Nella settimana più floreale e canterina dell’anno, io mi sono persa Sanremo. Volutamente, eh. Come succede ormai da qualche tempo a questa parte. Ma si sa. In un’epoca di comunicazione fitta e di social prorompenti o scappi su un’isola deserta senza telefono per qualche giorno, oppure l’incontro con il Festival della Canzone Italiana è inevitabile. Immaginatevi il mio stupore quando, vedendo di sfuggita sullo schermo di un altro telefono una donna in abito lungo e reggicalze bene in vista, mi viene detto “è Annalisa”.
“…” [espressione sorpresa, la mia] “eh, sì, è dalla prima serata che va sul palco vestita così”. Ora quello che cercherò di fare nelle prossime righe è tradurre in un ragionamento di senso compiuto tutte le parole che mi sono uscite dalla pancia in quel momento. Ma partiamo con uno sforzo di immaginazione che chiedo di fare al lettore (diciamo che questo è un articolo travestito da testo psicologico). Provate a immaginare di essere sdraiati su un lettino in una sala operatoria, dovete subire un intervento. Niente di complicato, ma diciamo un intervento delicato, non so, l’asportazione di un neo. Il chirurgo che vi opererà è una donna, è lì davanti a voi.
Ora provate a immaginare di essere in una sala di un tribunale, state subendo un processo e sapete di essere innocenti. Al tavolo c’è seduta una giudice. Ultimo sforzo: immaginate di essere dei dipendenti di una grande azienda che, a causa della crisi economica, è in bilico e potrebbe fallire, con a capo una presidente. In tutti e tre i casi cosa sperate? Che la chirurga che vi opererà sappia perfettamente fare il suo lavoro, che sia brava col bisturi, che tolga il neo giusto, che non vi lasci troppe cicatrici, che vi ricucia senza dimenticarsi bende sotto la vostra pelle.
Che la giudice conosca la legge, che capisca – se gli avvocati e la giuria hanno fatto un buon lavoro – che voi siete innocenti e che vi dichiari non colpevole. Che la presidente sappia condurre l’azienda fuori dalla crisi economica, che sappia fare strategia a lungo termine, che risponda con idee innovative e funzionali all’imminente fallimento, riportando l’azienda in crescita e quindi che vi permetta di non perdere il posto di lavoro. In quale di questi tre casi risulta essenziale che le tre lavoratrici siano belle per far meglio il proprio lavoro? Nessuno.
In quale di questi tre casi la bellezza e la sua esposizione (o sovraesposizione) avrebbero dovuto essere prese in considerazione per una valutazione iniziale delle competenze di quelle donne? Nessuno. Se c’è un posto vacante da medico chirurgo e ci sono due donne che ambiscono a quel posto, chi deve assegnarlo non sta a guardare (o meglio, non dovrebbe) se una ha le gambe più belle dell’altra. Se c’è un posto vacante da giudice, non si guarda se una ha le tette più grosse. Ma soprattutto, ed è esattamente qui che voglio arrivare, sono le donne stesse, siamo noi stesse che dobbiamo per prime puntare a questo, a far valere le nostre competenze e non il nostro corpo.
Si parla tanto di sessualizzazione del corpo femminile, facciamo delle battaglie da decenni per farci rispettare, per far capire che il nostro valore è pari a quello degli uomini e poi cadiamo a piè pari nelle strategie di marketing più bieche. Un inciso doveroso: qui non si sta criticando Annalisa per come si è vestita in generale. Annalisa è libera di vestirsi come vuole, col vestito lungo, il reggicalze in vista e la scollatura ombelicale anche per andare a fare la spesa. Quello che si critica è che se si veste così per fare la spesa aspettandosi che il direttore del supermercato le faccia uno sconto del 30% su tutto il carrello perché si vede il reggicalze, è un ragionamento sessista. E non parte dal pubblico, parte da lei.
Quello che si critica è che se si veste così per andare a cantare all’Ariston è perché forse (ma dico forse) ha bisogno che l’attenzione del pubblico cada su altro rispetto alla sua voce, che tenta di copiare [male] il modo di cantare di Elisa. Forse ha bisogno che i media parlino del suo outfit prima che della sua presenza scenica non così impattante. Forse ha bisogno che si scriva di quanto è bella prima che della sua canzone che, diciamolo, non ha niente di stravolgente, oltre a citare vagamente i prozac + (“mi sento scossa-a”, sarà voluto?). Una canzone come tante, ritornello a filastrocca con le note ribattute (ah, ma facciamola sui diesis che fa figo) e una discesa banale, l’immancabile cassa dritta che la fa da padrone.
Ce la ricorderemo questa canzone? Sì, sarà una presenza fissa nella playlist estiva nei lidi delle spiagge italiane. Annalisa, sei per caso Stephen Webb e devi salire sul palco per interpretare Frank-n-Furter nel Rocky Horror? Credo di no. Io forse per la prossima canzone proverei a puntare su qualcosa di più consistente a livello vocale e compositivo. Un’idea nuova. Su delle competenze reali, ecco. Perché le gambe vendono, indubbiamente. Ma non si può vivere di sola bellezza se le fondamenta sono di cartapesta.
Di Elisa Rebughini