La guerra e l’onore

Articolo di Pierfrancesco Cegna

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. (Costituzione italiana, art. 11)

Da bambini, quando si arrivava a dire, sul serio o solo per gioco, che “la guerra è guerra” voleva dire che a quel punto saltavano tutte le regole. Ma non era così per gli adulti, perché la guerra aveva le sue leggi, le sue regole ed erano, in ultima analisi, le leggi dell’onore, quell’onore chiamato in causa da Francesco I re di Francia (Tout est perdu fors l’honneur. ) e da Churcill (Potevano scegliere tra il disonore e la guerra). A quei tempi non si faceva una guerra senza averla ufficialmente dichiararla e al vinto si concedeva l’onore delle armi, i civili non erano coinvolti e i prigionieri militari erano tutelati dalla convenzione di Ginevra.

Adesso, buttato alle ortiche l’antico concetto dell’onore, che abbiamo scoperto di meglio? Di sicuro non c‘è neppure onore nella guerra che ha invaso un paese libero e civilissimo, dove i bambini sembrano i nostri bambini e dove ho sentito una ragazza dire: “Fuggo per salvare la mia vita e la vita del mio cagnolino”. Vediamo la guerra, che finisce per invadere le case di tutti con immagini fatali per le nostre coscienze e con l’attacco alle nostre stesse certezze. Sembra la pandemia, che fa paura perché è subdola e non la vedi arrivare, ma è molto peggio proprio perché la vedi arrivare.

La guerra è il nostro male oscuro ma anche il nostro gioco prediletto, come una partita a scacchi con tanti pedoni veri sacrificati spesso per salvare il re, con una regina capace di tutto. Un gattino lotta con i fratellini, i cervi combattono per una cerbiatta con gli occhi dolci e il leone rincorre la solita gazzella che vede come una bistecca, non come una nemica. Non è questa la guerra degli uomini, non è lotta per la sopravvivenza, non è competizione, non è sport. La nostra guerra nasce da idee di morale e di giustizia, oltre che da alcuni peccati capitali, l’invidia e la superbia, l’ira e non di rado la lussuria. Tutta farina del nostro sacco. I cuccioli dell’uomo giocano con i war game e se per caso da grandi finiscono nel KGB o scoprono di essere capaci di infiammare le folle siamo fritti. Veniamo da una storia che è un calendario di guerre, con le rare buone notizie al posto dei giorni festivi. La più fortunata delle guerre fu quella con un solo morto, ma per il morto fu la più sfortunata. Abbiamo provato a mettere fiori nei cannoni e sono arrivare le Brigate rosse, abbiamo fatto tante marce per la pace e tante invasioni per mantenere o imporre personali visioni delle giustizia e della pace.

La guerra non è un gioco, non ci sono effetti speciali e invincibili eroi, non c’è la musica struggente di Ennio Morricone nel sottofondo. Qualcuno di nuovo vede l’Arcangelo Michele in cima al Castello sulle sponde del Tevere che lotta contro la peste, in tutte le sue forme demoniache, ancora con la spada sguainata in difesa degli inermi. Qualcuno spera che anche stavolta possa presto rinfoderarla dopo aver sconfitto le pandemie, lasciandoci arbitri dei nostri destini, liberi di competere per la libertà di ciascuno. “I popoli” scrisse Steinbeck nel 1942 “non amano essere conquistati e per questo non lo saranno”. Gli aggressori vincono le battaglie ma perdono le guerre. E anche l’onore.

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