“Il Bambino Nascosto”, una storia di silenzi e di sguardi

Articolo di Paolo Quaglia

Professore di musica solitario vive un’esistenza tranquillamente reclusa nel centro di Napoli. Un giorno entra nella sua vita un bambino di dieci anni che gli chiede aiuto. Il ragazzino è figlio di un camorrista e non sopporta il clima di terrore e violenza che si respira a casa sua. Il maestro, inizialmente refrattario, decide di dargli una mano. Presto l’anziano diventa il mentore del giovane fuggitivo ma il padre incombe su quello che sembra un rapporto sincero.

Esce al cinema il nuovo film di Roberto Andò dal titolo Il bambino nascosto. Tratto dal libro dello stesso Andò è la storia di un’amicizia improbabile tra due individui che, pur appartenendo a mondi molto lontani, condividono parecchie affinità. Silvio Orlando, nella parte del professore, è un uomo che ha deciso di isolarsi dal mondo facendo della solitudine il suo stato naturale. Il regista descrive una favola metropolitana in grado di emozionare attraverso il tono lieve con cui si affrontano due anime perse nello stesso quartiere. L’entrata forzata di un bambino nella vita di Orlando rappresenta uno stimolo per mettere in discussione quelle certezze che permettevano al protagonista una sopravvivenza appena sufficiente.

Una storia soprattutto di silenzi e di sguardi che descrivono le difficoltà del vivere a Napoli dove la criminalità ha costruito una gabbia soprattutto attorno alla libertà. Ciro (il bimbo) subisce le scelte del padre e non riesce a passare serenamente la sua infanzia. Gabriele crede che sia possibile insegnare a Ciro quanto sia necessario contrapporre la calma e il pensiero alla violenza. Il bambino nascosto non è un film a tesi, Andò si limita a raccontare una storia senza imporre alcuno stereotipo ma ricordando quanto la natura umana non sia solo adattarsi ma anche capire e migliorare la propria esistenza.

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