“Gli orsi non esistono”, una riflessione puntuale e ironica sulla società

Articolo di Paolo Quaglia

Una coppia iraniana aspetta il visto per andare in Europa. I due sono fermi da mesi in attesa che le autorità diano loro l’assenso a espatriare. L’uomo prova a convincere l’amata ad andarsene con un passaporto falso ma lei non sente ragioni. Dopo questa testimonianza d’affetto la scena s’interrompe per il volere del regista. Il direttore però non è sul set ma in una cittadina dove, esiliato, prova a fare il suo lavoro. Condannato dal governo a non fare più film l’uomo si trova in una località al confine con la Turchia. Ospite di una casa privata Jafar viene a contatto con una realtà, dove il tempo sembra essersi fermato.

Le dinamiche che controllano una comunità appaiono sotto gli occhi del regista incuriosendolo al livello umano. I cittadini, inizialmente molto ospitali, cambiano atteggiamento quando l’artista sofferma la sua attenzione su una coppia d’innamorati. L’errore del cineasta sarebbe di aver fotografato distrattamente l’uomo e la donna nella loro intimità . Gli orsi non esistono è un film del 2022 diretto da Jafar Panhai. Il regista continua la sua personale opposizione al governo Iraniano attraverso il suo lavoro di cineasta. Dopo il divieto delle autorità di Theran a fare film ed espatriare l’artista continua la sua produzione aggirando le restrizioni aiutato da una creatività inesauribile.

Come nel precedente Tre volti anche ne Gli orsi … Panahai racconta la sua vita e la utilizza per parlare di una privazione. La vita bucolica cui è testimone vive di contraddizioni che il regista osserva e trasforma in metafora. Le riflessioni su persone inizialmente disponibili che s’irrigidiscono sono sintesi della condizione umana a quelle latitudini. Mostrare l’amore è percepito come un attacco diretto a dogmi troppo sedimentati perché siano discussi. Il film è una riflessione puntuale e ironica sulla società ma anche l’affermazione di un amore che chiede di essere raccontato. Due storie che il film lascia indipendenti ma unite dalla consequenzialità di una vita imposta.

L’occhio di Panhai è attento a ritrarre la natura umana ma anche rassegnato a vivere in un ambiente così coercitivo dove il libero arbitrio ha accezione differente. Cinema realista che il regista porta a testimonianza di una palude che solo il pensiero potrebbe cancellare.

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