“Moribius”, l’ennesima declinazione in stile dark di quanto il male possa essere tormento e profondo

Articolo di Paolo Quaglia

Il dottor Micheal Morbius è un chimico affermato e misantropo che vive e lavora a New York. Un tempo girovagava per il mondo alla ricerca di una cura per la rara malattia da cui è afflitto. Durante uno dei tentativi il futuro scienziato ha iniettato a sé stesso il DNA di un pipistrello rimanendone contagiato irrimediabilmente. A metà tra il Batman e un vampiro l’antieroe passa il tempo studiando le potenzialità dei pipistrelli. Morbius è l’ultimo capitolo dei personaggi Marvel portato sul grande schermo.

Inizialmente nato per il ruolo di antagonista a Superman questo antieroe dallo stile personalissimo ha il volto di Jared Leto che scorrazza per una città gotica e poco ospitale. In perenne conflitto con il suo amico/ rivale storico Milo, Moribius è l’ennesima declinazione in stile dark di quanto il male possa essere tormento e profondo. Esattamente come per Venom la Marvel prova a raccontare alcune gesta del protagonista e della lotta contro sé stesso mettendo insieme eventi sparsi e chiamandoli trama. Si parte dall’Europa seguendo la vita di un giovane malato per arrivare agli States provando a far capire l’anima di un supereroe dannato e del suo universo a tinte scure.

Il regista Daniel Espinosa da al tutto un taglio vintage provando, senza riuscire, a fare di Morbius un prodotto dal retrogusto autoriale. L’impianto procede in maniera molto classica sulla lotta tra bene e male. Se da una parte c’è Morbius che ha compreso i suoi poteri cercando di arrestarne gli effetti dannosi a fronteggiarlo troviamo Milo la nemesi “cattiva” che ha deciso di accettare la parte malvagia di sé stesso. Il fumetto di riferimento è completamente stravolto per semplificare la trama di questo lavoro che potrebbe andare se fosse arrivato una decina d’anni fa.

Personaggi del tutto inventati come fratelli o fidanzate trasformate in colleghe del protagonista si alternano sullo schermo senza alcuna giustificazione tranne quella di garantire una copia conosciuta di qualcosa ormai ampiamente digerito anche ai meno innamorati del genere. Un risultato che potrebbe funzionare al botteghino ma che non rende i 104minuti di proiezione indimenticabili. La regia anonima e una sceneggiatura abbozzata trasformano questa operazione in intollerante e fanno sorgere una domanda su quanto il tutto fosse realmente necessario.

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