29 maggio 1453 – Una cronaca della caduta di Costantinopoli

Articolo di Armando Giardinetto

Da un lato l’Impero Bizantino, le Repubbliche marinare di Genova e Venezia e il Regno di Sicilia, 7 mila soldati latino-bizantini e 26 navi da guerra sotto il comando dell’imperatore Costantino XI Paleologo, del capitano Giustiniani, del veneziano Minotto, del Mega Dux Luca Notara e del duca di Venosa Gabriele Orsini del Balzo; dall’altro lato il potente Impero Ottomano con 80.000 soldati, 200 navi da guerra, 14 bombarde e varie armi potentissime, agli ordini del sultano Maometto II. Tutto questo caratterizzò l’ultimo assedio di Costantinopoli del 1453 d. C. “Dio vieta che io debba vivere come un imperatore senza un impero. Quando la mia città cadrà, io cadrò con essa. Chiunque desideri fuggire, che si salvi come può, e chiunque è pronto ad affrontare la morte che mi segua” avrebbe detto Costantino XI, profetizzando evidentemente la sua disfatta. Con la conquista di Costantinopoli, avvenuta precisamente martedì 29 maggio del 1453, cadde definitivamente, dopo più di mille anni di esistenza, l’Impero Bizantino. La capitale, ultimo baluardo dell’Impero romano d’Oriente, era circondata da mura enormi – in alcune parti alte 7 metri e spesse 3 – e venne presa dal sultano Maometto II che, grazie ad un’arma all’avanguardia per l’epoca in suo possesso, il Klaid-cannone – che sparava palle di granito di 350 kg ciascuna cinque o max sette volte al giorno – riuscì a buttare giù una parte della inespugnabile cinta muraria che era stata costruita, anzi rafforzata, sotto il regno dell’imperatore Teodosio II, nel V secolo d. C., e che aveva la fama di essere impenetrabile dal momento che, tranne che per il 1204 quando ad opera dei crociati la città venne saccheggiata, mai nessun altro era riuscito ad aprire neppure una piccola breccia in essa. Il consiglio degli astrologi di fiducia di Maometto II era quello di aspettare qualche giorno poiché si prospettava per lui un periodo di vittorie e conquiste. Gli avevano detto che il 29 di quel mese sarebbe stato un giorno molto fortunato. Il sultano non sapeva che, con l’impresa realizzata qualche ora dopo, sarebbe passato alla storia con il titolo di “Conquistatore” e che la sua vittoria avrebbe sancito la fine del Medioevo. Qualche ora prima dell’ultimo attacco il sultano motivò i suoi uomini, promettendo loro tesori, territori, donne e schiavi se fossero riusciti nell’impresa: “La città e gli edifici sono miei, ma i prigionieri e il bottino, i tesori… li lascio al vostro valore: siate ricchi e siate felici. Molte sono le province del mio impero: l’intrepido soldato che arriverà per primo sulle mura di Costantinopoli sarà ricompensato con il governo di quella più bella e più ricca…”. I bizantini si apprestarono a vivere quella che sarebbe diventata la loro ultima sera in città e, nella speranza di un aiuto divino, nei giorni immediatamente precedenti al 29 portarono in processione il quadro della Madonna che sfortunatamente cadde a più riprese durante i cortei e questo venne visto come segno di grande sventura. Il 28, tutti impauriti, latini e greci celebrarono un’ultima messa nella cattedrale di Santa Sofia, ma le preghiere restarono inascoltate. Subito dopo la mezzanotte i circa 80.000 Turchi Ottomani concentrarono le loro forze distruttive in direzione della porta principale di Costantinopoli, Porta Aurea, che un tempo veniva aperta solo per le cerimonie trionfali; secondo alcune storiografie, infatti, l’ultima volta che venne aperta, prima dalla conquista turca, fu nel 1261 per l’ingresso trionfale del nuovo imperatore di Nicea, Michele VIII Paleologo. Si combatté tutta la notte, gli attacchi turchi furono terribili, i bizantini si difesero con tutte le loro forze, i morti cadevano a terra continuamente, uno dopo l’altro i soldati sacrificavano la loro vita per cercare di salvare il salvabile, ci misero così tanta energia che riuscirono, intorno alle quattro di notte, ad allontanare le truppe nemiche, ma questo arretramento durò veramente poco dal momento che gli uomini di Maometto II riuscirono a rompere la difesa bizantina e ad aprirsi un varco. In uno di questi feroci combattimenti venne ferito a morte il genovese Giustiniani; ormai, vedendolo in fin di vita su una barella, gli uomini compresero che non c’era più niente da fare per salvare la città; d’altro canto Costantino tentò un ultimo contrattacco, buttandosi coraggiosamente a capofitto nella mischia, infatti venne ammazzato nei pressi della porta di San Romano – non prima di aver ucciso 800 nemici – il suo corpo fu trovato senza testa, con le insegne imperiali addosso e con ai piedi gli stivali color porpora che solo l’imperatore poteva indossare; il suo cadavere venne gettato e seppellito in una fossa comune. I Turchi Ottomani entrarono nella città, il sultano attraversò le strade piene di cadaveri accatastati uno sopra l’altro. Iniziarono le razzie: entravano nelle case; uccidevano gli abitanti delle stesse; violentavano donne e bambini; saccheggiavano quello che restava; distruggevano edifici del potere, monasteri, chiese e opere d’arte sacra cristiana. L’icona più venerata dai bizantini, la Vergine del buon cammino, venne oltraggiata, tagliata e buttata. Entrarono in Santa Sofia e sgozzarono senza pietà tutti i preti e tutti quelli che ascoltavano la messa; coprirono tutte le immagini cristiane, il pomeriggio del 29 la basilica divenne una moschea e la croce fu sostituita da una mezzaluna giusto in tempo per la preghiera: “Non ci sono altri déi se non il Dio, e Maometto è il suo servo e il suo messaggero” fu la prima cosa che venne detta dagli Ulamā – studiosi islamici presenti sulla scena – dal pulpito dell’edificio religioso. L’ultima vestigia dell’Impero Romano venne spazzata via per sempre, Costantinopoli, il “faro del mondo”, ormai era stata presa dai Turchi che avevano poco a poco già conquistato moltissimi territori di Bisanzio. Secondo alcune stime, dell’esercito di Costantino restarono solo 2 navi, mentre 20.000-30.000 furono i morti dell’esercito ottomano. Quando il sultano entrò in città, in cielo vi era la luna calante che da quel momento divenne simbolo dei Turchi e ancora oggi la si ritrova nella bandiera. Al suo ingresso nel palazzo imperiale, Maometto II recitò una poesia che parla della decadenza di ogni cosa: “Il ragno tira le tende nel palazzo dei Cesari! Il gufo fa la sentinella nelle torri di Afrasiab”, intanto là fuori l’ultima città dei grandi imperatori romani era praticamente un ammasso di rovine. Il sultano ordinò la fine dei saccheggi dopo il primo giorno dalla presa di quella che oggi si chiama Istanbul, che deriverebbe da un’insegna greca – Istin’polin – che si trovava sulle strade e che significava “Verso la città”.

Related Articles