XXIII Giornata della Memoria: una storia italiana

Articolo di Salvatore Distefano

Il 27 gennaio ricorre il XXIII anniversario del Giorno della Memoria, momento fondamentale del nostro calendario civile; infatti, come ha deciso il Parlamento italiano, la Repubblica italiana riconosce il 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, come «Giorno della memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. Pertanto, le scuole di ogni ordine e grado (G. U. n. 177 del 31 Luglio 2000) sono invitate, per quella data, ad organizzare cerimonie, iniziative, incontri e momenti di riflessione».

Lo sterminio del popolo ebraico da parte del regime nazionalsocialista hitleriano fu un evento di tragica portata storica, emotiva e culturale, dai tratti epocali, tale da configurarsi come una ferita profonda e inguaribile nel cuore stesso dell’identità europea. Un fenomeno che atterrisce nella sua pianificazione, compiuta nel segno della “razionalità e normalità”, talmente estremo da fare dell’esclusione e dello sterminio categorie politiche della contemporaneità. Inoltre, il “Giorno della memoria” ci spinge a ricordare le gravi corresponsabilità dell’Italia fascista nel disegno di morte messo in atto dal regime nazista e fa comprendere quali orrendi massacri nel XX secolo ha subito l’umanità intera per responsabilità del nazifascismo. Purtroppo, oggi si tende a liquidare il passato, ad annullare la memoria storica, a cancellare le conquiste degli scorsi decenni e riproporre regimi antidemocratici e liberticidi. Infatti, anche se sono passati Novanta anni dalla sua presa del potere, nessuno può dimenticare che il nazismo, nell’arco di pochi mesi, costruì un potere fortemente gerarchico e autoritario, rispondente al principio del capo (füherprinzip), che servì a Hitler per sopprimere le istanze pluralistiche e la struttura democratica della Repubblica di Weimar. L’annientamento degli oppositori e dei “diversi” fu perseguito “scientificamente”: cominciava dagli ebrei, ancorché tedeschi come tutti gli altri, e continuava con gli avversari politici, comunisti, socialdemocratici, liberali e cattolici, e via via tutti i gruppi che nella folle gerarchia razziale inventata dai nazisti non corrispondevano ai “requisiti della purezza e della superiorità”.

Dopo la “notte dei cristalli”, Hitler e i suoi stretti collaboratori cominciarono a praticare una politica razziale ancora più feroce operando lo sterminio delle comunità israelitiche: i campi di concentramento, dove già si trovavano gli appartenenti a tutti gli schieramenti politici antinazisti, si riempirono soprattutto di ebrei. Nei lager le persone diventavano semplici numeri e si distinguevano per un pezzo di stoffa colorata; nei lager di Auschwitz, Treblinka, Mauthausen, Buchenwald, Dachau, e in altri ancora, furono assassinate oltre sette milioni di persone e di queste circa sei milioni erano ebrei. Il “nuovo ordine” hitleriano durò pochi anni, ma fu capace di perpetrare oppressione, dittatura, persecuzione, guerra, genocidio.

 Il 27 gennaio 1945 è il giorno in cui furono abbattuti i cancelli del campo di Auschwitz ed è stato scelto per ricordare la Shoah (lo sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, le persecuzioni del fascismo nei confronti dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte.

Ancora oggi bisogna battersi contro i tentativi di banalizzazione della Shoah e affermare che i crimini del presente non sminuiscono la barbarie programmata di Auschwitz. L’aria che respiriamo è spesso appestata dall’insulto del riduzionismo e del negazionismo, affermato e promosso secondo modalità disparate da quelli che Pierre Vidal-Naquet definisce gli “assassini della memoria”.

Ma il Giorno della Memoria è anche una storia italiana perché dalle leggi razziali fino alla deportazione verso i campi di sterminio, il nostro Paese non fu secondo a nessuno per la meticolosità e la severità delle misure imposte agli ebrei. Di più: superficialità e malafede sono state foriere di una facile e sbrigativa autoassoluzione e hanno per tanti anni nascosto una terribile verità: “i campi del duce”. Una seria ricostruzione storica ha smascherato la ferocia italiana e attraverso una mappatura storico-geografica dei campi e un inquadramento storico delle diverse forme di internamento praticate nell’Italia di Mussolini: dal confino di polizia, alla deportazione coloniale, ai campi d’internamento allestiti con l’ingresso nella Seconda guerra mondiale, ai campi di concentramento veri e propri conseguenti all’occupazione della Jugoslavia. 

È ancora presente nel nostro Paese una sorta di senso comune autoassolutorio, che descrive il ruolo giocato dall’Italia fascista nella soluzione finale come del tutto marginale rispetto alla politica di sterminio del Terzo Reich. In realtà, come hanno spiegato storici eminenti, tra questi Enzo Collotti, non solo vi è stato un antisemitismo tutto italiano, certo alleato e complice di quello nazista a condurre tanti italiani verso Auschwitz, ma le sue radici affondano in profondità nella nostra stessa storia. Pertanto, in occasione del Giorno della Memoria non si può non ribadire come la strada verso quella fabbrica della morte iniziò molto tempo prima della Seconda guerra mondiale, nel cuore stesso della società europea, e come il fascismo italiano di quelle radici di odio si fece interprete e protagonista, elevandole a sistema ideologico. Ecco perché oggi la memoria non è solo importante, è davvero necessaria.

In Italia i luoghi di deportazione furono centinaia ed erano funzionali all’attuazione di una politica di repressione e di isolamento di tutti quei soggetti ritenuti pericolosi dal regime fascista. Con la costituzione della Repubblica Sociale Italiana (RSI), la situazione si aggravò ancora di più: a partire dal novembre 1943, data in cui si decise l’allestimento dei campi di concentramento provinciali per gli ebrei, si passò alla fase più estrema della struttura di repressione e segregazione politica e razziale del fascismo, in seguito alla quale avrà inizio la deportazione degli ebrei nei campi di sterminio nazisti. Tragici simboli di questo drammatico percorso saranno i campi di Fossoli, Bolzano, Borgo San Dalmazzo e il campo di sterminio allestito in Italia: la Risiera di San Sabba a Trieste.

Dunque, si tratta di un giorno dedicato alla memoria, ad una memoria universale, che mette al centro lo sterminio programmato scientificamente di un popolo, ma non rinuncia a ricordare, nello stesso tempo, i milioni di perseguitati, deportati, uccisi, sempre in nome di una pretesa “diversità” di razza, di costumi, di sesso, di idee, rispetto alla razza “superiore”. Una giornata importante, dunque, che non va ridotta ad una cerimonia celebrativa, ma al ricordo doveroso delle vittime e che deve unire la conoscenza storica e la riflessione.

Bisogna ricordare per tanti motivi. La memoria diventa un valore soprattutto quando è rielaborazione e ricerca della verità, quando cerca risposte ad interrogativi; quando, insomma, la cronaca e il ricordo diventano Storia.

Bisogna dunque combattere contro il silenzio, ma, lo ribadiamo con forza, anche contro il revisionismo e il negazionismo. Ricordiamo che i nazisti e i fascisti perseguitavano prima di tutto gli ebrei, considerati come razza inferiore, ma calpestavano e volevano sterminare anche i rom, gli omosessuali, in quanto “diversi dagli ariani”, ed anche coloro che erano portatori di idee politiche diverse (comunisti, socialisti, liberali e cattolici, e quelli che aiutavano i perseguitati).

AUSCHWITZ di Salvatore Quasimodo

Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,

amore, lungo la pianura nordica,

in un campo di morte: fredda, funebre,

la pioggia sulla ruggine dei pali

e i grovigli di ferro dei recinti:

e non albero o uccelli nell’aria grigia

o su del nostro pensiero, ma inerzia

e dolore che la memoria lascia

al suo silenzio senza ironia o ira.

Da quell’inferno aperto da una scritta

Bianca: “Il lavoro vi renderà liberi”

Uscì continuo il fumo

Di migliaia di donne spinte fuori

All’alba dai canili contro il muro

del tiro a segno o soffocate urlando

misericordia all’acqua con la bocca

di scheletro sotto le docce a gas.

E sulle distese dove amore e pianto

Marcirono e pietà, sotto la pioggia,

laggiù, batteva un no dentro di noi,

un no alla morte, morta a Auschwitz,

per non ripetere, da quella buca

di cenere, la morte. 

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