La ricetta dell’amore

Articolo di Frank Iodice

Non tutti sanno che nella mia città natale esiste un ristorante segreto, nascosto tra i vicoli del centro storico, proprio dove a Natale si vendono i presepi e le statuette del bambin Gesù in braccio ai Maneskin, mentre pochi fortunati si scambiano la ricetta dell’amore…

La cuoca del ristorante dell’amore si chiama Bettina, è una ragazza con i capelli biondi e lunghi, e gli occhi neri come il caffè, vale a dire non proprio neri ma pieni di strane ombre luccicanti. Bettina è l’unica cuoca che conosco, che regala le sue ricette al primo che passa. Una volta lo facevano tutti, oggi invece sembra che sui loro diari i cuochi custodiscano i codici per attivare il nucleare (che comunque non è che siano in mani migliori) o i voti della prossima estrazione del superenalotto. A Napoli tutti giochiamo al superenalotto e tutti speriamo in fondo di non vincere, voglio dire, speriamo di vincere ma anche di non vincere troppo perché la nostra condizione di povertà storica è diventata anche il motore scatenante per un’altra ricchezza.

Il giorno in cui ho incontrato Bettina per la prima volta, eravamo tutti e due in mezzo alla strada, in mezzo alla strada è un’espressione napoletana che non vuol dire letteralmente nel centro della strada ma semplicemente in strada, ed eravamo una da un lato e uno dall’altro di un vicolo stretto e puzzolente, le pareti dei palazzi si tenevano in piedi per scommessa e la luce non si degnava di superare il terzo o il quarto piano, che potevano essere anche intesi come il quarto e il quinto perché tra il secondo e il terzo ci avevano costruito un livello abusivo in cui allevavano i polli e le galline, più galline e meno polli, per non farli litigare. Bettina mi ha visto da laggiù e mi ha chiamato per chiedermi informazioni su come raggiungere il ristorante, era il suo primo giorno di lavoro e non voleva fare tardi; io invece avevo appena finito il mio ultimo giorno di lavoro perché facevo sempre tardi. Sai dove sta questo posto?, mi ha chiesto Bettina. No, ma se facciamo un giro troviamo di sicuro qualcuno che lo sa, iniziamo in quella direzione, vieni con me.

L’ho presa per mano perché con alcune persone non c’è bisogno di fare gli ipocriti e fingere che gli esseri umani siano perfetti e non abbiano bisogno gli uni degli altri. Con alcuni di noi ci si capisce subito, ci riconosciamo e ci prendiamo per mano, consapevoli dell’imperfezione della nostra specie, della sua incompletezza. Andiamo di qua, dai, corri, o farai tardi, ma che cosa c’è là dentro?! Bettina si portava dietro tutti i suoi attrezzi, le ricette dell’amore che aveva inventato erano su un quadernetto tutto sporco di farina e olio di girasoli. Come fai a sapere che è olio di girasoli?, le ho detto. Lo so perché ogni macchia è diversa, come per la gente, dalle macchie che uno ha addosso capisci cosa gli è passato per la testa, funziona proprio così, basta che vedi di cosa è sporco e capisci un mare di cose. Anche se si è fatto la doccia? Sì sì, la doccia non c’entra niente.

Un vecchietto che vendeva ‘o père e ‘o musso, che è una specialità del cibo di strada delle mie parti e significa piede e muso, piede e muso del maiale, mi pare, venduto bollito con sale e limone (il sale si tiene in un corno di mucca con un tappo di sughero sulla punta), questo vecchietto ci ha dato le indicazioni per arrivare al ristorante, era dall’altra parte del centro storico, prima di piazza Dante, dove ogni tanto vendono i libri sulle bancarelle. Perché vendono i libri sulle bancarelle insieme al père e ‘o musso (quando Bettina parlava napoletano non si capiva bene quello che diceva, perché il napoletano è una vera e propria lingua e occorrono anni di pratica per saperla pronunciare come si deve). Ormai i libri li vendono dappertutto, anche nei supermercati, negli Autogrill, e te li buttano dietro gratis, ma la gente li schiva che è una bellezza; siamo diventati dei veri schivatori di libri, una disciplina olimpionica.

Sulle bancarelle, comunque, c’erano libri veri e libri fnti, quelli veri erano scritti da gente onesta, quelli finti erano messi insieme da gente spietata e senza scrupoli. Purtroppo i bambini non sapevano come distinguere le due categorie e per paura di sprecare i soldi della paghetta si accontentavano di cinquecento lire di père e ‘o musso, così andavano sul sicuro.

Bettina si è sistemata lo zaino enorme che si trascinava dietro, suonava come un albero di Natale preso per il fusto e strapazzato per far cadere giù i regali e le palline, era pieno di mestoli e formine, fruste, frullatori, tutta roba che si era portata da casa (ha detto che veniva da un paesino in provincia di Santignuttolo, ma quando ho controllato sull’elenco telefonico non c’era nessun posto che si chiamasse così), diceva che si trovava solo con la sua attrezzatura personale, perché se una teglia passa per le mani sbagliate il dolce è da buttare. Si è legata bene i capelli, erano talmente lunghi che ha dovuto usare cinque elastici, tutti di colori diversi, come i cinque cerchi delle olimpiadi, e mi ha stretto la mano. Io speravo per lo meno di andarci a letto insieme, dopotutto ero stato gentile e l’avevo accompagnata per tutto quel tempo. Avevo anche portato quello zaino pesantissimo per un lungo tratto, ma si vede che non avevo capito niente della storia delle ricette dell’amore e della consapevolezza della nostra imperfezione di esseri umani.

Quando ci siamo salutati, però, Bettina mi ha fatto un regalo, mi ha regalato una delle sue ricette. Ma come faccio a usarla, non sono capace neanche a bollire un uovo senza farlo esplodere, e quando esplode un uovo ci vuole una settimana per mandare via la puzza!, le ho detto. Non ti preoccupare Frank, ha risposto Bettina dalla porta del ristorante, tutto quello che devi fare è raccontare questa storia e la gente farà il resto.

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