Gian Lorenzo Bernini: il genio che ha segnato il volto di Roma

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 28 novembre 1680 muore nella «Città Eterna» Gian Lorenzo Bernini, il creatore della Roma barocca. L’artista che ne ha segnato, per sempre e meravigliosamente, il volto. Nella Storia dell’arte il Seicento è, nel nostro vecchio continente, il Grand Siècle. Lo è anche grazie all’architetto, scultore, pittore, scenografo, costumista, commediografo Gian Lorenzo Bernini. Un uomo che aiuta la città di Roma nel suo processo di trasformazione da città-antica a città-capitale. Un processo al quale poi si ispirano – docet la professoressa Anna Ottani Cavina – le riforme architettoniche urbane di Londra e Parigi.

Il Seicento è – scrive nella sua Encyclomedia il professore Umberto Eco – un secolo di disordine e di instabilità, di guerre e di rivoluzioni, di assolutismo e di eversione, di stagnazione economica e di straordinario sviluppo commerciale, di classicismo e di barocco, di razionalità e di spaesamento. Il Seicento è attraversato soprattutto dalla grande trasformazione che è rappresentata dalla rivoluzione scientifica: i nuovi e meravigliosi strumenti scientifici contribuiscono ad allargare la conoscenza della Natura, dell’Uomo e del suo corpo. L’essere umano – afferma Pascal – «viene a situarsi tra due infiniti, l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo». La quantità e la violenza delle contraddizioni danno al Seicento una fisionomia, un volto del tutto particolare. Un secolo che il cavalier Bernino domina con la sua singolare e straordinaria personalità. Nasce a Napoli. Inizialmente collabora con il padre (col quale si ipotizza lavori alla Fontana della Barcaccia a Roma) ma già, a ventitré anni circa, raggiunge la sua prima maturità con un gruppo di statue di tema mitico e biblico. Di particolare e significativa importanza sono il David (1623 ca) e Apollo e Dafne (1622-24) esposte, custodite nella Galleria Borghese a Roma.

L’arte del Bernini esprime soprattutto il trionfo della Controriforma vittoriosa. Bernini è l’artista dei papi. È un uomo infaticabile, innamorato del suo lavoro. Uno dei più importanti storici dell’arte fiorentini Filippo Baldinucci (1624-1696) scrive nella Vita del cavalier Bernino (1682): «il cavalier fino all’ultima sua età si impiegava nel lavoro dei marmi con tale fatica, la quale gli stessi suoi giovani reggere non poetano […] e se talvolta alcuno di loro nel voleva distogliere resisteva con dire: “lasciatemi star qui, ch’io sono innamorato”».

Nella produzione berniniana, si veda come sublime esempio il Baldacchino (1624-1633) nella Basilica di san Pietro, la scultura è difficilmente scindibile dall’architettura e viceversa. La scultura di Bernini (ad es. L’Estasi di Santa Teresa, 1644-1651) è attraversata dalle rime seicentesche di Calderon de la Barca: «in questa vita tutto è verità e tutto è menzogna; anzi la vita non è che un’illusione, una finzione, un’ombra […] tutta la vita è sogno».

Ma è soprattutto nel maestoso Colonnato di Piazza San Pietro – un’opera d’impianto classico, appunto un colonnato – che il gusto, lo stile, l’arte barocca raggiungono il momento più alto. I volumi, lo spazio, le luci di questa magnifica opera producono, ci consegnano due significati simbolici che etternano la città antica e nuova di Roma. Da un lato il significato altamente simbolico del Colonnato che in quanto avente forma ellittica costituisce l’ideale e fermo abbraccio della Chiesa a tutta la cristianità. Dall’altro lato, essa è un’opera rivoluzionaria e “moderna”, in quanto integra lo spazio della basilica con lo spazio della città, la Città per antonomasia.

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