«La mia natura è il fuoco»: breve vita di Caterina da Siena, patrona d’Italia

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 29 aprile 1380 muore a Roma, dopo una breve intensissima vita, Caterina di Jacopo di Benincasa, conosciuta come Caterina da Siena. Nasce nella città di Siena, il 25 marzo del 1347, in una famiglia molto numerosa. All’età di 16 anni, spinta da una visione di san Domenico, entra nel Terz’Ordine Domenicano, nel ramo femminile detto delle Mantellate. Pur scegliendo di rimanere a vivere in famiglia, Caterina conferma il voto di verginità fatto privatamente quando era ancora solo un’adolescente. La sua giovinezza è tutta dedicata alla preghiera, alla penitenza, alle opere di carità, all’assistenza degli ammalati. Pur essendo analfabeta Caterina si avvicina alle letture sacre: da sola impara a leggere e anche a scrivere, ma usa comunque e spesso il metodo della dettatura. Ricordiamo, ad esempio che, nel Cinquecento la capacità di leggere si estende solo al 20% della popolazione adulta europea.

Più tardi Caterina si occupa attivamente di politica, sforzandosi in ogni modo di ristabilire in Italia la pace e adoperandosi per il ritorno di papa Gregorio IX, e della Corte Pontificia, da Avignone a Roma. Riesce con il suo apostolato a circondarsi di una fitta schiera di discepoli affezionati e fedeli, ai quali detta la maggior parte delle sue opere, essendo – come scritto sopra – di «scarsa cultura e analfabeta». Le sue opere, le 300 e più Lettere e il Dialogo della divina provvidenza, le Preghiere sono «manifestazione della sua indole appassionata e veemente, vivacemente mi vivamente mistica ma di misticismo operoso che non si estranea dalla vita e dall’azione, ma anzi in esse si tuffa a modificare attraverso l’azione il mondo circostante. I suoi scritti sono documento della sua vivace fervida personalità» (Giuseppe Petronio, Produzione e fruizione. Antologia della letteratura italiana, Palumbo, 1988, vol. 1, p. 94.). Il Dialogo della divina provvidenza è un capolavoro della letteratura spirituale. Le sue Lettere – famosa è la “Lettera a un padre Raimondo da Capua” in cui descrive la morte di un tale Nicolò di Tuldo condannato a morte e decapitato – sono inebriate di un misticismo ardente, forte, vibrante.

L’insegnante Arrigo Levasti, nella sua importante Introduzione a Mistici del Duecento e del Trecento (Rizzoli, 1935) scrive che «la mistica italiana del Duecento e del Trecento è in massima parte francescana e domenicana». Nel Trecento la Toscana vive un momento storico di intraprendente ricchezza spirituale e culturale, la cui scena artistica e letteraria è dominata da figure come Giotto (1267–1337) e Dante (1265–1321), «i maggiori fabbri del volgare europeo, del “parlare nostro” pittorico e letterario» (Massimo Cacciari, Doppio ritratto. San Francesco in Dante e Giotto, Adelphi, p. 18 e sgg.)

A canonizzarla è nel 1461 il concittadino Pio II (Enea Silvio Piccolomini). Papa Pio IX, nel 1866, la proclama “co-patrona” di Roma. Nel 1939 papa Pio XII la dichiara «patrona d’Italia» insieme a san Francesco d’Assisi. Nel 1970 papa Paolo VI la nomina «Dottore della Chiesa universale» e infine Giovanni Paolo II, nl 1999, co-patrona d’Europa insieme a santa Brigida e a santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein).

Il titolo di questo breve articolo è tratto dal bel romanzo dello scrittore ungherese naturalizzato britannico Luois de Wohl, che invito a leggere come, l’articolo, pubblicato lo scorso anno dal collega e amico Armando Giardinetto (www.ilsaltodellaquaglia.com/2022/04/29/santa-caterina-da-siena-una-donna-tuttaltro-che-analfabeta) che ben più diffusamente del sottoscritto ha analizzato l’«azione di fuoco» impressa da santa Caterina da Siena nelle sue Opere che «esercitano un’azione determinante sulla letteratura e sulla lingua italiana» (Armando Giardinetto).

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