Quei Crimini Infiniti narrati da Barbarossa e Benelli per vivere la Legalità

Articolo di Francesco Pira

Un libro che ci fa riflettere su quanto è importante la speranza. Ci vogliono uomini come Cristiano e Fulvio in grado di trasmettere messaggi positivi e ricchi di valori. Gli adulti dovrebbero consegnare alle nuove generazioni il desiderio di conoscere sé stessi e soprattutto la voglia di possedere ideali per cui spendere la propria vita come la Giustizia e la Libertà

“No man is above the law, and no man is below “ (Nessun uomo è al di sopra della legge, e nessun uomo è al di sotto di essa) . Questa frase di Theodore Roosevelt, 26º presidente degli Stati Uniti (Premio Nobel per la pace nel 1906) eletto all’età di 42 anni, il più giovane ad aver ricoperto questa carica, rimane dentro il cuore.

Theodore Roosevelt sapeva come parlare il cuore degli americani. Non a caso il suo volto è uno dei quattro scolpiti sul monte Rushmore, assieme a quelli di George Washington, Thomas Jefferson e Abraham Lincoln. Ho scomodato il Presidente Roosevelt per dare significato al concetto di legalità.

Sabato 14 gennaio ho partecipato ad un evento culturale molto prestigioso dal titolo: “Incontri d’autore sulla legalità” a Realmonte organizzato dall’Amministrazione Comunale su proposta dell’amico, storico e filosofo, professor Luciano Carrubba. Protagonisti della serata due professionisti romani eccellenti che lavorano tra cinema e TV, Cristiano Barbarossa e Fulvio Benelli che hanno presentato il loro libro, di grande successo “Crimine Infinit8”, edito da Fandango Libri. Li ho conosciuti a Pesaro, al Premio Internazionale Apoxiomeno, grazie al Patron, il Colonnello Orazio Anania, dove sono stato Giurato nell’edizione del 2022.

Cristiano Barbarossa, autore, regista e sceneggiatore votato al giornalismo ha vinto un Premio Speciale Giornalistico “Ilaria Alpi”, un Premio Speciale Flaiano, il Roma Ficiton Fest e il Premio del Pubblico al “Castellinaria” Festival del Cinema Giovane (Svizzera). Ha ideato, scritto e diretto con Fulvio Benelli Tutta la verità, una serie di film documentari sui più famosi fatti di cronaca giudiziaria, come la strage di Erba, il delitto di Avetrana, il giallo di Marco Pantani, il Mostro di Firenze e il delitto di Garlasco. È co-ideatore del programma Sirene sulle indagini condotte dalle Forze dell’Ordine sulle varie mafie, dalla ‘ndragheta alla camorra sino alle organizzazioni criminali estere.

Fulvio Benelli, regista, scrittore, sceneggiatore e giornalista. Ha lavorato come inviato e autore per Uno Mattina di Rai 1, per In Onda La7 dove ha seguito in diretta gli attentati terroristici a Barcellona. Per Servizio Pubblico, ha curato un documentario d’inchiesta sulla morte dell’ispettore Raciti; per Al Jazeera International un reportage sull’uccisione di Nicola Calipari in Iraq. È curatore del soggetto del film TV L’infiltrato – Operazione Clinica degli Orrori, realizzato con Barbarossa, uno dei più eclatanti casi di malasanità mai avvenuto in Italia. Ha scritto per Il Messaggero, Il Foglio, il Fatto Quotidiano. Fa anche radio, con programmi d’attualità e politica per Radio Vaticana, Radio 24 e Isoradio.

Il nome di questo romanzo nasce da due processi, il primo iniziato a Reggio Calabria, il secondo a Milano, che hanno segnato le vicende legate alla lotta alla mafia calabrese e che hanno fatto comprendere all’opinione pubblica le dinamiche della ‘ndrangheta.

Tutto inizia la mattina del 15 agosto 2007 con la strage di Ferragosto, a Duisburg (Germania), con l’uccisione di calabresi avvenuta per vendetta tra clan. Un fatto terribile che portò le istituzioni e le Forze dell’Ordine a indagare sulla criminalità organizzata. Un evento che ha dato vita a quelle risposte che lo Stato avrebbe dovuto garantire per dare un segnale forte alla mafia calabrese.

Il romanzo ripercorre gli iter processuali e cerca di mostrare il ruolo di uomini e donne che hanno ricoperto un ruolo importante nella realtà. I personaggi hanno nomi di fantasia, ma prendono spunto da persone vere che in un modo o nell’altro si sono rese protagoniste, antagoniste o comparse.

Il libro cerca di spiegare al lettore il binomio verità e menzogna, ma ad emergere è la forza e il coraggio di uomini e donne che riescono a vincere in ogni circostanza.

Un lavoro quello di Barbarossa e Benelli durato sette anni, dal 2014 ad oggi, nel quale sono racchiusi: documenti, testimonianze, atti giudiziari, inchieste, intercettazioni telefoniche e ambientali, viaggi continui tra la Calabria, la Lombardia e il Nord Italia dominati da intrighi e inganni. “Crimine infinit8” è, cosi, una narrazione vera della nostra Italia a metà tra giustizia e ingiustizia, persone perbene e mafiosi che riescono ad ottenere la connivenza di alcuni uomini dello Stato che portano nomi insospettabili.

Io ho cercato di riflettere, dal punto di vista sociologico, sugli aspetti legati alla mafia e sui fenomeni mafiosi. In uno dei miei articoli scientifici: “La nuova narrazione degli arresti di mafia: le tecnologie per documentare le attività investigative” ho studiato molti degli elementi messi in evidenza dagli autori che approvo e a cui ho ripensato con un particolare coinvolgimento.

Il crimine organizzato ha la capacità di rinascere, mostrando di essere flessibile e capace di interpretare i cambiamenti della società in modo funzionale ai propri scopi, tanto da trasformare la percezione che l’opinione pubblica ha dell’impatto della criminalità organizzata sulla quotidianità.

Si sta delineando una nuova dimensione della criminalità organizzata, capace di definire strategie finanziarie a livello globale, di mantenere il controllo del territorio e, dato più rilevante, di utilizzare i nuovi canali di comunicazione, sfruttando i linguaggi giovanili o asservendoli ai propri fini. Come osserva Enzo Ciconte, scrittore, docente e politico italiano, è in atto una vera e propria mutazione antropologica del mafioso, l’invisibilità, la segretezza si combinano con l’esibizione sui social dove la vita criminale assomiglia ad uno spettacolo e i criminali dei social influencer, con le proprie pagine collegate con migliaia di follower e dei post che generano un impatto molto forte sul pubblico. Un fenomeno che genera caos, che unisce elementi differenti non sempre messi in relazione e che spingono ad una visione dove il principio mafioso, descritto attraverso i social, disegna dei contorni opachi che facilitano un’impressione contorta e stimolano atteggiamenti e azioni che alimentano ancora di più le associazioni mafiose.

La nuova criminalità organizzata non teme di apparire e vuole uno spazio sui social per confondere ciò che è giusto con ciò che è assolutamente sbagliato.

La comunicazione mafiosa va oltre il semplice linguaggio o il semplice codice: è logica, un accostamento tra vaneggiamento e razionalità, tra alienazione e criterio. Una mafia disposta anche ad apprendere i processi di comunicazione per far trionfare il male sul bene. Sa sviluppare un’informazione adeguata, come parte sostanziale del processo di definizione del nuovo assetto del crimine: da un’organizzazione con stabili radici nel territorio a un’industria del crimine con estensioni a livello globale, che ha saputo scoprire i reali problemi della società in cui si introduce, ottenendo il massimo vantaggio dall’aumento della debolezza delle istituzioni e dalla diffidenza dei cittadini nei confronti della politica e degli uomini politici.

La professione giornalistica deve ritrovare la sua autorevolezza. Il giornalista deve eseguire un’operazione di fact checking molto scrupolosa e attenta. Ogni giorno assistiamo al proliferare delle fake news e l’incapacità di distinguere le notizie vere da quelle false genera molta disinformazione che viene sfruttata dalla criminalità organizzata.

In questa nostra società è difficile trovare esempi di responsabilità, di etica e di morale. Penso al Giudice Paolo Borsellino o al Giudice Antonino Caponnetto, due grandi uomini che ho avuto l’onore di intervistare e che non dimenticherò mai.

Intervistai il giudice Paolo Borsellino per un quotidiano regionale agli inizi degli anni ‘90. Dalla Procura di Marsala stava per tornare a Palermo. Quel tono pacato con cui riusciva a pronunciare piccole e grandi verità. Un episodio che mi ha segnato profondamente, perché è difficile immaginare che un uomo come Paolo Borsellino, nonostante la paura, continuasse la sua battaglia contro l’illegalità e l’ingiustizia. La paura forse per Paolo Borsellino era anche la quasi certezza che l’avrebbero eliminato: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.

Di Caponnetto ho apprezzato tantissimo i messaggi che era capace di veicolare ai giovani: “Ragazzi godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli”.

Magistrati e giudici che hanno cercato di svolgere il proprio lavoro, ma sono stati lasciati soli e sono stati uccisi. Troppi morti senza colpevoli e troppi casi irrisolti. Tante, anzi tantissime, parole che sono risultate prive di significato, poiché non hanno raccontato la verità di quanto accaduto. Noi non possiamo perdere la speranza che qualcosa possa realmente cambiare e non possiamo continuare a percorrere la via del silenzio.

E questo libro ci comunica l’importanza della speranza. Ci vogliono intellettuali come Cristiano e Fulvio in grado di trasmettere messaggi positivi e ricchi di valori. Martin Luther King ha scritto un pensiero meraviglioso: “Cercate ardentemente di scoprire a che cosa siete chiamati a fare, e poi mettetevi a farlo appassionatamente. Siate comunque sempre il meglio di qualsiasi cosa siate.” Gli adulti dovrebbero consegnare alle nuove generazioni il desiderio di conoscere sé stessi e soprattutto la voglia di possedere ideali per cui spendere la propria vita come la Giustizia e la Libertà.

Ho ricordato durante l’evento dell’intervista scolpita nel mio cuore al giudice ucciso dalla mafia Paolo Borsellino. Sosteneva che “l’impegno contro la mafia non può concedersi pausa alcuna. E’ normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio”. E’ una battaglia da trasmettere alle nuove generazioni come hanno fatto Cristiano e Fulvio nel loro libro.

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