Giornata mondiale del Rifugiato: la situazione continua a destare preoccupazioni

Articolo di C. Alessandro Mauceri

Il 20 giugno, in tutto il mondo, si celebra la Giornata mondiale del Rifugiato.  Venne introdotta ufficialmente con la Risoluzione 55/76 il 4 dicembre 2000 in occasione del 50° anniversario della Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati.

Da allora, nonostante gli sforzi delle Nazioni Unite (e in particolare dell’UNHCR che quest’anno ha lanciato la campagna #WithRefugees che durerà fino al 19 settembre), la situazione dei rifugiati continua a destare preoccupazioni. In Europa gli attraversamenti “irregolari” delle frontiere restano praticamente costanti. Invece le migrazioni forzate stanno aumentando costantemente.

E il trattamento loro riservato sta peggiorando in modo preoccupante. Nel Regno Unito, prima si è deciso di destinare un trattamento diverso ai rifugiati arrivati oltre Manica secondo canali irregolari rispetto a quelli giunti in mori regolare. Poi il governo ha preso la decisione (discussa anche sul territorio) di spedirli prima in Ruanda e poi nello Zambia. Solo l’intervento d’emergenza dell’Alta Corte Britannica è riuscita a ritardare la decisione di Johnson (e della ministra Patel) di spedire queste persone in un altro continente. Anche violando un numero indefinito di leggi nazionali e norme internazionali. In Danimarca, il governo aveva deciso di fare una cosa analoga. Il Regno Unito non sarebbe l’unico paese europeo ad aver respinto forzatamente i richiedenti asilo. Nell’Unione Europea (la stessa che sta facendo di tutto per dimostrare la propria ospitalità ai rifugiati ucraini), un’indagine congiunta di Lighthouse Reports, Der Spiegel, SRF Rundschau,

Republik e Le Monde basata su dati Frontex forniti da FoI avrebbe messo in luce che nel database dei rapporti dell’agenzia, chiamato Jora, sono riportati diversi casi di respingimenti di richiedenti asilo nel mar Egeo. Respingimenti etichettati dai funzionari come “prevenzione della partenza”. I dati di Frontex parlano di almeno 145 respingimenti etichettati come “prevenzione della partenza” tra il 2020 e il 2021. Ma secondo l’inchiesta sarebbero molti di più: quasi mille. In almeno 22 di questi casi, i migranti (dichiaratisi richiedenti asilo) sarebbero stati tolti dai gommoni, fatti salire su zattere di salvataggio greche e lasciati alla deriva in mare. A maggio dello scorso anno, alcuni di loro, sbarcati sull’isola greca di Lesbo aveva contattato l’Ong norvegese Aegean Boat Report e fornito foto (e un messaggio WhatsApp) in cui veniva mostrata la loro posizione vicino alla capitale dell’isola, Mitilene.  

Scandali simili erano emersi in Spagna per il respingimento di potenziali rifugiati e minori stranieri non accompagnati al confine con il Marocco. Ma anche nel Mar Mediterraneo al largo dell’isola di Malta. Lungo la nuova “rotta balcanica”. E poi più a nord, con la Polonia che aveva comunicato di voler utilizzare i fondi del PNRR per limitare gli accessi dei migranti dalla Bielorussia.

Tutte frontiere da mesi, anzi da anni, caratterizzate tutte dallo stesso fenomeno: la decisione di respingere i migranti senza distinguere tra migranti irregolari, profughi, “sfollati” (come quelli provenienti dall’Ucraina), MSNA e rifugiati. Persone che fanno lo stesso cammino insieme, che spesso hanno gli stessi problemi durante il viaggio. Ma che una volti giunti a destinazione dovrebbero ricevere un trattamento diverso. Almeno secondo le norme vigenti e i trattati firmati e ratificati da quasi tutti i paesi del pianeta. Ma questo non avviene. Per questo, alla fine di maggio 2022, si è tenuto l’IMRF, il primo incontro internazionale organizzato dalle Nazioni Unite e dall’IOM per discutere di questi problemi (l’unico side event italiano – su 45 in tutto il mondo – è stato quello realizzato dalla Scuola Nazionale Ambiente di Movimento Azzurro https://migrationnetwork.un.org/system/files/event_files/24 – 18 May – Scuola Nazionale Ambiente Movimento Azzurro_Summary.pdf  ). Ma distratti dal conflitto in Ucraina i media hanno dimenticato di parlarne.

Foto: cnoas.org

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