La Speranza nella profezia dell’ Abbraccio

Articolo di Bartolomeo Di Giovanni

Alla fine del XIX secolo già israele aveva un inno nazionale che però faticò quasi un secolo prima di essere ufficializzato, HaTikvah, la Speranza), il testo è stato scritto nel 1877 da Naftali Herz Imber (1856-1909) come espressione della speranza del popolo ebraico di ritornare sulla terra degli avi, nel 1888 Cohen ne adattò la musica. Nel 1948, dopo la costituzione dello stato di Israele divenne l’inno nazionale de facto, nel 2004 de iure

L’inno ha avuto dei percorsi tortuosi, perché prima della diffusione fu osteggiato dal sionismo religioso perché ritenuto troppo laico, ma durante il diciottesimo congresso sionista svoltosi nel 1933 ne approvò l’utilizzo.

E’ possibile discutere, dopo la seconda Aliyah(ritorno degli ebrei nella propria terra, svoltasi tra il 1904 ed il 1014) di letteratura o di varie letterature prodotte da una sub-cultura ebraica? La seconda domanda si conferma come risposta attendibile, di letteratura è possibile parlarne da un punto di vista delle sacre scritture, nei secoli successivi le lacerazioni all’interno dell’ebraismo hanno suscitato diverse polemiche, arrivando fino alla cultura Yddish che ha rivendicato la propria utilità laica nei confronti di una ortodossia che ha sempre ritenuto valida l’arte simbiotica al culto. L’Yddish infatti è la lingua più accessibile, elemento unificatore degli ebrei nel mondo, lo stato di Israele però ha deciso che la lingua ufficiale fosse quella antica-biblica, e non una mescolanza linguistica.

Ognimodo l’ebraismo ha sempre avuto una impronta basata nel perseguire la retta via, sia sul piano spirituale che sociale.

Perché la Hatikva? E’ l’inno più vicino alla nostra epoca, il canto evocatore della millenaria speranza, cosi come lo è la poesia che segue, tradotta dall’ ebraista Davide Frumento, che divulga l’antico sapere ebraico attraverso corsi online, l’unico in Italia che ha indetto un concorso poetico dal titolo “Popolo Errante” a memoria di una civiltà che è in attesa del suo Re, e che non si esime dalla fede e dal sentimento del dovere.

Lesho Namit, è il profeta Abacuc, pare che l’etimo del nome significhi abbraccio, il profeta, unico nel suo genere, sfida Dio, chiedendogli il motivo della sofferenza che scende verso i giusti, ma Dio lo rassicura perché mentre i nemici assediano, Egli sta preparando la giustizia, e allora il Abacuc abbraccia la realtà in attesa del riscatto per mano divina.

I Versi, che seguono sono impostati sull’asse delle figure retoriche, soprattutto Il Paran,che riprende il senso del cantico del profeta Abacuc, dopo le domande poste a Dio, ne accoglie le Sue parole come compimento della promessa.

Abbracciare, è il simbolo di accogliere l’altro cosi come “è” , fusione di intenti tra il perdonante ed il perdonato, quindi aprire le braccia alla vita è l’elemento salvifico che in parte realizza il piano di Dio. Siamo carenti di abbracci, di speranze, siamo ammutoliti da un agnosticismo demolitore, quasi a giustificare le note impertinenti dell’egoismo, quanto per-dono siamo disposti a elargire?

L’egoismo, forma e sostanza della paura, è la punizione inconscia , è il non voler, o non saper creare nuove possibilità se non verso ciò che è comodo per noi stessi, si tenta spregiudicatamente di racimolare un tornaconto fallace, colmo di finzione, una non parola che è

finzione d’estasi… (presenza di ammutoliti spettatori).

L’uomo che edifica per la vita, che edifica sentimenti amorevoli verso il prossimo, vivrà in eterno sia nei “cieli” che nella memoria del mondo, i colombi, simbolo di pace sono coperti di orpelli ingannevoli, pace che si altera con il cieco amor proprio, senza considerazione dell’altro, distante nella cura verso l’altro.

C’è una legge che ci si ostina a non voler vedere, è la legge che dà i risultati delle formule arcane

della vita, La chiosa della poesia, nella sua doppiezza di significazione, rivela all’uomo che prima o poi l’ascisse degli arti deve espandersi, (figura di espressione simbolica) perché ci saranno eventi che riveleranno la forza ed i segreti del cuore.

החיבוק,

חבקוק היה הקדמה לתהילה שהפכה למים, דם ורוח,

עם כמה סלסולים ירדו היונים בכיסוי החיים?

זה לא משנה אבן או אפילו את הפסל שמסתכל על הנוכחות

של צופים המומים. בזיכרון ובדרך אגב

של ידיים שבנו סיפורים את השרידים הנצחיים.

המחט תגיע מהר פאראן אשר ישפוט את הבכי השתק

והייסורים של חוויה נסתרת.

זה יבוא ואתה תצטרך לפתוח

Lesho Namit

Lesho Namit generò il profeta dell’abbraccio,

Abacuc fu preludio della gloria divenuta acqua sangue e spirito,

di quanti orpelli si ricoprono i colombi discesi nella vita?

Non muta una pietra e neanche la statua che guarda la presenza

di ammutoliti spettatori. Nella memoria e nel passaggio

di mani che hanno edificato storie, rimane l’eterno.

Dal monte Paràn arriverà l’ago che giudicherà il pianto zittito

e le agonie di un vissuto celato.

Sì, arriverà e dovrai aprire le braccia.

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