1920:” Dalle notizie che pervengono in merito all’attività dei Fasci di combattimento si rileva come essi in genere vadano assumendo non lieve importanza e che possono ormai considerarsi forze vive da contrapporre eventualmente agli elementi antinazionali e sovversivi. Sembra pertanto opportuno che codesto ufficio procuri di tenere il contatto con i medesimi seguendone da vicino l’attività ed informando eventualmente di quanto al riguardo risultasse specialmente notevole”. Del resto, anche a livello più basso le simpatie verso i fascisti erano molto estese.

• Tratto costitutivo del fascismo

• Ricorso metodico alla violenza: lo squadrista professionale

• Minoranza attiva e dinamica contrappostasi alla “maggioranza amorfa dei sovversivi”

• 2500 italiani morti a causa dello squadrismo fascista

• 40 000 liberi cittadini bastonati, storpiati, feriti

• 20 000 costretti a fuggire e abbandonare case e lavoro

• 300 amministrazioni comunali costrette a dimettersi

• Una ventina di giornali distrutti

• Centinaia di Case del Popolo, Camere del Lavoro, cooperative saccheggiate e incendiate

Lo stato liberale era, dunque, in completo sfacelo e il fascismo voleva esso stesso diventare stato: ciò avvenne concretamente con la marcia su Roma del 28 Ottobre 1922 quando il re Vittorio Emanuele III consegnò il potere a Benito Mussolini, che si trovava a Milano e, chiamato dal re, giunse in vagone-letto e in ghette nella capitale, dove ricevette l’incarico di presidente del consiglio dei ministri, titolo che in seguito modificò in quello di “capo del governo”.

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