Proviamo a perdonarci: i palermitani si sono impegnati per uscire definitivamente da una ferita profonda

Articolo di Elisa Lo Piccolo

Nelle disgrazie, l’unica cosa possibile è provare a perdonarsi, almeno un po’. Un prestito straniero, lastíma, di derivazione spagnola, è presente nelle maggiori lingue di ceppo indoeuropeo tra le quali l’italiano. Un termine come lastimiari, che nel gergo dialettale siciliano significa compatire, era in uso nella poetica di Sciascia, in una Sicilia fardello del suo stesso nome che assuefà i propri abitanti e sconvolge l’esterno. A salvare i primi, i più savi, scriveva Guicciardini, sarebbe stata la capacità di osservare e riconoscere quello che è stato e ritorna sotto diversi nomi e colori.

La scena di un Multisala Politeama, gremito di gente, lascia amarezza e insieme esigenza di spiegazioni, seppur ci fosse una logicità nella cosa. Cuffaro è tornato. Il colore in pandan con quello del simbolo della democrazia cristiana è un manifesto di redenzione, che egli fa a sé stesso, ma noi non a lui.

I palermitani si sono impegnati tanto tempo per uscire definitivamente da una ferita profonda, quella causata dalla mafia e che ha reso un territorio già aspro e crudo, un inferno. Le statistiche della Svimez dicono che il Mezzogiorno sia ancora un’area in via di sviluppo, e questo perché non ci sono le condizioni strumentali per far germogliare un fico. La storia affligge una terra madre che resiste ancora ai richiami dell’illegalità, seppure con molta fatica.

Fa male trovarsi davanti a chi, sfacciatamente, vuole mostrarsi l’unico ideologico in campagna elettorale, impugnando uno scudo e una croce che non ci difenderanno mai da niente. Fa male la visione di un simbolo, che ha delegittimato in modo del tutto unico la prima Repubblica. Ancora di più il concetto di “Amici di famiglia” che De Sica definirebbe secondo la teoria della segnalazione. Duole nella consapevolezza che non ci siano anticorpi sufficienti per affrontare questa tempesta.

Citare Martin Luther King, nell’ipotesi di un sogno, da cui sono sempre esclusi i giovani, contrasta con l’immagine di una spirale del “Vasa-Vasa”. Si sa, i sogni non si negano a nessuno, ma non si possono costruire laddove si è distrutto di propria mano. Scriveva Pasolini, che in Italia non c’è lavoro, ma almeno non si muore di fame. Di cannoli ne avranno mangiato a bizzeffe in questi anni e nel sogno di un ritorno che è stato.

Duolersi in un anti-macchiavellica visione, che tutti i male pendono da una sola parte, è sbagliato perché, nell’urlo e nella gestualità ci ritroviamo tutti e non c’è scusante alcuna. Tutto questo pare anacronistico, a qualche giorno dal ricordo del 23 maggio; e per questo motivo, in un soffio di un paese, che non crea mai sollievo e liberazione, proviamo a perdonarci tutti.

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