Dante a Napoli e Napoli nella Divina Commedia

Articolo di Armando Giardinetto

Per celebrare ancora con estremo rispetto il settimo centenario della morte di Dante Alighieri (1321 – 2021), dal 3 dicembre, e fino al I marzo 2022, il Palazzo Reale di Napoli, in Piazza Plebiscito, ospita tre importantissime tele del pittore casertano Tommaso De Vivo (1790 – 1884) che raffigurano alcuni episodi della Divina Commedia: Inferno (incontro tra Dante e Virgilio con i poeti antichi nel Limbo. Canto IV), Purgatorio che, come si sa, ha la forma di un’alta montagna, e Paradiso. I dipinti furono realizzati, nel 1865, per il re Vittorio Emanuele II affinché si celebrasse il sesto centenario della nascita di Dante Alighieri, avvenuta a maggio del 1265.

In questo articolo mi vorrei soffermare sulla cantica del Purgatorio perché è proprio qui che, per bocca di Virgilio, viene citata la città di Napoli. È il giorno di Pasqua – forse il 10 aprile del 1300 – Dante e Virgilio si trovano nell’Antipurgatorio, dove incontrano le anime dei penitenti che non possono ancora varcare la soglia del Purgatorio vero e proprio e dove il tempo della penitenza può essere alleggerito dalla preghiera dei vivi.

I penitenti di questa parte dell’intera cantica, una volta traghettati sulla spiaggia, vengono disposti in diversi luoghi: su una prima parete ripida, dove ci sono gli scomunicati che in punto di morte si rivolsero a Dio; su una seconda parete ripida, dove ci sono quelli che indugiarono a pentirsi delle loro colpe e si pentirono solo in punto di morte; su una terza parete rocciosa, dove ci sono quelli che morirono di morte violenta e che, quindi, non ebbero il tempo di ricevere i sacramenti; in una valletta fiorita, dove ci sono i principi pigri a pentirsi.

All’inizio del canto, Catone l’Uticense, guardiano dell’Antipurgatorio, ha già rimproverato severamente le anime purganti perché esse si sono fermate ad ascoltare una canzone del musico Casella (il fiorentino – o forse pistoiese – amico di Dante) che si trovava lì, tra quelle anime. Dante gli chiede di cantare per alleviare la tristezza di quel luogo, pertanto Casella si mette a cantare “Amor che nella mente mi ragiona” (il Sommo la commenta nel III trattato del suo Convivio), in cui la tematica principale è la donna che viene pensata come l’allegoria della filosofia. L’ira di Catone viene scaturita dal fatto che le anime, rapite dalla bellezza della melodia, hanno ritardato il loro cammino di espiazione della pena, quindi sono tutte costrette dall’Uticense a correre verso la montagna per espiare il peccato. Va detto che, tra questi ascoltatori affascinati dalla soave voce di Casella, c’è anche Virgilio il quale, dopo il generale rimprovero del Guardiano, si mostra visibilmente imbarazzato. Dante e Virgilio, insieme a tutta la schiera penitente, corrono verso l’enorme montagna che si erge altissima e ripida verso il cielo assolato quando, ad un certo punto, Dante si mostra visibilmente preoccupato perché vede a terra, davanti a lui, solo la proiezione della sua ombra, ma non quella della sua Guida, pensando di essere stato abbandonato: “Io mi volsi dallato con paura d’essere abbandonato, quand’io vidi solo dinanzi a me la terra oscura”. Virgilio, innanzitutto, lo rimprovera perché il Poeta si mostra spesso diffidente nei suoi confronti – “E ’l mio conforto: “Perché pur diffidi? a dir mi cominciò tutto rivolto; “non credi tu me teco e ch’io ti guidi?” – poi gli dice che la spiegazione di tale evento sta nel fatto che il brillante sole rossastro dietro di loro – “Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio” – attraversa tutto senza trovare ostacoli riuscendo, così, a passare anche attraverso le anime che si trovano in quel luogo. Quello stesso sole, però, non riesce ad attraversare Dante poiché egli si trova lì in carne ed ossa – “Ch’avëa in me de’ suoi raggi l’appoggio” – come non riusciva a passare oltre il corpo di Virgilio quando egli era in vita proiettando, quindi, la sua ombra sul terreno. Ora si sa che Publio Virgilio Marone morì a Brindisi nel 19 a.C., ma venne sepolto a Napoli ed è proprio lui a riferirlo a Dante – al XXVII verso del III canto del Purgatorio – quando, in quel preciso momento, a Napoli era già scesa la sera: “Vespero è già colà dov’è sepolto lo corpo dentro al quale io facea ombra; Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto”.

I due si avviano verso la montagna, mentre Virgilio spiega al Sommo Poeta che nessuno sa perché le anime soffrono pene indicibili, così come il caldo e il freddo, come se avessero ancora quel corpo che abitarono in terra ma, allo stesso tempo, il sole riesce ad attraversarle senza creare ombra poiché quel corpo non hanno più: “A sofferir tormenti, caldi e geli simili corpi la Virtù dispone che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli”. Virgilio, inoltre, dice a Dante che le anime non possono sapere tutto perché altrimenti sarebbe stato inutile l’incarnazione divina e continua dicendo che i grandi filosofi, come Aristotele e Platone, hanno cercato invano di sapere tutto senza avere una risposta soddisfacente: “E disiar vedeste sanza frutto tai che sarebbe lor disio quetato, ch’etternalmente è dato lor per lutto: io dico d’Aristotile e di Plato e di molt’altri”. Comunque i due, parlando di queste cose, arrivano ai piedi della montagna mentre il canto continua.

Napoli, dunque, viene citata nella cantica del Purgatorio al XXVII canto, come abbiamo visto, ma chissà se Dante abbia mai intrapreso un viaggio verso la città partenopea, fatto sta che secondo Galileo Galilei, il Sommo Poeta prende in considerazione Napoli per l’ingresso al suo Inferno. Infatti, in una sua lezione tenutasi nella sede dell’Accademia Fiorentina, nel 1558, il Genio italiano, Galileo Galilei, avrebbe affermato che la porta d’ingresso dell’Inferno dantesco si sarebbe trovata proprio intorno al Lago d’Averno (non ci dimentichiamo che questo lago viene citato anche nell’Eneide da Virgilio, guida di Dante, come porta degli inferi) e la Selva oscura, in cui Dante si perde, non sarebbe altro che la boscaglia che caratterizzava il luogo vicino al lago durante tutto il basso medioevo.

Non sappiamo con certezza se il Sommo Poeta sia venuto a Napoli, ma alcuni testi parlano chiaro, per esempio lo scrittore lucchese trecentesco, Giovanni Sercambi, in una sua novella (LXXI), racconta di una visita di Dante a Napoli, a corte di re Roberto D’Angiò, durante la sua espulsione da Firenze. Quindi, se Dante è venuto a Napoli, sicuramente avrà visitato i luoghi che caratterizzarono la vita della sua guida ultraterrena: la tomba di Virgilio – come minimo – e la porta degli inferi, vale a dire il lago d’Averno. Ad ogni modo, in un certo senso, oggi Dante si trova veramente a Napoli, a Palazzo Reale, in piazza Plebiscito, e ci resterà fino al I marzo 2022. Vale veramente la pena andare a vedere questa tre importanti tele che ci parlano ancora una volta del Sommo Poeta.

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