“Fuga”, una pellicola italo colombiana che racconta la storia di un prigioniero politico

Articolo di Gordiano Lupi

La carriera di Rossati prosegue con Fuga (1984), scritto da Franco Reggiani, ma il cinema di genere può dirsi finito e anche un regista valido non trova produttori disposti a rischiare. Fuga è una pellicola italo colombiana che racconta la storia di un prigioniero politico (Rodrigo Obregon) che evade e prende in ostaggio la figlia (Eleonora Vallone) di un uomo molto ricco. A questo punto si innesta il dramma erotico, il tipo di cinema che Rossati sa fare meglio. L’uomo in fuga violenta la donna, la rende sua schiava e genera un desiderio di vendetta che si scatena nel finale. Mereghetti definisce il film un fumettaccio pieno di erotismo sudaticcio e animalesco con personaggi di interesse nullo. La produzione inserisce il sottotitolo Fuga scabrosamente proibita per puntare sulle grazie della procace Eleonora Vallone, unico motivo per vedere ancora la pellicola.

   Come tutti i registi del defunto cinema di genere, Rossati approda alla televisione con il trascurabile Il televisore (1985), un film per il piccolo schermo che non rappresenta la sua vecchia cinematografia.

   Un esperimento interessante sarebbe Django 2 – il grande ritorno (1987) ma Rossati non è il regista più adatto per rinverdire lo spaghetti – western, genere che non ha mai praticato e che pare ormai fuori dal tempo. Rossati si firma Ted Archer e dispone di un cast grandioso: Franco Nero, Licinia Lentini (si fa chiamare Licia Lee Lyon), Christopher Connelly, William Berger, Donald Pleasence, Rodrigo Obregon, Roberto Posse, Alessandro Dichio e Mickey Bill Moore.  L’idea è bella, viene rimandata per anni, ma quando esce la pellicola è un fiasco colossale, nessuno se la fila, forse perché non si sente il bisogno di vedere ancora western. Django 2 – il grande ritorno segue Tex e il signore degli abissi (1985) di Duccio Tessari e doveva essere affidato a Sergio Corbucci per riportare in auge un genere e un personaggio amato dal pubblico. Il flop del film di Tessari convince Corbucci a non farne niente, ma l’operazione viene affidata a Nello Rossati che ne esce fuori piuttosto male. Django è interpretato ancora da Franco Nero, in questo film esce di convento, va alla ricerca della figlia rapita e si ritrova nel bel mezzo della giungla colombiana. A un certo punto pare di vedere un film filippino girato da Margheriti o Mattei, inutile, con poca inventiva, destinato all’insuccesso. Per Mereghetti si tratta di un western pieno di luoghi comuni che sarebbero già stati scontati ai tempi del primo Django (1966) di Sergio Corbucci.

   Nello Rossati conclude la sua carriera di regista con due film che nessuno ha visto come Cancellate Washington (1987) e Top line (1988). Credo che si tratti di due titoli, citati dal Dizionario dei registi italiani edito da Gremese, che non hanno mai avuto una vera e propria distribuzione italiana.

   La piccola storia del cinema di genere italiano ricorderà Rossati come il regista che ha lanciato Ursula Andress in un film memorabile come L’infermiera e che ha saputo sfruttare al meglio la bellezza di Orchidea De Santis in un erotico – campagnolo come La nipote. Nonsolo. Rossati pratica con costanza e perizia il melodramma erotico e per primo prova a realizzare una gustosa parodia del genere horror.

Tutto sommato un regista da riscoprire.

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