Vincent Van Gogh, il genio delle emozioni

Articolo di Giulia De Bonis

Quel giorno è stata un’emozione di quelle speciali, per Vincent Van Gogh, vedere per la prima volta il nipotino che porta il suo nome: Vincent Willelm. Siamo nel 1890, un anno di consolazione e di rinascita per lui. Finalmente libero dai ricoveri in case di cura, va a vivere ad Auvers-sur-Oise con la bella prospettiva di un trasferimento a Parigi, accanto al fratello, alla cognata e al piccolo Vincent.

Dura poco questo tempo di serenità, perché la morte sorprende Van Gogh nel luglio dello stesso anno.

Nato nel Sud dell’Olanda nel 1853, figlio di un pastore protestante, Vincent Van Gogh in giovinezza è acceso da un fervore religioso quasi mistico. Sarà un “predicatore itinerante” nelle borgate proletarie dell’Inghilterra e del Belgio, volendo imitare san Paolo e san Francesco. È suo fratello Theo ad incoraggiarlo a incanalare nella pittura il desiderio di annunciare il Vangelo. Per aiutarlo, gli regala delle foto in bianco e nero di alcuni quadri di Millet, le cui opere trasformano i gesti dei contadini negli atti di un pacato e commosso rituale agreste.

All’inizio Van Gogh non sceglie dei temi esplicitamente religiosi ma, in pochi anni, l’evoluzione del suo pennello fa della sua pittura una “trasfigurazione” del reale. Le scene più umili e quotidiane diventano una vera e propria meditazione. Guardando le foto delle opere di Millet, come le spigolatrici o l’Angelus, Vincent è colpito dall’intensa religiosità, in cui coglie “qualcosa di unico e di profondamente buono. … Con il passare del tempo mi rendo sempre più conto della fede religiosa di Millet … Metto davanti a me come motivo il bianco e nero delle riproduzioni di Delacroix o di Millet … e poi v’ improvviso sopra col colore … questa diventa la mia interpretazione.” Così scrive Van Gogh al fratello Theo (L. 607) a proposito di alcune sue creazioni ispirate a quelle di altri artisti da lui ammirati.

Diversi soggetti di Van Gogh e Millet celebrano la famiglia e i suoi valori, come la religiosità della vita domestica. Sulle tele troviamo marito e moglie che si occupano insieme di qualcosa oppure una madre con il bimbo in braccio accanto al marito che innesta un albero o aggiusta un attrezzo. Lo stare insieme è considerata una forma di ricchezza, che rende accettabile anche la condizione più disagiata.

Così troviamo una bella visione della paternità unita a profonda religiosità nell’opera di Van Gogh I primi passi, custodita al Metropolitan Museum di New York e ispirata da un quadro di Millet. Analizziamo attentamente l’opera, percepiamo subito un senso di pace e di luminosità: nella scena di vita familiare un bambino muove i primi passi sotto gli occhi del papà e della mamma.

Il padre lascia la vanga, uno strumento del suo lavoro, e si china a terra all’altezza del suo bambino. È inginocchiato, come davanti al sacro, proteso verso il piccolo in un abbraccio rassicurante. Stanco, ma felice. Le sue braccia tese parlano di un’attesa carica di speranza, di timori e di trepidazioni per quella giovane vita da guidare; la quale, incerta, muove i suoi primi passi verso di lui. In quel cerchio di braccia tese, si respira futuro e apertura alla vita.

La mamma aiuta il bambino a non cadere ma non lo trattiene; anzi: lo incoraggia a staccarsi e ad andare avanti con le sue gambe per dirigersi verso il padre. I due genitori sono solidali tra loro ed interpretano con reciprocità i ruoli. In fondo si vede la casa della famiglia con i panni bianchi stesi ad asciugare mossi dal vento. La moltitudine di fiori bianchi crea un insieme armonioso, profumato e rassicurante, che dona un senso di bellezza e fiducia. La casa rotonda richiama il grembo originario. “Grembo e casa” che dobbiamo lasciare quando nasciamo e quando cresciamo.

In questo quadro apparentemente così semplice, emerge la grammatica fondamentale della vita. I genitori sono dipinti con lo stesso blu con cui Van Gogh ci ha donato delle stupende rappresentazioni del cielo. Essi sono l’origine della vita, la “maternità di Dio” e il suo compimento, l’abbraccio del padre che ama e aspetta.

Il bambino dovrà attraversare un orto, un terreno non liscio, anzi accidentato. Van Gogh sceglie l’orto anche perché è il luogo fertile in cui i frutti si coltivano con un’attenta cura, lasciando loro il tempo necessario per la maturazione. I frutti, che nascono e crescono lentamente sono un simbolo della crescita del bambino.

Al centro del quadro c’è lo spazio che il bambino attraverserà muovendo i suoi primi passi. Sta per accadere qualcosa di normale e al tempo stesso speciale: il bambino imparara a camminare da solo, accanto a lui ci sono i suoi genitori e nello spazio vuoto c’è la presenza invisibile di Dio. Come un Padre che vede crescere i suoi figli e li accompagna, Dio vuole che noi siamo liberi, liberi anche di cadere.

Potremo dire che in mezzo, tra i due genitori, c’è la vita. Tutta la vita. Il cui simbolo principale, come ha imparato Vincent nella Bibbia, fin da Abramo, è il camminare. I primi passi di un bimbo dicono quanto il camminare sia rischiosissimo. Ogni passo è uno squilibrio, fra due brevi momenti di equilibrio. E ogni passo potrebbe concludersi con una caduta dolorosa. Imparare a camminare è imparare a non avere paura dei propri squilibri, ma trasformarli in passi in avanti. La paura di cadere è superata dal desiderio innato di raggiungere il padre.

I genitori sono presenti e vigili, ma non si sostituiscono al figlio. Le braccia aperte del padre donano al figlio quella fiducia che nasce dalla certezza che, alla fine del tentativo dei suoi primi passi autonomi, ci saranno la sicurezza ed un abbraccio affettuoso. Ma questo iniziale “andare verso il padre” diventerà, crescendo, un “andare oltre il padre”; un padre capace di chinarsi e di aprire le braccia, pronto poi a rialzarsi per far crescere, capace di “lasciar andare”. Allora l’importante sarà che questo abbraccio paterno possa sempre rimanere disponibile, come quello del Padre misericordioso della parabola evangelica; ma sarà altrettanto importante che questo abbraccio paterno resti comunque vivo nella memoria del figlio.

Si vede, in questa bellissima tela, che ciò che rimarrà nel bambino da adulto è la memoria. Egli porterà sempre con sé questo sguardo pieno di speranza e di fiducia.

Sarà la memoria di questo sguardo di amore che salverà la vita ai nostri figli quando saranno grandi.

L’immagine evoca lo stile affettivo e pedagogico di San Giuseppe, capace di chinarsi ed aprire le braccia, capace poi di rialzarsi e far crescere, lasciar partire e quindi capace di amare formando un Figlio libero, in grado di “andare oltre”, in grado di fare Pasqua.

Related Articles