“Sante Rodella”, la bellezza di un divo anni Sessanta

Articolo di Gordiano Lupi

Sante Rodella ha pubblicato Liz e dintorni (2015), Il Prof. di Religione (2017),  Ausonia (2018) e Rita (2021) – che ho letto e apprezzato per sincerità di scrittura -, ma questo Ultimo Divo (2021) è molto interessante perché pensato come un’autobiografia onirica del noto attore. L’autore racconta il cinema e i fotoromanzi, la fuga a Oriente, la bellezza di un divo anni Sessanta, il suo fascino indimenticabile, il ritorno sulla scena come pittore, insomma una vita intera dedicata all’arte. Gianni Macchia viene eretto a simbolo di un erotismo maschile che piace universalmente ma è anche l’attore che indica (simbolicamente) una nuova strada per la donna nella società. Ultimo Divo è una biografia insolita perché costruita sui ricordi, sogni, realtà che possono confondersi con l’inconscio e l’imperscrutabile, quel che sarebbe potuto essere e non é stato. Biografia romanzata, a base di sensazioni, quasi il diario di un fan alla disperata ricerca dell’oggetto del suo desiderio, finalmente raggiunto. Il libro, vincitore del Premio Lord Byron di Porto Venere, Golfo dei Poeti 2021, è edito in proprio, sulla piattaforma Amazon. Reperibile a questo link: https://www.amazon.it/Ultimo-Divo-Macchia-Sante-Rodella/dp/B08TQ4T7QW. Ultimo Divo mi ha fatto tornare in mente il rapporto intenso tra due grandi pugliesi: Gianni Macchia e Fernando di Leo (un grande dimenticato), che lo stesso autore puntualizza, dicendo che l’attore ha lavorato in quattro film diretti dal regista, anche se ne La mala ordina recita solo una piccola parte. Sono andato a riscoprire i due film più importanti che Sante Rodella cita, nel corso della biografia, girati ai tempi in cui l’adulterio era ancora reato. Gianni Macchia ha onorato il rapporto con Fernando di Leo fino alla fine, partecipando (con Joe Dallesandro) a Vacanze per un massacro.

DUE EROTICI SESSANTOTTINI

Brucia ragazzo brucia (1969)può essere consideratola vera opera prima di Fernando di Leo che la gira a Roma, quasi interamente nella zona di Fregene. Il film è scritto e sceneggiato dal regista e Antonio Racioppi, fotografato da Franco Villa e montato da Mario Morra. Le musiche sono di Gino Peguri e le scenografie di Pietro Liberati. Da segnalare la presenza come operatore di Aristide Masaccesi (in arte Joe D’Amato) e nelle vesti di aiuto regista di Franco Lo Cascio (regista noto per il cinema hard). Gli interpreti sono Gianni Macchia, Françoise Prevost, Michel Bardinet Monica Stroebel, Danika La Loggia, Anna Pagano e Miriam Alex. Segnaliamo anche alcuni pezzi di musica pop che ricordano il periodo del sessantotto: Brucia ragazzo brucia (scritta da di Leo insieme a Paguri e Verrecchia), eseguita da Edy e Gli occhi dell’amore (Migliacci – Cini – Marrocchi), cantata da Patty Pravo.

Il titolo viene ricavato dallo slogan del movimento razziale delle Black Panther ed è il primo film prodotto dalla Ferti Film di Fernando di Leo e Tiziano Longo, che per lanciarlo inventano un’originale promozione a base di tagliandi inviati al potenziale pubblico femminile. Nelle cartoline postali c’è un calendario dove poter annotare le mestruazioni e di conseguenza regolare i propri rapporti sessuali. Il metodo pare efficace per attirare le donne, anche perché presto si sparge la voce che la pellicola tratta per la prima volta nella storia del cinema di un tabù come quello dell’orgasmo femminile. Brucia ragazzo brucia non è certo un film pornografico, come certa critica benpensante lo vuole etichettare, come non è un erotico a imitazione dei molti prodotti contemporanei. La produzione lo lancia come il film del sano erotismo per differenziarlo dagli erotici misogini e senza contenuto che imperversano nelle sale. Il film subisce alcune traversie, sia per la presenza di minori in sala, sia per diversi sequestri ordinati per oscenità. La procura di Bari dà il via alla persecuzione, subito dopo il film viene bloccato anche nel resto d’Italia e deve subire un lungo processo nel quale attori, regista e produttori vengono difesi dagli avvocati Livio Minguzzi e Luigi Benzi. Di Leo se la prende con una giustizia ottusa e oscurantista che giudica osceno un film solo per pochi centimetri di pelle mostrata in più o in meno. “La storia ha un contenuto morale e ogni sequenza erotica è decisamente funzionale al racconto” afferma di Leo. Alla fine è il giudice istruttore di Rimini a dargli ragione e a rimettere in circolazione la pellicola in una versione abbastanza integrale. Mancano alcune scene di sesso orale praticate da Gianni Macchia a Françoise Prevost, ma quelle erano state già eliminate in sede di apposizione del visto censura. Brucia ragazzo brucia esce di nuovo con maggior forza e si fregia della frase a effetto: il capostipite e il migliore dei film erotici ora in edizione integrale. I giovani cattolici non si rassegnano, continuano a inscenare sit-in di protesta dove viene distribuito il film e riescono addirittura a impedirne la proiezione in una sala di Dolo. Per i cattolici di Leo è il diavolo che osa dare una sessualità alla donna e parlare di un argomento proibito come l’orgasmo. Il film è un buon prodotto piuttosto avanti rispetto al periodo in cui viene realizzato, suscita interesse al Festival di Cannes e fa guadagnare a di Leo il Gufo d’oro concesso dalla regione Puglia all’importante compaesano.

Brucia ragazzo brucia è un erotico – intellettualedi matrice sessantottina, nel senso che risente molto delle influenze storico – culturali del periodo in cui viene girato. Françoise Prevost è Clara Frisotti, una donna insoddisfatta dal rapporto sessuale con il marito ma che durante una vacanza al mare scopre nuove sensazioni con un bagnino hippie (Gianni Macchia). Clara è ancora innamorata del marito e vorrebbe recuperare il rapporto, per questo gli racconta la sua esperienza e chiede perché ha provato con un altro quello che con lui non è mai accaduto. Frittata fatta. La donna non voleva rovinare il matrimonio, pensava che il marito avrebbe compreso, che avrebbero parlato e risolto il problema, ma si era soltanto illusa. Il marito (Michel Bardinet) la tratta da puttana, decide di separarsi e di toglierle la figlia, spingendola al suicidio. Un torbido finale mostra il marito che potrebbe salvare la moglie, ma tarda a chiamare l’ambulanza e decide che la morte è la giusta punizione per il tradimento.

La pellicola è ancora godibile, nonostante il tempo passato e presenta molte sequenze interessanti da un punto di vista squisitamente cinematografico. L’incipit onirico che mostra i problemi sessuali della moglie serve al regista per anticipare un clima di torbido erotismo che si farà sempre più esplicito. Clara è terrorizzata da un incubo ricorrente nel quale è succube del marito e del suo capo ufficio che vogliono possederla insieme. Il sogno termina con la sua fuga tra le braccia di una donna misteriosa, figura simbolica che rappresenta le problematiche erotiche di Clara, forse una latente omosessualità. Altre parti di ottimo cinema le apprezziamo durante la vacanza al mare che vede Clara insieme alla bambina e alla zia, mentre il marito torna in città per lavorare. Il mare di settembre è deserto, ci sono soltanto loro e un giovane bagnino che si dedica in modo plateale a far l’amore con la sua ragazza. La fotografia è molto curata e l’ambiente marino è reso con particolari cinematografici interessanti. Il bagnino è un personaggio eccessivo, forse un po’ troppo di maniera e sessantottino, con le sue frasi a effetto, tipo: “Voglio contagiare la gente con un po’ di libertà”, “Mi piace fare l’intellettuale con i cretini e il cretino con gli intellettuali”… Il bagnino e la sua ragazza sono due figli dei fiori, credono nell’amore libero, non si scandalizzano di fronte a niente, addirittura scommettono sulla buona riuscita del corteggiamento nei confronti di Clara. L’approccio del bagnino per concupire la bella donna borghese è molto proletario, ma lui comprende che Clara ha solo bisogno di far bene l’amore. “Uno schiaffo borghese” dopo un bacio rubato è la risposta di Clara alle avances del ragazzo. Il giovane si dà da fare anche con una turista svizzera che salva dalle onde, la bacia di fronte a tutti e una provvidenziale respirazione bocca a bocca si trasforma in un evidente rapporto sessuale. Clara sta cedendo, i suoi sensi sono in preda alla passione al punto che finisce per spiare il ragazzo durante gli approcci amorosi. Di Leo è molto bravo a raccontare per immagini le voglie represse di Clara e la sua insoddisfazione all’interno di un matrimonio borghese freddo e convenzionale. Il ragazzo riesce a eccitarla sempre di più, lei vorrebbe lasciarsi andare, ma i freni inibitori la bloccano, fino al giorno in cui viene sorpresa nuda in cabina e cede alla passione. Il covo sul mare del bagnino è quanto di può sessantottino si possa immaginare, pieno di scritte sulle droghe e altre di gran moda come: “La madre dei fessi è sempre incinta”, “Date a Cesare quel che è di Cesare: ventitré pugnalate”, “Una società fondata sul lavoro non sogna che il riposo”…

Il problema principale della pellicola è che in sede di apposizione del visto censura viene tagliata la scena del rapporto tra Macchia e la Prevost. Non si comprende che Clara si sblocca perché il ragazzo pratica sesso orale e abbonda in preliminari, anche se di Leo cerca di farlo trapelare durante il racconto dell’esperienza. Per immagini sarebbe stato tutto più chiaro. Il messaggio della pellicola fa infuriare la Chiesa e i benpensanti: la donna ha una sessualità e un orgasmo che l’uomo deve rispettare. Oggi ci sembra ovvio, ma nel 1968 era un discorso difficile da inserire all’interno di una pellicola. Il travaglio psicologico di Clara è reso altrettanto bene, perché la donna ama il marito anche se il rapporto con il ragazzo è stato bello e le ha permesso di provare un’esperienza indimenticabile. “Tra te e me c’è stato te e me. Nient’altro” dice il bagnino. Soltanto sesso. Lui non è un borghese e non ha bisogno di giustificare il bisogno di rapporti sessuali. Al ritorno di Marina, la ragazza  del bagnino, non ci sono scene di gelosia, ma soltanto un processo farsa alla donna borghese che si è fatta concupire dal proletario hippie. “Non è la libertà che manca, sono gli uomini liberi!” grida il ragazzo, tra le tante frasi a effetto stile movimento di liberazione studentesca. Clara confessa i suoi timori. “Pensavo di essere lesbica. Solo con te ho capito che mi mancava qualcosa”. Un bacio saffico tra la Prevost e la Stroebel sancisce che la donna non è omosessuale, ma soltanto una piccola borghese che aveva bisogno di tradire il marito. Il processo farsa termina con una finta esecuzione, così come in una scena precedente c’era stata la suspense di un colpo di pistola a salve sparato dalla compagna al ragazzo. “Il sesso è una cosa pulita” dice il bagnino. Pare un’affermazione che di Leo rivolge ai censori, ma non la capiranno. Il film precipita nel melodramma quando Clara decide di confessare tutto al marito. “L’ho fatto per noi. È stato bellissimo. Ma io ti amo. Voglio farlo con te, per provare insieme sensazioni nuove”. Qui lo spettatore comincia a capire che la donna ha fatto l’amore in modo meno convenzionale, soprattutto che per la prima volta in vita sua ha provato un orgasmo. La parola orgasmo resta bandita dai dialoghi. Non si può pronunciare. Clara confessa che ha fatto l’amore orale, che i preliminari sono stati lunghi, che il ragazzo l’ha accarezzata con delicatezza. “Perché non possiamo farlo anche noi?” chiede. Il marito si infuria e non comprende, dice che la moglie ha soltanto voglie innaturali, che essere donna ha dei limiti oltre i quali esiste solo il vizio, che l’erotismo nel matrimonio va tenuto sotto controllo. Michel Bardinet incarna la figura del borghese perfetto, un uomo che esige il rispetto delle convenzioni sociali. La situazione precipita quando minaccia di chiedere la separazione e dice che vuol porte via la figlia. Clara si suicida e nelle scene finali della pellicola vediamo il marito decidere di lasciarla morire. Il film si conclude con una bella fotografia marina, un fuoco acceso sulla spiaggia, ragazzi che ballano, l’alba che spunta, il marito immerso nei pensieri. La sirena di un’ambulanza in colpevole ritardo anticipa la parola fine.  

Il regista scandaglia l’universo femminile e rivendica il diritto della donna a godere le gioie del sesso senza falsi tabù, cosa che oggi pare scontata ma che non lo era quaranta anni fa, soprattutto per l’influenza della morale cattolica. Critica le coppie borghesi che vivono insieme, ma non sanno avere rapporti maturi e limitano le esperienze sessuali perché certe cose un uomo può farle solo con le prostitute. Il film esce in un momento delicato, mentre le prime idee di rivoluzione sessuale prendono campo e il femminismo apre strade nuove per la donna all’interno della coppia. L’Italia è sotto l’influenza di un pensiero borghese condizionato dalla religione cattolica e la donna è dispensatrice di piacere ma non può riceverlo. La pellicola ha il difetto di essere troppo didascalica e di affermare molte cose in maniera semplicistica. L’intuizione migliore del regista consiste nei tratti psicologici del personaggio di Clara interpretato da Françoise Prevost. Il suo tradimento non deriva da mancanza di amore per il marito, ma è imposto dalla necessità di capire cosa non funziona nel rapporto con il partner. Purtroppo la storia sfocia nel dramma perché il marito non accetta la spiegazione di un tradimento terapeutico, fatto per salvare il matrimonio. Di Leo fornisce un quadro credibile di un erotismo dalla parte della donna e critica in modo feroce la società borghese. Il difetto peggiore del film sono certe costruzioni semplicistiche e la creazione di personaggi poco tratteggiati psicologicamente, come nel caso del marito tradito e del giovane bagnino. Interessanti le figure dei bambini, soprattutto il piccolo contestatore amico della figlia di Clara che preferisce Snoopy a Topolino, che si improvvisa psichiatra come Lucy e infine impicca la bambola dell’amica per troncare il rapporto affettivo. Di Leo sfoggia una tecnica sopraffina, alternando la macchina fissa con la macchina a mano, montando alcune scene a stacchi e realizzando pregevoli sequenze oniriche. Il soggetto della pellicola è molto trasgressivo e la sceneggiatura è costruita su dialoghi moderni rispetto ai tempi. Gli attori sono ben diretti e abbastanza credibili nelle varie interpretazioni, ma su tutti spiccano due interpreti femminili come Françoise Prevost e Monica Stroebel (la ragazza del giovane bagnino) che sanno dare il giusto erotismo alla pellicola. Bravi anche Gianni Macchia (un semi esordiente scoperto dal regista) come ragazzo che sblocca la presunta donna frigida e Michel Bardinet nei panni del marito tutto d’un pezzo che non perdona il tradimento e costringe la moglie al suicidio.

Paolo Mereghetti definisce Brucia ragazzo brucia un film importante nell’evoluzione del costume e della storia dell’erotismo cinematografico nel nostro Paese. Incassò ben 950 milioni di lire, una cifra record per la fine degli anni Sessanta e scandalizzò parecchio, anche se visto oggi sembra ingenuo e troppo programmatico nel voler affermare le cose che si propone di dire. L’argomento orgasmo viene affrontato in modo timido, senza approfondire più di tanto e le scene di sesso sono davvero castigate. Tanto per far capire, la parola orgasmo non è inserita nei dialoghi e non risulta neppure scritta nella sceneggiatura. Forse per i tempi era troppo osé, non si poteva pronunciare, ma ci si doveva limitare a far capire. Di Leo dimostra tutto il suo talento che esprimerà nei noir successivi esibendo inquadrature perfette e imponendo al film un ritmo insolito.

Amarsi male (1969) viene annunciato mentre è ancora in circolazione Brucia ragazzo brucia e soprattutto in piena tempesta giudiziaria. La produzione vuole giocare sullo scandalo e sulla curiosità del pubblico che sta premiando la scelta di fare erotismo intellettuale. Tiziano Longo organizza un aperitivo all’Hotel Excelsior per comunicare alla stampa che il nuovo lavoro approfondirà le tematiche accennate nella prima pellicola. Amarsi male è scritto e sceneggiato da Fernando di Leo, il fratello Carmine – che si firma con lo pseudonimo di Nino Latino – ed Enzo Dell’Aquila. Fotografia del solito Franco Villa, montaggio di Amedeo Giomini, scenografie di Franco Bottari e musiche di Silvano Spadaccino. Aiuto regista è ancora Franco Lo Cascio. Produce Ferti Film, rappresentata da Tiziano Longo e Armando Novelli, ma è socio anche Fernando di Leo. Pure in questo film, di Leo è autore insieme a Spadaccino della canzone Amarsi male, che fa da motivo conduttore ed è cantata da Maria Monti. Il cast è composto da Susan Scott, Gianni Macchia, Micaela Pignatelli, Gary Merrill, Maria Monti, Lea Leander (Krueger), Giancarlo Cobelli (interpreta se stesso) e niente meno che Lucio Dalla. Gli interpreti vengono decisi dopo molti ripensamenti, perché in principio ci doveva essere Lucia Bosè come protagonista femminile, poi si pensò ad Anna Maria Pierangeli e infine si optò per la bella spagnola Nieves Navarro (in arte Susan Scott). Nieves Navarro è un’attrice che di Leo conosce sul set di alcuni western che sceneggia, non ha ancora lavorato molto, ma in seguito diventerà un nome ricorrente dell’erotico e della commedia sexy. Lo pseudonimo anglofono Susan Scott viene coniato proprio da di Leo in occasione di Amarsi male. Micaela Pignatelli e Lucio Dalla sono altre due presenze interessanti, la prima perché è addirittura parente del papa Innocenzo XII e il secondo perché sta muovendo i primi passi nel mondo della musica leggera e non ha ancora sfondato come cantautore. Lucio Dalla interpreta un hippie surreale, ma per fortuna recita poche battute e si limita a cantare una canzone. Di Leo si inventa un cast di debuttanti, quasi tutti attori sconosciuti da guidare per bissare il successo del primo film, ma le sue previsioni si rivelano sbagliate. Amarsi male è un flop totale. Tiziano Longo decide di ritirarlo di circolazione e di ridistribuirlo con il titolo di Brucia amore brucia per convincere il pubblico che è in stretta connessione con il precedente film. In realtà non è vero che Amarsi male è così collegato a Brucia ragazzo brucia, perché si limita ad approfondire le cose peggiori del primo film, quelle troppo didascaliche e retoriche.

La public relationAnna (Susan Scott) incontra Giancarlo, un giovane hippie senza una lira (Gianni Macchia, ormai quello era il suo ruolo), fidanzato della figlia del suo datore di lavoro, se ne innamora e compromette la carriera. Il ragazzo alla fine smette di fare il contestatore, lascia Anna e decide di sposare la fidanzata che rappresenta una sicurezza per il futuro. Anna è disperata, finisce nel baratro della droga e perde tutti i suoi averi. All’estero la pellicola esce come Traviata ’70 e infatti nelle idee degli autori è chiara la volontà di scrivere una sorta di Traviata dei tempi moderni. Di Leo si accanisce ancora contro la decadenza morale della borghesia e insiste sul ruolo positivo della donna che si degrada per inseguire un amore e sacrifica tutto sull’altare della passione. L’uomo, invece, tradisce gli ideali in cambio di un posto di lavoro e della sicurezza economica. Il film perde tutta la carica erotica di Brucia ragazzo brucia e di Leo stempera la sua bravura tecnica in alcune scene di sesso etero e pochi rapporti lesbici appena accennati. I censori sforbiciano a dovere la pellicola in sede di apposizione del visto e quello che viene fuori è un prodotto innocuo di buon livello formale, ma senza contenuti. Di Leo recita un cammeo all’interno di un bordello.

Paolo Mereghetti sostiene che di Leo non riesce a raccontare la contestazione se non per luoghi comuni da melodramma, anche se l’ottica al femminile riprende quella del più fortunato e riuscito Brucia ragazzo brucia. Pino Farinotti è fin troppo drastico e per lui il film è solo un drammone superficiale e retorico. Pure di Leo, intervistato da  Nocturno Cinema, fa abbondante autocritica: “Sbagliai completamente. Trattavo il problema del sessantotto, dei giovani, e feci solo della retorica stupida, tutto quello che di vero e urgente avevo detto in Brucia ragazzo brucia, in Amarsi male diventava retorico e sì che ideologicamente ero molto più forte e deciso…”. Non possiamo dargli torto.

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