37 anni senza Eduardo De Filippo. Una vita passata in teatro

Articolo di Armando Giardinetto

“Fare teatro sul serio significa sacrificare una vita. Sono cresciuti i figli e non me ne sono accorto… È stata tutta una vita di sacrifici e di gelo. Così si fa il teatro! Così ho fatto! Ma il cuore ha tremato sempre, tutte le sere… anche stasera… e continuerà a battere anche quando si sarà fermato”, queste furono le parole del grande drammaturgo celebre in tutto il mondo, sceneggiatore, poeta, attore, regista e scrittore Edoardo De Filippo, dette durante la sua ultima apparizione pubblica dinnanzi ad una platea in contemplazione pronta ad applaudirlo.

Eppure la vita di questa stella intramontabile del teatro è stata scandita da varie disgrazie che Eduardo ha sempre affrontato a testa alta con quell’orgoglio napoletano, di cui tante volte ha parlato perché, non solo nella disgrazia, ma: “Alle offese, le ingiurie, le calunnie, il napoletano deve sempre rispondere con il suo orgoglio”, scriveva all’allora sindaco di Napoli Maurizio Valenzi.

Così nel 1960 dovette seppellire la figlia Luisella, morta giovanissima; l’anno dopo morì la sua prima moglie; poi ci fu il grande litigio con il fratello Peppino e, non in ultimo, ci fu il grande lutto per la morte dell’amatissima sorella Titina, nel 1963, alla quale dedicò la maestosa opera intitolata “Filumena Martuano” (1946), che Eduardo scrisse in pochissime settimane: “In dodici giorni io scrissi Filumena Marturano. Il primo atto, in una notte… Il secondo atto, tre giorni. Il terzo atto, credo che impiegai, forse, una notte. Poi riunii tutti… aprii il copione sulla scrivania e lessi la commedia… Un silenzio profondo. Alzai gli occhi dal copione e piangevano tutti quanti. Titina si alzò e mi venne a baciare le mani”. Il cuore di Eduardo De Filippo, invece, si fermerà poco dopo quell’ultima emozionante serata siciliana, precisamente il 31 ottobre del 1984, nella clinica Villa Stuart di Roma, ma il suo spirito vive il teatro ancora oggi e, per quelli che, nella vita, decidono di seguire le sue orme, la penna di Eduardo è come la Bibbia del teatro internazionale.

Eduardo nacque figlio d’arte perché il padre era il già famoso attore Scarpetta, mentre sua madre – Luisa De Filippo – faceva la sarta teatrale ed ebbe con Scarpetta una relazione extraconiugale, essendo Luisa la nipote di sua moglie. Eduardo, dunque, prese il cognome materno. La prima volta che Eduardo De Filippo salì su un palco teatrale aveva solo 4 anni. Durante l’adolescenza iniziò a recitare nella compagnia del fratellastro, Vincenzo Scarpetta, e diventò sempre più esperto cimentandosi, altresì, nella scrittura di commedie come “Uomo e galantuomo” del 1922 (la sua prima commedia, unico atto, fu “Farmacia di turno”, 1920, che Eduardo scrisse durante il servizio militare) e non solo, infatti in questi stessi anni iniziò a scrivere delle poesie, tra tutte ricordo “Io vulesse truva pace”, che racconta il desiderio del poeta di trovare una pace che potesse caratterizzare la sua vita; “S’è araputa ‘a fenesta stamattina”, che racconta di un meraviglioso e simpatico dialogo tra il poeta e la morte; “O Rrau”, che parla di un gradevole paragone tra due ragù napoletani: quello della madre del poeta, ritenuto degno di lode, e l’altro ragù, quello della moglie, ritenuto semplicemente “carne c’’a pummarola”. Nel 1927, insieme al commediografo Galdieri, crea la “Compagnia Galdieri-De Filippo”, di cui faranno parte i fratelli Titina e Peppino, ma la svolta arrivò qualche anno più tardi, nel 1931, quando i tre fratelli De Filippo formeranno una compagnia tutta loro: “Teatro Umoristico – I De Filippo”. Risale al ’31 una delle sue commedie più famose in assoluto, “Natale in casa Cupiello”. Cinque anni dopo Eduardo farà un incontro eccezionale che lo porterà sui palcoscenici dei teatri di tutta Italia. L’incontro con il grande Luigi Pirandello, infatti, segnerà una tappa della sua maturità artistica. Proprio da Pirandello, Eduardo prenderà spunto per mostrare al meglio la psicologia dei suoi personaggi. Nel 1944, a seguito di un litigio con il fratello Peppino, Eduardo scioglie la compagnia e ne crea un’altra, “Il Teatro di Eduardo”. Comprò e finanziò la ristrutturazione del Teatro San Ferdinando di Napoli – costruito nel 1791 – che versava in condizioni pietose. L’inaugurazione avvenne nel 1954 con la commedia “Palummella zompa e vola”, ma qui mise in scena e ripropose alcune delle sue meravigliose e indimenticabili opere: Napoli milionaria! (1945), Questi fantasmi! (1946); Filumena Marturano; Sabato, domenica e lunedì (1959) e altre.

Negli anni Sessanta arrivarono altri premi importantissimi con la commedia “Il Sindaco del rione Sanità”. Gli anni Settanta sono scanditi dal successo della commedia “Gli esami non finiscono mai”. I temi principali del teatro di Eduardo De Filippo sono la pazzia; il dolore; l’incomprensione; i difetti e i pregi della società; la delusione; l’inquietudine dell’essere umano, soprattutto quello scosso dalle due guerre mondiali; il tradimento; il non poter comunicare; la magia e la superstizione tipiche della cultura napoletana; la pazzia usata per denunciare la borghesia; la famiglia, la gelosia, la solitudine; la povertà di Napoli nel dopoguerra; la fiducia riposta negli affetti familiari; la tradizione, gli usi e costumi di Napoli; il contrabbando; la comicità e la tragicità del popolo napoletano. La lingua usata nelle commedie di Eduardo De Filippo non è un elemento di poco conto: i suoi personaggi parlano il napoletano dell’uso quotidiano e ciò ha dato maggior prestigio ad una lingua già letteraria come il napoletano.

Nelle vene del severo e rigoroso Eduardo De Filippo scorreva sangue e teatro, nonostante lavorasse magistralmente anche in televisione che, però, non era proprio il mezzo degno della sua stima. Infatti, quando un giornalista della Rai si rivolse a lui con un “Pronto, qui è la televisione”, con grande umorismo Eduardo rispose con la celebre frase: “Un attimo che vi passo il frigorifero”.

Due lauree honoris causas in lettere (1977 – 1980); Senatore a vita nominato dal Presidente della Repubblica Pertini; docente universitario di drammaturgia a “La Sapienza” nell’anno academico 1981-1982; proposto per il Premio Nobel per la letteratura; le ossa di Eduardo De Filippo riposano al Cimitero del Verano a Roma, ma il suo spirito immortale aleggia sulle tavole di ogni palco teatrale, soprattutto sulle tavole di quel teatro che lui tanto amò: il San Ferdinando.

Oggi, 31 ottobre 2021, ricorrono 37 anni dalla morte di Eduardo De Filippo; un anno difficile per noi come lo è stato quello precedente per la pandemia che è andata ad intaccare il nostro intimo. Dal mese di febbraio 2020, infatti, il mondo viene stravolto da questo Covid 19 che sicuramente sta facendo la storia e nessuno di noi dimenticherà quello che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo ancora oggi. Ebbene, durante questo periodo buio molte volte abbiamo ripetuto, e sentito anche dalle televisioni, una frase celebre del grande Eduardo, una frase che ritroviamo in “Napoli milionaria”, dove la povertà materiale e morale di Napoli, alla fine della Seconda guerra mondiale, la fa da padrone. La famosa battuta, che chiude la commedia, è “Ha da passa’ a nuttata”, “Deve passare la notte”.

La nottata è usata come metafora di un periodo drammatico della vita di un uomo il quale, dicendosi tra sé e sé “Ha da passa’ a nuttata” si augura speranzoso che possa ritornare presto la luce di un giorno nuovo, di un giorno migliore. Speriamo tutti che questa nottata stia veramente passando.

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