“Miseria”, alcune considerazioni dalla lettura del romanzo di Mario Calivà

Articolo di Francesco Ferrara

“Miseria” è una di quelle parole che oggi abbiamo forse bandito dal vocabolario comune e di cui difficilmente comprendiamo il significato.

Miseria – come emerge dalla lettura del romanzo di Mario Calivà – non deve essere confusa con la povertà economica; è un concetto diverso che non necessariamente descrive le condizioni economiche di una persona, ma che indica qualcosa di più profondo nell’animo umano.

Le pennellate che l’autore, scrittore e drammaturgo siciliano, tratteggia nel suo racconto narrano della miseria della condizione umana; un concetto che quasi scandalizza chi preferisce lasciarsi abbagliare ed illudere dall’estetica artefatta del perbenismo.

Ambientata nel suo paese di origine, Piana degli Albanesi, nel secondo dopoguerra e precisamente nel periodo in cui si consumò la strage di Portella delle Ginestre, la storia narrata nel romanzo ci descrive la Sicilia del postguerra e le lotte politiche di quel periodo che vedevano intrecciarsi il sentimento religioso e le ideologie politiche, il tutto attraversato da sentimenti misti di superstizione, povertà intellettuale, paure.

Ed è all’ombra di questo ambiente cupo che si nasconde la paura di vivere la propria umanità con le sue naturali pulsioni dando luogo a vite parallele di alcuni personaggi, i quali intrecciano i loro percorsi di vita nascostamente, per timore di essere condannati da una collettività che – similmente al coro delle tragedie greche – è lì, pronta a fare sentire la propria voce.

Quella che emerge è la miseria umana, frutto forse del contrasto interiore tra l’essere ciò che si è e gli imperativi sociali del comportamento dell’apparenza.

Scritto con un tratto gentile, il romanzo di Mario Calivà scandaglia la profondità delle relazioni umane e descrive le sue manifestazioni, anche corporee, con una finezza espositiva ed un garbo linguistico che consentono al lettore di osservare, con il giusto distacco, le scene cui assiste o forse di guardare, come in uno specchio illusorio, dentro di sé pensando di ascoltare una storia che sembra lontana ma che forse non lo è.

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