“Come Sparta e Atene”, la nuova raccolta poetica di Francesco Billeci

Articolo di Lorenzo Spurio

La nuova raccolta poetica di Francesco Billeci, Come Sparta e Atene, splendidamente prefata dalla poetessa Palma Civello si aggiunge alla cospicua produzione letteraria dell’Autore di Borgetto (PA), instancabile promotore culturale e responsabile dell’omonima casa editrice. Billeci, che ha dato alle stampe vari volumi dedicati al fenomeno corruttivo e mafioso (tra cui Segreti di mafia, romanzo del 2012 e il più recente volume Vittime di pizzo, uscito lo scorso anno) e che non si è mai risparmiato nella difesa di battaglie di ordine civile, torna questa volta a parlarci di alcuni drammi della società a noi contemporanea. Da non dimenticare, inoltre, che Billeci ha pubblicato varie sue opere anche in altre lingue: poesie in spagnolo (traduzione di José Costantino) sono contenute in Perfume de amor (2019) e in inglese (traduzione di Dorothea Matranga) in The Nail (2021) assieme a quelle di altri autori siciliani. L’Autore ha pubblicato anche testi nel suo dialetto e in ulteriori parlate regionali del nostro Belpaese tra cui in napoletano (traduzione di Pasquale Salvatore) in Terre d’amore e di sole (2021), in pisano (traduzione di Andrea Lazzara) in Sicilianpisando (2021) e in sardo (traduzione di Franco Carta) in Liriche dalle Isole (2022).

Il titolo scelto per il volume, che potrebbe far pensare a una raccolta di testi innervati o con un riferimento palese alla storia dell’antica Grecia, è ben tratteggiato nelle sue potenzialità quale esempio di una metafora ampia che l’Autore ha inteso percorrere anche per meglio delineare apparenti contrasti, aporie, situazioni di difficile coabitazione e opposti.

La varietà tematica e la complessità degli argomenti – la gran parte di interesse collettivo – che Billeci poeta ha fatto coniugare in maniera speciale nelle pagine di questo volume ci consente di apportare alcune riflessioni che non hanno pretese di esaustività né il desiderio di giungere a conclusioni chiuse.

Da una parte ci sono poesie che tratteggiano l’uomo Francesco Billeci nella sua intimità, inserito nel suo contesto familiare e nella dimensione memoriale e affettiva. Poesie dedicate agli amorevoli genitori, ma anche alla sua compagna. Non mancano neppure testi che, pur pensati quale riflessione interiore, sembrano assurgere a vere e proprie preghiere, talmente forte è la ricerca di confessione, il desiderio di essere ascoltati, l’esigenza di offrire i propri pensieri a un’Alterità sovrumana pronta ad accogliere e consigliare mediante la rinata consapevolezza infusa nel proprio animo.

C’è poi tutto l’universo che definiremo di dimensione sociologica e antropologica nella poesia di Billeci che va dalla cronaca nera, soprattutto di ambito nazionale, ai drammi concreti dell’oggi, dall’evidenza del cambiamento inarrestabile di una società che sempre più va verso l’egocentrismo, la spersonalizzazione, il facile divismo, il capitalismo ottuso a discapito della genuinità, dei saldi insegnamenti, della propensione a concepire il mondo quale spazio di condivisione e collante di tante monadi chiuse e tra loro distanti.

Mappare con puntualità e circospezione tutti gli accadimenti socio-politici, storico-geografici, geopolitici ed economici, nel macro e nel micro contesto, nell’hinterland come nel villaggio, nella megalopoli come nel paesetto di provincia, a cui il Nostro allude o richiama con le sue poesie può risultare una lettura viziata e troppo nozionistica, di una disanima frammentata nelle tante istantanee che il Poeta ha inteso cogliere. Da fedele testimone del tempo che gli è dato di vivere, nella sua cronistoria lirica che con il suo impegno letterario Billeci ha costruito e reso salda nel tempo vanno menzionate senz’altro le liriche scritte nei dolorosi (lunghi) istanti della pandemia per il Coronavirus (con tutto ciò che esso comporta e che ben conosciamo), quelle che parlano dell’esigenza concreta di un accordo di pace (e che, a un anno esatto dallo scoppio del conflitto russo-ucraino, ci sembrano così cogenti e improcrastinabili.

L’autore di Borgetto ha scritto poesie tese a dipingere (con l’intento di denunciare) crudi fatti di violenza all’interno delle propria mura domestiche, casi di femminicidio consumatisi e altri che, per fortuna, si sono evitati; la vulnerabilità psicofisica di soggetti dediti a psicofarmaci e la pazzia (particolarmente significativa la poesia dedicata alla celebre poetessa dei navigli, Alda Merini), casi di scherno, sottomissione, denigrazione e negazione della propria identità come avviene nella lirica “L’amore non ha sesso” in sprezzo all’omofobia recalcitrante, ben più diffusa di quanto pare di credere e di quanto la cronaca giornalistica ci informa. L’Autore mostra comprensione e vera vicinanza nei confronti di coloro che, meno fortunati di altri, sono nati con handicap di vario tipo, sensoriali quanto motori, discapacità significative che determinano in maniera molto dura e influiscono pesantemente sulla loro esistenza, già disagiata fisicamente e spesso anche da un punto di vista psicologico.

Significativi e assai apprezzati gli omaggi lirici di Billeci nei confronti di Maria Costa, celebre poetessa di Messina, anima dell’oralità del rione di Casi Basci che raccontò il dramma del potente terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908 e cantò la leggenda luminosa e trionfante di Colapesce; quello a Peppino Impastato, “guerriero senza armi”, attivista mai domo che sconfessò nell’angusta realtà di Provincia il fenomeno mafioso di don Tano Badalamenti a costo della sua stessa vita e dell’infamia sulle piste deviate sulla propria morte. Impastato, che con il famoso articolo de “La mafia è una montagna di merda” si guadagnò anche il disconoscimento paterno e il discredito generale, fu (ed è) alto esempio di lotta alla mafia. A lui Billeci scrive: “tu vivi in terra e in ogni suo cratere, / nel cuore di tua madre Felicia e in ogni bene / tra la clessidra del tempo e l’immenso etere”.

I motivi per cui vale la pena leggere questo libro sono molteplici: lo stile adoperato è pulito e scevro da orpelli di maniera, il linguaggio è sempre molto chiaro, lievemente articolato in veli di analogia che, comunque, sono sempre facilmente ricettivi. Se è vero che spesso è la cronaca dei giorni a impossessarsi dei versi, i componimenti non perdono mai quella freschezza che li rendono così vividi, attuali, atti a prolungare una denuncia verso i misfatti prodotti dall’uomo che ha eretto il vizio e il malaffare quali suoi mezzi di vita. A dominare è l’esigenza di chiarezza, la volontà di dire le cose come stanno, per abbattere in maniera perentoria quel velo di Maya che offusca la vista, per reclamare l’esigenza di verità, il dato reale, fuori da ogni populismo e da retoriche passatiste. Billeci è un uomo che fa della sua poesia il manifesto di vita, l’attitudine d’intervento nel mondo reale. La sua è poesia che diviene impegno in cui il vocabolo si trasforma in un’azione. Il verso è un atteggiamento e la strofa un campo d’intervento. È una sorta di duello intimo e continuo tra quel reale spesso deludente nella convulsione di ingiustizie e forme di violenza a ogni livello, e la tensione a un ideale di concordia ed equanimità, di un vero che si realizza compiutamente con – e secondo – le variabili dell’uguaglianza e l’osservanza dei diritti. Purtroppo tra le due situazioni c’è uno scarto la cui distanza è abbastanza spaventosa ed e è proprio lì, in quel margine di conflitto (richiamo non voluto al titolo che ci rimanda alle lotte tra spartani e ateniesi) tutto interiorizzato e vissuto nell’ormai sconfortata illusione di un predominio del bene, che si colloca il pensiero fruttuoso e magmatico di Billeci, uomo dei nostri giorni col marchio inossidabile della difesa della legalità.

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