La santità come un profumo nell’aria: Rita da Cascia, Gesù e la riconciliazione

Articolo di Francesca Maccaglia

L’Umbria è avvolta di sacro ed ha un grande patrimonio spirituale e culturale, avendo dato i natali a molte figure di santi e di sante che, con le loro storie e i loro insegnamenti, continuano anche a distanza di secoli ad ispirare i fedeli. La loro ispirazione deriva principalmente da un profondo rapporto con Dio, coltivato attraverso la preghiera, la fede, l’amore per il prossimo, le Sacre Scritture, le tradizioni della Chiesa e la loro personale esperienza spirituale. E’ la terra di Francesco di Assisi e Chiara di Assisi, di “fratello Sole” e “sorella Luna” e del Cantico delle Creature, il primo testo poetico in volgare e il documento più antico della letteratura italiana.; di Benedetto da Norcia, Scolastica da Norcia, Ubaldo da Gubbio, Valentino da Terni, Angela da Foligno, Angelo da Gualdo Tadino, Lucia da Narni, Chiara da Montefalco, Feliciano da Foligno, Ponziano da Spoleto, Costanzo di Perugia, Ercolano di Perugia, Jacopone da Todi. Tra le donne umbre sante, un posto particolare merita Rita da Cascia, al secolo Margherita Lotti, (Roccaporena, 1381 – Cascia, 22 maggio 1457), una santa cattolica particolarmente venerata, conosciuta per la sua fede, la sua capacità di affrontare le difficoltà con pazienza e coraggio e di saper perdonare, anche quando si tratta di chi le ha arrecato un grave dolore; “l’avvocata delle cause impossibili”, perché viene invocata nelle situazioni più difficili e come protettrice delle famiglie.

La sua vita è segnata da molte difficoltà, ma Rita non si dispera, si affida a Dio.

Molta parte della vita di Rita da Cascia risulta oscura dal punto di vista della documentazione storica. Tra le pochissime fonti si annovera il Codex miraculorum, una raccolta ufficiale di miracoli di Rita registrata dai notai su richiesta del Comune di Cascia subito dopo la sua morte. Sappiamo che Rita, prima di abbracciare la vita monastica, è stata moglie e madre. Presso il Santuario di Cascia a lei dedicato è infatti custodita la sua fede nuziale, un anello particolare e molto bello, formato da due mani che si stringono fra loro. Un anello con un grande valore simbolico, che ci ricorda che l’amore autentico richiede fedeltà. L’importanza ci viene ricordata dall’evidenza posta nel Santuario: “Rita, all’atto del matrimonio, porta al dito un anello diverso da quello consueto. Sono riprodotte “due mani che si stringono fra di loro”, come quando le mani degli uomini si stringono per decretare un patto indissolubile o per scambiarsi un segno di pace. E’ il simbolo che dimostra a tutti che, per dare e ricevere il vero amore, dire ed agire con profonda e sincera fede, come quella che Rita ha vissuto e tramandato, sebbene abbia avuto una esistenza scossa dalla fatica, dalle sofferenze e dal dolore. Rita, che non si è mai lasciata andare, ha trovato nella sua forte fede verso Dio la forza e l’energia inestinguibile per superare tutte le difficoltà, per avere parole di pace e di conforto per tutti gli uomini della terra armati di buona volontà”.

Nella Cascia del 1300, Rita Lotti è una donna sposata e con due figli, Giangiacomo Antonio e Paolo Maria. Prima perde i due anziani genitori, subito dopo il marito, Paolo Mancini, detto anche Paolo di Ferdinando, il quale viene ucciso in un’imboscata, e i suoi figli muoiono presto l’uno dopo l’altro, probabilmente di peste o a causa di qualche altra malattia.

Ai figli cercò di nascondere la morte violenta del padre e visse con il timore della loro perdita, perché aveva saputo che gli uccisori del marito erano decisi ad eliminare gli appartenenti al cognome Mancini. Al contempo, i suoi cognati avevano deciso di vendicare l’uccisione del marito e quindi anche i figli sarebbero stati coinvolti nella faida di vendette.

La leggenda narra che Rita, per sottrarli a questa sorte, abbia pregato Cristo di non permettere che le anime dei suoi figli si perdessero, ma piuttosto di toglierli dal mondo, “Io te li dono. Fa’ di loro secondo la tua volontà”, disse. Un anno dopo i due fratelli si ammalarono e morirono. Dopo la perdita dei figli, Rita sente di avere una missione: proseguire il suo percorso di pace che la porterà prima a farsi suora, poi a diventare santa. Trascorse quarant’anni della sua vita nel Monastero di Santa Maria Maddalena di Cascia, dedicandosi alla preghiera, alla penitenza e al servizio ai bisognosi.

E’ conosciuta per il miracolo della spina, per aver ricevuto uno stigma della spina della corona di Cristo crocifisso sulla fronte, che la segnò per tutta la vita. Oltre l’anello nuziale e la spina, le rose, il miracolo delle api e la vite sono legati al culto della santa. Alla fine dei suoi giorni, malata e costretta a letto, Rita chiede a una sua cugina venuta in visita da Roccaporena, di portarle due fichi e una rosa dall’orto della casa paterna, che diede alle suore. Da allora, la rosa è diventata il simbolo dell’amore intramontabile di Rita che diffonde il suo profumo ovunque. La vite. Si racconta che durante il periodo del noviziato, la Madre Badessa, per provare l’umiltà di sorella Rita, le abbia comandato di piantare e innaffiare un arido legno. Rita obbedisce, e dopo un anno di cura, la vite fiorisce rigogliosa. Le api. Un miracolo che compì quand’era ancora neonata, ad appena cinque giorni dalla nascita. Alcune api avevano attorniato la culla, ma invece di pungerla depositarono del miele sulle sue piccole labbra. E, ancora un altro episodio, Rita bambina si trovava in un campo, vide un contadino che mentre falciava il grano si era ferito ad un braccio, attorniata da uno sciame di api, e la ferita guarì. Subito dopo la sua morte, Rita viene venerata come protettrice dalla peste, probabilmente per il fatto che in vita si era dedicata alla cura degli appestati, senza mai contrarre questa malattia. Da qui deriverebbe l’attribuzione di santa dei casi impossibili.

Ogni anno, nella settimana dal 18 al 24 maggio, Cascia si trasforma in un crocevia di fede, cultura e tradizione, accogliendo migliaia di pellegrini e visitatori da ogni parte del mondo. Il programma prevede momenti di preghiera, processioni, riconoscimenti speciali e iniziative culturali che rendono omaggio alla vita e all’eredità di santa Rita.

“Vincere il male con il bene. Con un bene più grande”, ha commentato nel suo messaggio di apertura la Madre Badessa del Monastero di Santa Rita suor Maria Grazia Cossu, soffermandosi sull’importanza della pace, appello che unisce Rita a Leone XIV. “In un mondo lacerato dai conflitti – ha sottolineato – lei ci ricorda che la pace è una scelta quotidiana, fatta di perdono, ascolto e riconciliazione. Ecco perché, ispirati dal Pontefice, sentiamo il bisogno di rilanciare un appello accorato alla pace, soprattutto per l’Ucraina e la Terra Santa. Per Rita, la pace era responsabilità, un cammino costruito con misericordia, comprensione dell’altro e coraggio. È questa la strada che dobbiamo tornare a percorrere: la cura dell’altro, il dialogo, la compassione che ci rende umani”. Quindi, il richiamo alla preghiera per la fine della violenza nella Striscia di Gaza e per l’ingresso di aiuti umanitari.

Tra gli appuntamenti più attesi, la consegna del Riconoscimento Internazionale “Donne di Rita”, la suggestiva Fiaccola della Pace e del Perdono, e la tradizionale Benedizione delle Rose. La rosa, come spiegano le monache agostiniane di Cascia, “racchiude il senso del messaggio che ci ha tramandato la santa, godere appieno dell’amore e della bellezza di Dio attraverso l’amore e la bellezza della vita, accettando le spine come parte di essa”.

Il 22 maggio, giorno della sua memoria liturgica, rappresenta il culmine delle celebrazioni. La giornata inizia alle ore 10:30 con l’arrivo della processione da Roccaporena, luogo natale della Santa, accompagnata dal Corteo Storico. La statua di Santa Rita viene portata in processione fino a Cascia, rievocando i momenti salienti della sua vita e offrendo ai fedeli un’occasione di profonda riflessione spirituale. Alle ore 11:00, nella Sala della Pace, si celebra il Solenne Pontificale, quest’anno presieduto da Sua Eminenza il Cardinale Baldassare Reina, Vicario Generale per la Diocesi di Roma e Arciprete della Basilica Papale di San Giovanni in Laterano. Con lui hanno concelebrato: l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo, il priore generale degli Agostiniani padre Alejandro Moral Antón, il priore provinciale degli agostiniani d’Italia padre Gabriele Pedicino, il rettore della Basilica di Cascia padre Giustino Casciano, sacerdoti agostiniani e religiosi. Tantissimi i fedeli presenti, così come le autorità civili e militari. C’erano anche le monache agostiniane, e la loro madre superiore, la Badessa suor Maria Grazia Cossu, custodi del corpo di Santa Rita, e le donne che hanno ricevuto il Premio Internazionale Santa Rita 2025: Yuliia Kurochka, Marina Mari, Suor Rita Giaretta e Vittoria Scazzarriello.

Un’omelia molto chiara e toccante, che giunge ai cuori dei fedeli, quella del card. Reina, che riporto per intero: “La Chiesa ci mette davanti dei modelli di santità e ogni giorno abbiamo la possibilità di ricordare dei fratelli e delle sorelle che godono la piena beatitudine in cielo, – questo l’incipit della sua omelia – e la Chiesa ci offre questo strumento molto semplice non per immaginare una santità ideale, ma per ricordarci ogni giorno che tutti noi siamo chiamati alla santità, e, questi nostri fratelli che già sono in cielo, e godono della piena visione di Dio, ci sono messi accanto come protettori nostri, come coloro che ci incoraggiano nel difficile cammino della vita. Allora noi dobbiamo guardare a santa Rita, come agli altri santi, ai quali siamo legati con questo desiderio, lasciandoci coinvolgere nella santità. Io credo che se oggi siamo tutti qui, è perché vogliamo fare un passo in avanti, vogliamo crescere nella santità. Una vita difficilissima quella di santa Rita, una scelta religiosa osteggiata, un matrimonio difficile, un marito ucciso, due figli morti, una vita religiosa finalmente abbracciata, ma con tante sofferenze, e la sofferenza che poi l’ha accompagnata con la spina fino alla fine della sua vita. Ecco dobbiamo guardarla nella sua realtà la vita di santa Rita. “E’ stata davvero una vita segnata dalla sofferenza. Tra i tanti messaggi che la liturgia di oggi ci ha offerto, – ha continuato – ci sono almeno due messaggi che vorrei provare a evidenziare mettendoli in connessione tra di loro. Il primo è quello che ricavo dalla seconda lettura, abbiamo ascoltato questo passaggio della Lettera di San Paolo ai Romani, cap.16. Paolo dice “La carità non abbia finzioni”, e poi dà alcuni suggerimenti, soprattutto dal punto di vista relazionale, e dice ad un certo punto, “Non fatevi giustizia da soli, non lasciatevi vincere dal male, ma imparate a vincere il male con il bene”. Questo è un messaggio che, a partire da Nostro Signore fino ai nostri giorni, è attualissimo e aggiungerei difficilissimo, perché quando siamo toccati nel nostro orgoglio e nei nostri affetti, tendiamo il più delle volte a farci giustizia da soli, e facciamo soprattutto molta fatica a perdonare, preferiamo piuttosto aggiungere al male altro male. Se volete, un po’ siamo rimasti all’Antico Testamento, “occhio per occhio, dente per dente”. Il messaggio di Paolo, che è il messaggio di Gesù stesso dalla croce, “Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno”, non è un messaggio dettato dal buonismo, ha al suo interno una profonda saggezza, perché il nostro cuore è fatto per il bene non per il male, è fatto per amare non per odiare. Possono ad un certo punto entrare nel nostro cuore dei sentimenti anche sbagliati, ma non sono fatti per abitarlo il nostro cuore. E questo principio che ci offre Paolo di vincere il male con il bene, è un principio quanto mai attuale. Rita avrebbe potuto vendicare l’assassinio del marito, avrebbe potuto usare altro male, e forse avrebbe avuto anche l’approvazione degli altri, ha preferito una strada diversa, una strada di Vangelo, ha preferito perdonare”.

“Poiché sono passati diversi secoli dalla morte di santa Rita, – ha sottolineato il card. Reina – proviamo a dare uno sguardo al nostro tempo, segnato da un crescendo preoccupante di violenza, una violenza diffusa, pensiamo, lo diceva l’Arcivescovo all’inizio della Messa, agli scenari di guerra che davvero ci preoccupano. Papa Francesco parlava di “una terza guerra mondiale a pezzi”, con le sue prime parole papa Leone, affacciandosi alla Loggia delle Benedizioni, subito dopo l’elezione, ha invocato il dono della pace. Oggi siamo davvero molto preoccupati per quello che succede in tutto il mondo. Ma lasciando da parte i paesi per i quali preghiamo, pensiamo al nostro contesto sociale, quanta violenza nelle famiglie, quanta violenza a volte anche nelle piccole comunità, quanta violenza nelle relazioni. Sembra che l’unica arma di cui disponiamo per affrontare il conflitto sia la violenza. E non è raro, anche nella nostra bella Italia, arrivare a casi estremi per cui si uccide l’altro, pensiamo ai tristi casi di femminicidio e non solo, una violenza ormai quasi normalizzata. Ci siamo abituati alla violenza. Non abbiamo più quel senso di ribellione, di indignazione. Non riusciamo più a dire “la vita umana non si tocca”.

“Tra i tanti messaggi che ci offre santa Rita – ha evidenziato – c’è questo che non va dimenticato: proviamo a vincere il male con il bene. Il male arriva. Gli antichi parlavano del “mysterium iniquitatis”, il male è un mistero, anzitutto per noi quando lo facciamo. Ci alziamo al mattino tutti noi, immagino, con dei buoni propositi, eppure facciamo del male.

Lo diceva San Paolo: “In me trovo una legge strana, non faccio il bene che voglio e faccio il male che non voglio”. C’è dentro di noi, c’è nel nostro cuore, c’è negli altri, c’è nella nostra società. Ma il male non lo si vince con un altro male. Non si è mai visto un male che produca un bene. Il male fa solo e sempre male, fa male agli altri che lo ricevono, fa male a noi stessi, perché atrofizza il nostro cuore, fa male al contesto sociale, fa male alla Chiesa. Provare a vincere il male. Gesù ce lo aveva detto in uno dei suoi discorsi: “Ti chiedono la tunica, dagli il mantello, ti chiedono di fare un miglio, fanne due”. Ed è un messaggio profetico. Supera sempre con il doppio di amore, non con il doppio di odio”.

“Qualche giorno fa – ha ricordato il card. Reina – Papa Leone chiedeva di disarmare il linguaggio. Abbiamo bisogno di disarmare il linguaggio, i sentimenti, il nostro cuore, di immaginare altre strade per costruire delle relazioni che siano umane, prima ancora che cristiane. Forse stiamo perdendo il ben dell’intelletto, la capacità di costruire una società che sia veramente a misura d’uomo. E’ certamente un messaggio forte, ma spero che sia accolto fra di noi. L’altro messaggio è la possibilità di andare alla radice. Come si fa a perdonare? Come si fa ad amare il nemico? Gesù ce l’ha offerto nel Vangelo soprattutto con questa indicazione: “Rimanete in me, osservate le mie parole, allora porterete molto frutto”.

“Consentitemi di soffermarmi sul sentimento religioso che caratterizza tanti cristiani, forse ha bisogno di un po’ più di profondità”. “Il cristianesimo – ha detto – non può essere una religione delle occasioni; arriva la domenica, il Natale, la Pasqua, una festa, mi ricordo che sono cristiano, mi avvicino a Dio, faccio la Comunione, e poi il resto della mia vita non è minimamente intaccato da quel Vangelo. Immaginate se una vigna riuscisse a portare frutto semplicemente accostando ogni tanto la vite al tralcio. Il contadino arriva lì, mette il tralcio accanto alla vite e spera di raccogliere qualche grappolo d’uva, Non arriverà mai. Affinché arrivi il frutto, è necessario che il frutto sia profondamente, intimamente innestato alla vite. Solo così può innestare il frutto. Allora, andare in profondità, è questo l’altro messaggio di santa Rita, una donna che ha vissuto un rapporto talmente intimo con il Signore Gesù da portare nel suo corpo i segni della passione del maestro. Un rapporto forte con il Signore. La fede non è magia, il cristianesimo non è magia…Tutti abbiamo una vita complicata segnata dalla malattia, da qualche fallimento, dalla fatica, dalla tentazione, esattamente come santa Rita. La fede è ciò che ci aiuta ad affrontare queste cose, sapendo che Dio è dalla nostra parte, che Dio non ci abbandona. Rimanere in Lui, mettere davvero le radici in Dio, sentirci di casa in Dio, non di passaggio. Casa è dove abitiamo. Dio è la nostra Casa. Allora abitare in Dio per assumere lo stile di Dio, i sentimenti di Dio. “Paolo – ha sottolineato ancora il card. Reina – ce lo chiede nella Lettera ai Filippesi”. “Abbiate in voi i medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. “Chi risiede in Dio non può odiare, non può essere indifferente all’altro, non può essere disonesto, non può disprezzare il debole, l’orfano, la vedova, lo straniero, perché dalla parte di Dio c’è sempre il bene e, se stiamo dalla parte di Dio, stiamo sempre dalla parte del bene”. “Viviamo un tempo difficilissimo – ha dichiarato – qualcuno dice che questo è un tempo “che ha una bulimia di mezzi e una bulimia di fini”, non si capisce esattamente per cosa corriamo, dove andiamo, quali sia l’orizzonte della nostra vita.

La devozione è davvero uno strumento importante che dobbiamo valorizzare. La devozione a santa Rita come agli altri santi, ai quali siamo profondamente legati, nasconde, custodisce questo bisogno di infinito che tutti noi abbiamo, però dobbiamo valorizzarlo per uno slancio profetico della nostra vita. Come dicevo all’inizio, per una vita che sia pienamente santa. Rimanere in Dio per vivere nella gioia, per essere aggrappati a questa solida roccia che ci sostiene nella tempesta della vita. Il segreto di Rita è stato proprio questo, è rimasta in Dio sempre. Nulla ha potuto scostarla da questa roccia eterna. Santa Rita è stata una donna piena di gioia pur nella difficoltà, perché le due cose non sono in contrasto. Possiamo essere provati dall’inizio alla fine della nostra vita, ma se siamo in Dio siamo nella gioia. Oggi abbiamo bisogno di ritornare a questa centralità di Dio, per andare in profondità. Riflettendo su ciò che sei, su ciò che fai, su qual è il cammino della tua vita, su dove vai, qual è l’orizzonte verso il quale stai camminando”. “Il messaggio di santa Rita – ha concluso – è estremamente attuale. Le tante rose che anche stamattina benediremo, siamo l’espressione di un cristianesimo pieno di profumo. Il mondo ha bisogno di sentire un altro profumo, non quello dei profumi artificiali, ha bisogno di sentire il nostro profumo, il profumo della santità, della fraternità, del bene, della gentilezza, dell’accoglienza, del sentirsi famiglia. A partire da Cascia. Cascia può essere quella realtà dalla quale si irradia questa verità, questa profonda saggezza. Chiediamolo insieme, siamo davvero in tanti oggi, invochiamo l’intercessione di santa Rita per il mondo intero, per la Chiesa, per il Santo Padre, che da qualche giorno ha iniziato il suo servizio, per i pastori, che davvero questo profumo riempia il mondo intero e in ogni angolo della terra si possa percepire questa presenza d Dio, e noi che rimaniamo in Lui, a Lui rendiamo gloria, a Lui oggi e per tutti i secoli dei secoli. Amen”.

Al termine della Messa, alle ore 12:00, sul sagrato della Basilica di Santa Rita, la preghiera della Supplica, seguita dalla tradizionale Benedizione delle Rose, un rito che vede i fedeli innalzare le rose in segno di devozione e speranza.

Venerdì 23 maggio alle ore 17:00, un momento di preghiera con il Rosario meditato, animato dalle monache e dai padre agostiniani. Sabato 24 maggio alle ore 21:00, a conclusione delle celebrazioni, presso la Sala della Pace del Santuario, lo spettacolo teatrale del Gruppo teatrale FUPS di Cascia. Era il 24 maggio 1900 quando papa Leone XIII elevò la “santa degli impossibili” agli onori degli altari. Quest’anno ricorrono i 125 anni esatti dalla canonizzazione. L’anniversario verrà celebrato con una serata evento dal titolo: “Rita, santa della speranza”, alla quale sono invitati a partecipare i residenti e i pellegrini in visita.

E’ importante altresì soffermarsi sulla diffusione del culto, che è sempre frutto della tradizione orale e di una combinazione di fattori diversi. A lei, infatti, vennero dedicate molte delle chiese costruite nei quartieri operai delle città industriali, e, Rita, nella modernità, diventa la santa delle donne cittadine: le aiuta a trovare casa, a guarire, a salvare i figli dalla droga, ad affrontare tutte le difficoltà della vita moderna. Anche fuori d’Italia il suo culto è diffuso: a Parigi, nel quartiere della vita notturna di Pigalle, si trova una chiesa a lei dedicata, dove diventa la protettrice delle prostitute. Nel secolo scorso Rita incontra anche raffinati esponenti dell’arte contemporanea; divenne l’ispiratrice di uno degli artisti d’avanguardia più significativi e innovativi, Yves Klein. Il pittore francese, originario di Nizza, conobbe la santa attraverso la zia. L’artista si recò ben due volte a Cascia, e dedicò alla santa tutta la sua opera. Nel convento sono conservati una sua tela blu e un suo ex voto, una scatola in plexiglass che contiene pigmenti rosa, blu e polvere d’oro, nonché una lunga dedica manoscritta che si conclude con queste parole: “Santa Rita da Cascia, santa dei casi impossibili e disperati, grazie di tutto l’aiuto così grande, decisivo e meraviglioso che mi hai dato sinora. Infinitamente grazie. Anche se non ne sono personalmente degno, aiutami ancora e sempre nella mia arte e proteggi tutto ciò che ho creato affinché, nonostante me, sia tutto sempre di grande bellezza”. Negli stessi anni Sessanta uno scrittore e pittore come Dino Buzzati ha dedicato a Santa Rita, e in particolare ai suoi miracoli, una serie di tavole in bianco e nero, poi riprodotte nel libro “I miracoli di Val Morel”, del 1971. A Giaon sono stati dipinti alcuni murales raffiguranti i miracoli.

A Rita è stato infine dedicato dalla televisione italiana un telefilm agiografico, una miniserie in due puntate, realizzata nel 2004 dal regista Giorgio Capitani.

Quando i pellegrini salgono a Cascia, portano nel cuore problemi e preoccupazioni che desiderano condividere con santa Rita. Arrivano da ogni parte del mondo, si aggrappano a quella grata che protegge il corpo prezioso della santa e lì riversano, talvolta con lacrime, le loro preghiere. La sua storia, ricca di prove e di grazia, rende Rita un modello di speranza e fiducia in Dio, soprattutto per chi si trova in momenti di difficoltà.

Rita, con la sua vita santa, ci insegna a essere nel mondo il buon profumo di Gesù e ad accogliere le prove come dono d’amore a Gesù Crocifisso, per la salvezza del mondo intero.

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