Ayin “ע” e Chet “ח”: visione e intuizione. L’occhio Trascendentale

Articolo di Bartolomeo Di Giovanni

Illustrazione del M° Antonio Bianco, Mr.Alex Smith

L’occhio è il mezzo della vista, ma è anche il simbolo della espressione della vita interiore, grazie agli occhi l’uomo ha la capacità di relazionare il mondo esteriore con il mondo interiore, infatti, non è più una teoria, che gli esseri sono dotati di terzo occhio, una piccola ghiandola che sta simmetricamente posta sopra la radice del naso , che dà, appunto, la capacità di intuire, di entrare nella natura delle cose.

La lettera ebraica Ayin, ע è la rappresentazione simbolica dell’ occhio, della percezione oggettiva e profonda, ma per divenire tale ci si deve esercitare a vedere ogni evento della vita come portatore di un insegnamento, nella Ayin confluiscono le energie del Sé e dell’ Io, ma quando e come riesce l’uomo a vedere ed intuire? E’ da ribadire sempre che l’occidente è diseducato al dolore, alle tenebre, al perdersi come facoltà potenziale del ritrovarsi. Bisogna perdersi e ritrovarsi fissando il punto di congiunzione tra afflato animico e sete dell’ Io, che non ha nessun surrogato se non sé stesso come momento esperienziale del Sé. Ayin è la lanterna che irradia la oscurità permettendo di guardare il portone della conoscenza, Aiyn è l’occhio che guarda il portone, che in ebraico si esprime con la lettera chet, ח, ,

L’osservazione- intuizione che viene sollecitata dalla facoltà intuitiva/percettiva ove il verbo soggiace tra il fare e il sacro , (Sacrificio) , in un eterno divenire

a-scindibile alla vista, diviene in sostanza la capacità Senziente di ridurre il molteplice al simbolo, quindi portare al vertice della scala della conoscenza la matrice primigena dell’uomo stesso.

E’ opportuno richiamare alcuni principi della facoltà della vista scritti da Luca Gavazzi, ne “Le dodici chiavi del firmamento, si legge:

“Nella tradizione braica il concetto di vista (Reyà), è intimamente connesso all’idea di sacrificio e di timore.

Reyà ha lo stesso valore numerico della sefirà “Ghevurà” che è la forza che ci mette alla prova[…]Ghevurà è la forza della legge, la disciplina ferrea[…] . La stessa Halakhà, normativa religiosa dell’ebraismo, spiega che l’ebreo, in ogni istante della sua giornata, deve comportarsi in modo integerrimo, e tener conto che Dio è presente in ogni azione. Osserviamo bene la forma della chet , che rappresenta l’idea di “porta” che permette l’accesso a una dimensione sacra”.

Guardare e sentire sono i cardini della porta delle Arti, la cui potenzialità è la rappresentazione dell’estasi, l’arte non è trascendente ma trascendentale, e la trascendentalità include la forza della creatività, quindi essere trascendentale è quel darsi alla esplorazione della materia. L’artista è per sempre, così come l’amore, la sacrificalità è il sapersi dare al “sempre” terreno, al ciclo della vita che costituisce legittimità al dire e al darsi del Logos , per esempio, il suono nasce da uno spartito materico, e diviene melodia udibile, intangibile, che viene resa palpabile dal musicista. (dirsi musica, farsi melodia).

Scendere dalla luce, incurvarsi e poi risalire per unificarsi alla luce primordiale, è il cammino dell’arte, un rapporto io- tu che una volta definito diventa NOI alchemico inseparabile, quindi amore, A-mors= non morte, perché è sempre bene ricordare che l’inizio E’ un ciclo eterno metapsichico non contenuto nel finire.

Nascere e morire sono prerogative della materia, di tutto ciò che è corruttibile, l’arte quale espressione vivente della forza amorosa, Sé autentico, movimento, è dinamica di potenza e atto, di dialogo tra tekné (arte) e pneuma (anima).

L’arte è di tutti ma pochi riescono ad allenare l’occhio percettivo-intuitivo, entrare nella nomenclatura simbolica è il viaggio dall’ Ade alla Luna, l’ Occhio di Antonio Bianco è la immaginazione del Maestro che si cala nella fase di Allievo che guarda per apprendere, l’apprendista ha in mano la materia grezza, il Golem da affinare e consegnare ancora al maestro, questa reciprocità avviene nella sua anima, negli istanti che sono il prologo di una attesa di definizione, che ancora una volta, tale definizione, tornerà a sé stessa in stato embrionale.

L’occhio non giudicante, ispezionante, è il diretto osservatore di un percorso che procede con le ruote di un carro antico, il cui rumore è il pungolo che spinge a raggiungere il sacro fatto (sacrificio) nei territori della conoscenza.

Ayin e Chet, sono sorveglianti delle muse che delimitano le parole profane. Il maestro Bianco recluta nei suoi spazi i colori dell’anima del soggetto da rappresentare, l’occhio di Mr. Alex Smith ci rivela la forza di quei recinti che vogliono uscire dal reticolato logico imposto da una società che dialoga poco, o in modo distorto, con gli elementi della natura. Alex è il segno Aria che respira attraverso l’occhio pineale, consapevolezza della esperienza corporale che si è inoltrata con coraggio in quella dimensione di costante ricerca. Antonio Bianco ancora una volta non smentisce il suo operato, la sua matita è in verità il mezzo tracciante di un la incrocio ove luce ed etere diventano la sacra Lemniscata.

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