Un invito alla lettura della Lettera di Papa Francesco dedicata a Dante

Articolo di Pietro Salvatore Reina

In data 25 marzo 2021, Solennità dell’Incarnazione («se ‘l Figliuol di Dio / non fosse umiliato ad incarnarsi» Paradiso, VII, 119-120), papa Francesco pubblica la Lettera apostolica Candor lucis eterne (splendore della luce eterna). Un giorno significativo per il Cristianesimo ed in particolare per il Comune di Firenze, per Dante e non solo: «il 25 Marzo, infatti, scrive Papa Francesco nella Lettera, a Firenze iniziava l’anno secondo il computo ab Incarnatione». Fino al 1750 a Firenze, il Capodanno cosiddetto fiorentino, si celebra il 25 marzo. Centro della solennità è la Basilica della Santissima Annunziata (XIII secolo) al centro della città del giglio.

L’«ineffabile» mistero dell’Incarnazione è – scrive papa Francesco – «particolarmente significativo per la vicenda storica e letteraria del sommo poeta Dante Alighieri, profeta di speranza, testimone della sete di infinito insita nel cuore dell’uomo». Queste parole sono una meravigliosa e chiara eco di reminiscenza agostiniana, che nelle pagine della Lettera, ritorna più d’una volta. Una Lettera che celebra la «bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell’amore. Non solo, esalta la Commedia come un’«altissima espressione del genio umano». Il testo scritto da papa Francesco, in occasione del VII centenario della morte di Dante Alighieri, è simbolicamente, dantescamente suddiviso in nove punti.

Il primo dei nove paragrafi è dedicato alle «parole dei Pontefici romani dell’ultimo secolo». Una storia che prende l’avvio nel 1921, anniversario del seicentesimo anniversario della morte di Dante, quando Benedetto XV, raccogliendo le indicazioni dei suoi predecessori, in particolare papa Leone XIII e san Pio X, commemora tale anniversario con l’enciclica In praeclara summorum (30 aprile 1921) e con la promozione dei lavori di restauro nella chiesa di san Pietro Maggiore, popolarmente detta san Francesco, dove furono celebrate le esequie di Dante (13/14 settembre 1321) e nella cui area cimiteriale, in una cappella adiacente al muro del convento, è seppellito il «padre della lingua italiana». Nel settimo centenario della nascita, nel 1965, a conclusione dei lavori del Concilio ecumenico Vaticano II, papa Paolo VI dona ai Padri conciliari un’artistica edizione della Divina Commedia ma soprattutto celebra la memoria di Dante con la Lettera apostolica Altissimi cantus. In questa bellissima e profonda Lettera apostolica, papa Montini osserva come il «fine della Divina Commedia è primariamente pratico e trasformante. Non si propone solo di essere poeticamente bella e moralmente buona, ma in grado di cambiare radicalmente l’uomo e di portarlo dal disordine alla saggezza, dal peccato alla santità, dalla miseria alla felicità, dalla contemplazione terrificante dell’inferno a quella beatificante del paradiso». Infine, il colto papa Paolo VI, canta e celebra la Commedia come il «Poema della pace».

Il 30 maggio 1985, all’inaugurazione della mostra «Dante in Vaticano», san Giovanni Paolo II si sofferma ed esamina un termine chiave dell’opera dantesca: «trasumare (Paradiso, I, 70). Fu questo lo sforzo supremo di Dante: fare in modo che il peso dell’umano non distruggesse il divino che è in noi, né la grandezza del divino annullasse il valore dell’umano. Per questo il poeta lesse giustamente la propria vicenda personale e quella dell’intera umanità in chiave teologica». Papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est parte proprio dalla visione dantesca di Dio, in cui «luce amore sono una cosa sola». Lo stesso Papa Francesco nella sua prima enciclica, Lumen fidei, fa riferimento a Dante per esprimere la «luce della fede» citando i versetti della terzina dantesca 145-147 del XXIV canto del Paradiso: «Quest’è ’l principio, quest’è la favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla». Nel secondo paragrafo, papa Francesco, scrive e racconta la vita di Dante definendola «paradigma della condizione umana». Nella Lettera scrive «l’opera di Dante è parte integrante della nostra cultura, ci rimanda alle radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente, rappresenta il patrimonio di ideali e di valori che anche oggi la Chiesa e la società civile propongono come base della convivenza umana, in cui possiamo e dobbiamo riconoscerci tutti fratelli».

Nel terzo paragrafo, papa Francesco, affronta la missione del poeta cantandolo come «profeta di speranza». Tra i vari studi e saggi che il papa e i suoi collaboratori avranno letto e meditato per redigere questo terzo punto c’è l’eco del saggio Profetismo e apocalittica in Dante. Strutture e temi dalla Vita Nuova alla Divina Commedia del professore emerito di Letteratura italiana Nicolò Mineo. Una lettura, quella del critico Mineo, che partendo dalle intuizioni di Ugo Foscolo e dalla teorizzazione del professore e dantista Bruno Nardi propone una lettura della Commedia come racconto, nella forma dell’allegoria poetica, di una visione culminante nel «raptus sul modello paolino», largita a Dante per la sua personale salvazione e funzionale alla missione di illuminare gli uomini del suo tempo. Nel quarto paragrafo, il pontefice, celebra Dante come «cantore del desiderio umano». «Dante – osserva con sensibilità e saggezza, papa Francesco – sa leggere profondità il cuore umano e in tutti, anche nelle figure più abbiette e inquietanti, sa scorgere una scintilla di desiderio per raggiungere una qualche felicità, una pienezza di vita».

Nel quinto paragrafo, intitolato «poeta della misericordia di Dio e della libertà umana», Dante è descritto dal vescovo di Roma come il «paladino della dignità di ogni essere umano e della libertà come condizione fondamentale sia delle scelte di vita sia della stessa fede». Significativo è l’episodio del re Manfredi, collocato da Dante nel Purgatorio (canto III). Nella figura di Manfredi, papa Francesco, sembra scorgere la figura del padre della parabola evangelica lucana, un padre con le braccia aperte pronte (cfr. v. 122 del canto III) ad accogliere il figlio prodigo che a lui ritorna.

Il sesto paragrafo è tutto incentrato sull’«immagine dell’uomo nella visione di Dio». In questa parte della Lettera si sottolinea il vero centro ispiratore e il nucleo essenziale di tutta la Commedia che è rappresentato dal mistero dell’Incarnazione, l’admirabile commercium (prodigioso scambio) cantato dai Padri della Chiesa. Il settimo paragrafo canta «le tre delle donne della Commedia: Maria, Beatrice e Lucia». Tre donne – annotta con acume il papa – che contribuiscono al cammino ma soprattutto alla salvezza, al rinnovamento di vita e alla felicità dell’uomo e del poeta Dante Alighieri.

L’ottavo paragrafo celebra «Francesco. Lo sposo di Madonna Povertà». Nel canto XI del Paradiso – commenta il pontefice – la santità e la Sapienza di Francesco spiccano proprio perché Dante, guardando dal cielo la nostra terra, scorge la strettezza di chi confida nei beni terreni: O insensata cura de’ mortali, quanto son difettivi silogismi quei che ti fanno in basso batter l’ali! Infine, nel nono e ultimo paragrafo («Accogliere la testimonianza di Dante Alighieri»), papa Francesco intravede in Dante un «precursore della nostra cultura multimediale virgola in cui parole immagini, simboli e suoni, poesia e danza si fondono in un unico messaggio»: quello della salvezza. Della salvezza nella conoscenza: «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza» (Inferno XXVI, 118-120)

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