“Salon Kitty”, un film ambientato nella Berlino della Seconda Guerra Mondiale

Articolo di Gordiano Lupi

Il film è ambientato nella Berlino della Seconda Guerra Mondiale. Kitty Schmidt (Thulin) è la padrona del più raffinato bordello di Berlino, lavorano per lei ragazze bellissime provenienti da tutto il mondo e il locale è frequentato da ministri, politici e diplomatici.

Per volontà delle SS, il Salon Kitty viene trasformato in un bordello di lusso per ufficiali tedeschi, dove le prostitute sono agenti speciali addestrate a carpire segreti militari e tendenze al tradimento. Kitty non sa che il bordello serve per recuperare notizie utili al regime e per decretare la condanna a morte di chi pronuncia una parola di troppo. Le ragazze redigono particolareggiati rapporti, ma i loro mandanti non si fidano troppo e registrano le conversazioni grazie a microfoni nascosti. Il tenente delle SS Wallenberg (Berger) è responsabile dell’operazione, ma le cose precipitano quando arresta e fa impiccare un ufficiale in odore di tradimento, che era diventato amante di Margherita (Savoy). Kitty aiuta Margherita a scoprire le sue brame di potere e gli scheletri nell’armadio per denunciarlo al superiore (Steiner) come traditore e farlo giustiziare.

Thérèse-Ann Savoy è la protagonista indiscussa di Salon Kitty, nei panni di Margherita, la prostituta che scopre il gioco sporco di un capo nazista e si ribella. Nel film la bella Savoy recita per gran parte del tempo completamente nuda, si muove con la grazie di un felino, ancheggia maliziosa, se la fa con un essere orribile e deforme (Salvatore Baccaro), eccita ufficiali nazisti, scopa nei bagni pubblici, cammina a quattro zampe prima di consegnarsi al suo amante, lesbicheggia con Tina Aumont (moglie del tenente Wallenberg),  si concede alla macchina da presa in atteggiamenti osceni e si fa riprendere nuda senza inibizioni.

Thérèse-Ann Savoy è un’attrice dal fascino ambiguo e dalla bellezza androgina che viene dall’Inghilterra ma si afferma in Italia dopo un servizio senza veli comparso su Playmen nel 1972. La bella inglesina di Chelsea, bionda e lentigginosa, debutta come playmate sul paginone centrale della nota rivista per adulti con il nome di Terry e confessa di vivere in Sicilia in una comunità hippye. La bellezza insolita della ragazza, unita a una storia che ha il sapore di un romanzo, attirano l’attenzione di un regista come Alberto Lattuada che la fa debuttare nel film Le farò da padre (1974) a fianco di Gigi Proietti. Non lavora molto nel cinema italiano, ma brucia le sue carte da attrice dotata di un fascino morboso e sensuale in una manciata di pellicola che vanno dal 1974 al 1987. 

Salon Kitty è il suo terzo film e rappresenta il primo successo internazionale di Tinto Brass, apprezzato dal pubblico, ma distrutto dalla critica intellettuale sempre disgustata dalle tematiche erotiche. Salon Kitty produce un vero e proprio scandalo, anche perché per la prima volta Tinto Brass racconta una storia così spinta, senza moderare la macchina da presa, anzi facendola avventurare in riprese ginecologiche. Per questo motivo la Commissione di revisione di primo grado nega con decreto ministeriale 12/12/1975 il nulla osta ala proiezione pubblica. Tinto Brass scrive un’appassionata difesa in forma di memoriale, nella quale mette in primo piano il contenuto etico e ideologico del film. Il film viene ammesso alla pubblica visione, ma la versione liberata dai censori risente di alcuni tagli. Il produttore Giulio Sbarigia rimonta la pellicola da far circolare nelle sale, per prevenire possibili sequestri, al punto che Tinto Brass non riconosce il lavoro e soprattutto mette in discussione il suo nome alla voce montaggio.

Salon Kitty racconta una buona storia con una generosa esposizione di grazie femminili, che non è mai gratuita ma funzionale al tema trattato. Il cast è eccellente e vede attori ben calati nella parte, su tutti citerei un intenso Helmut Berger e una professionale Ingrid Thulin. John Steiner se la cava con classe ed eleganza interpretando un ufficiale nazista molto dandy, impomatato e silenzioso. Stefano Satta Flores è un credibile napoletano guascone che frequenta la casa di Kitty e aiuta Margherita a vendicarsi del nazista. Bene anche Bekim Fehmiu nei panni dell’ufficiale che fa innamorare Margherita. Numerose le presenze femminili che non lesinano nudità a tutto schermo, tra di loro citiamo Sara Sperati, Maria Michi, Paola Senatore e Tina Aumont.

Il film si ricorda per alcune sequenze estreme all’interno di laboratori nazisti dove viene documentata con metodi assurdi la tesi della inferiorità razziale di neri ed ebrei. Altre sequenze per palati forti vengono girate in un mattatoio, tra maiali scannati, schizzi di sangue, grida animalesche, ragazzi che scherzano e brandiscono attributi sessuali. Il regista inserisce alcuni filmati d’epoca con discorsi di Hitler alla folla, scene di guerra e bombardamenti. Alcune sequenze in esterno sono girate a Berlino, mentre il grosso della pellicola è filmato in teatro di posa e con sfarzo felliniano vengono messe in piedi imponenti strutture naziste. Il bordello di Kitty è ben ricostruito con sfarzose scenografie e ottime coreografie erotico – ironiche piene di citazioni alla musica di moda (valzer, can can…). Tinto Brass compie una critica antiborghese presentando la famiglia di Margherita che non conosce il lavoro della figlia, non ama Hitler, ma lo appoggia sperando di normalizzarlo e si dimostra la vera responsabile della follia nazionalsocialista. I due ufficiali nazisti, ma soprattutto il personaggio interpretato da Helmut Berger rappresentano gli eccessi del potere, le persone che non si arrestano di fronte a niente pur di ottenere i loro scopi. “Non me ne frega un cazzo del nazionalsocialismo! Il potere è la sola cosa che conta…” dice Berger. Saranno le parole che lo manderanno a morire.

Tinto Brass opera una pregevole ricostruzione d’epoca, una messa in scena interessante che fa da sfondo a una prolungata esibizione di nudi femminili. Citiamo la giocosità degli accoppiamenti iniziali tra uomini e donne, a ritmo di Wagner, secondo regole militari e con atteggiamenti che ricordano le esibizioni ginniche. Brass esibisce veri organi sessuali maschili (vivi e morti) in primo piano, lo fa senza malizia, in modo funzionale alla storia, ma è la prima volta che accade in una pellicola italiana e lo scandalo è notevole. Altre scene indigeste sono i mostruosi accoppiamenti con pazzi, uomini dimezzati, nani deformi e lesbiche folli. L’erotismo torbido è l’arma vincente del film. Thérèse-Ann Savoy che si sfila le mutandine, alza la gonna, cammina a quattro zampe davanti a Helmut Berger, muove il sedere con eleganza e termina con una realistica fellatio è una scena da manuale. Molto intensa anche la parte erotica finale, quando la Savoy irretisce Berger per farlo parlare, ma prima della confessione sul potere vediamo lo champagne versato sul corpo della donna e un erotismo fatto di sguardi e sensazioni. La ragazza solleva la gonna, l’ufficiale si abbandona a un prolungato bacio intimo, le strappa il vestito e mette in mostra l’efebico corpo slanciato della bella attrice inglese. La prolungata parte erotica si conclude con una realistica reciproca masturbazione.

Il commento musicale di Fiorenzo Carpi è suadente, ben fatto, le canzoni ricordano sia la musica di Wagner che l’inno nazionale tedesco e spesso basta la musica per far capire, non servono le parole. Tito Leduc realizza ottime coreografie.

Alcune frasi ricordano la giocosità erotica di Brass. “Per conquistare il mondo bisogna saper ridere e cantare, come gli antichi romani” e anche “Grazie al cielo l’amore ha lo stesso odore dappertutto”.

La fotografia flou e anticata di Silvano Ippoliti conferisce al film un interessante tono d’epoca.  

Paolo Mereghetti giudica Salon Kitty soltanto un banale fotoromanzo, mentre il discorso sul potere sarebbe un alibi per una compiaciuta galleria delle ossessioni erotiche brassiane.

Non condivido. La sola cosa vera è che da questa pellicola comincia l’uso prolungato degli specchi per inquadrare secondo diverse prospettive le parti anatomiche femminili. Brass inaugura la sua poetica di cantore del corpo muliebre e indugia con piacere su donne al bagno, durante il bidet, mentre si muovono con delicatezza completamente nude e scivolano con grazia felina da un lato all’altro della stanza. Thérèse-Ann Savoy è la negazione del mito dell’abbondanza femminile che verrà con Serena Grandi, Stefania Sandrelli e persino con Anna Galiena, ma possiede un indubbio fascino da adolescente perversa. Brass gira su un registro sadico – orrorifico, che renderà estremo nel successivo Io, Caligola, ma sdrammatizzato da una buona dose di ironia.

Salon Kitty è il primo nazi erotico italiano, ma secondo alcuni critici (Mereghetti, Bruni…) risente di una pellicola come Il portiere di notte (1974) di LilianaCavani, mentre per Marco Giusti alla base di tutto c’è La caduta degli dei (1969) di Visconti, soprattutto per l’ambientazione nazista. Le scene di Salon Kitty sono spesso molto forti, ma saranno acuite nei loro elementi più truci per film successivi e più scadenti del filone, come La bestia in calore (1977) di Luigi Batzella, dove Salvatore Baccaro interpreterà ancora il ruolo dell’essere deforme e mostruoso. Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini è un altro film colto dal quale deriva il sotto genere nazi erotico, che sforna prodotti dozzinali, spesso vicini al porno e soprattutto un cinema sadico e violento senza giustificazioni. La caratteristica dei nazi erotici minori rispetto ai due film alti che li producono è un’estremizzazione delle scene di tortura, una maggior esibizione di rapporti bestiali e di sequenze per palati forti.

Salon Kitty e Salò sono due film collegabili per certe scene di eccessi sessuali, ma di fatto completamente diversi come tipo di approccio alla materia. L’erotismo di Tinto Brass è giocoso anche nei momenti più cupi, sempre condito da musica allegra, battute, esplicita ironia e frequenti sdrammatizzazioni. Pasolini, invece, imposta tutto su un registro sadico – drammatico che non concede speranze né sprazzi di luce. Per questo – a mio parere – la produzione nazi erotica italiana degli anni successivi si abbevera maggiormente alla fonte del regista friulano. Aldo Valletti è un attore che unisce i due film, perché lo troviamo impegnato in Salon Kitty come modesto caratterista in un paio di sequenze e come vero protagonista negli abissi infernali di Salò. La sua maschera da orribile sadico è senz’altro più adatta al secondo film.

I nazi erotici minori sono film scioccanti e inutili, piuttosto fastidiosi, spesso mal girati e ancor peggio recitati, veri e propri contenitori delle peggiori depravazioni umane. Il nazi erotico imbocca due filoni: il bordello nazista sullo stile di Salon Kitty (Casa privata per le SS di Bruno Mattei – 1976) e il lager nazista dove le prigioniere vengono sadicamente torturate sullo stile de Il portiere di notte, ma anche di Salò, Camp 7 Lager femminile diRobert Lee Frost (1968) e di Ilsa la belva delle SS (1973) di Don Edmonds (KZ9 Lager di sterminio di Bruno Mattei – 1976). Citiamo a titolo esemplificativo di film che realizzano una sintesi delle due tipologie anche La svastica nel ventre (1976) di Mario Caiano e L’ultima orgia del III Reich (1976) di Cesare Canevari.

Regia di Tinto Brass. Soggetto tratto dall’omonimo romanzo di Peter Narden. Sceneggiatura: Tinto Brass, Maria Pia Fusco e Ennio De Concini. Fotografia: Silvano Ippoliti. Musica: Fiorenzo Carpi. Scenografie: Ken Adam, Enrico Fiorentini. Costumi: Jost Jacob, Ugo Pericoli. Coreografie: Tito Leduc. Montaggio: Tinto Brass. Produzione: Coralta Cinematografica. Interpreti: Helmut Berger, Ingrid Thulin, Thérèse-Ann Savoy, Bekim Fehmiu, John Steiner, Stefano Satta Flores, John Ireland, Alexandra Bogojevich, Rosemarie Lindt, Paola Senatore, Sara Sperati, Tina Aumont, Tito Leduc, Gigi Ballista, Giancarlo Badessi, Margherita Horowitz, Patricia Webley.

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