ORTE (Viterbo). “Qui, in terra, l’occhio dell’anima è l’amore, il solo valido a superare ogni velo. Dove l’intelletto s’arresta, procede l’amore che con il suo calore porta all’unione con Dio”, queste sono solo alcune delle bellissime parole che si trovano riportate nei “Sermones”, scritti da Antonio di Padova per aiutare i frati a predicare meglio, a trasmettere la Parola di Dio con efficacia, e per promuovere la fede, l’amore per Dio e il rispetto dei precetti evangelici.
Antonio è il santo di tutti, il santo a cui i fedeli di tutto il mondo si rivolgono nella fiduciosa speranza di essere accolti e ascoltati. La festa si celebra il 13 giugno, in ricorrenza della sua morte. Nelle diverse regioni italiane si svolgono molte manifestazioni in cui si omaggia il santo francescano di Padova.
Orte Scalo lo ha scelto come suo santo protettore. La Parrocchia dei Santi Giuseppe e Marco, da tutti meglio conosciuta come Chiesa di Sant’Antonio, oggi chiesa diocesana, fino a circa un decennio fa parrocchia francescana, fu fondata dal frate francescano originario di Vallecorsa (FR), padre Geremia Subiaco; luogo nel quale nel corso degli anni passarono decine di frati, anche per la presenza della Chiesa, del Convento e del Collegio Serafico, collocati sulla collina che domina la vallata, il Colle di San Bernardino.
Il culto di sant’Antonio di Padova si diffuse ad Orte Scalo a seguito di un episodio che vide coinvolto un giovane trafitto da una coltellata alla schiena.

Mentre i medici, in ospedale, tentavano di salvarlo, la madre, di origine padovana, pregò con fede il santo, chiedendogli la grazia di far sopravvivere il figlio e fece inoltre voto di donare alla parrocchia una statua del santo. Antonio di Padova fu subito eletto a santo protettore di Orte Scalo, e, con il diffondersi del culto, si svolse la prima processione e iniziarono i primi festeggiamenti patronali. Ogni anno il Comitato dei Festeggiamenti della classe dei quarantenni si occupa di organizzare la festa con momenti conviviali, lo stand gastronomico, gli spettacoli, giochi per i bambini, concerti, lotteria e spettacoli pirotecnici. Per quanto riguarda i momenti spirituali, nella parrocchia viene celebrato il triduo, il 12 giugno, alle ore 21:30, la processione per le vie del paese con la statua del santo, il 13 giugno, tre Sante Messe; quella principale viene celebrata alle ore 11:00, ed è presieduta dal Vescovo della Diocesi di Civita Castellana, Sua Ecc.za mons. Marco Salvi. Al termine delle Messe avviene la distribuzione ai fedeli del pane benedetto. Invece, la preghiera della “Tredicina a sant’Antonio”, viene recitata dai più devoti privatamente nelle loro case.
Nella Chiesa dei Santi Giuseppe e Marco, edificio in stile neogotico, simbolo della ricostruzione di Orte Scalo, dopo la distruzione materiale e morale della Seconda Guerra Mondiale, sei vetrate raccontano alcuni episodi della vita del santo di Padova.
Non esiste chiesa che non abbia la statua del santo. Innanzi tutto sant’Antonio lo riconosciamo dai tratti giovanili del volto, poi ci sono alcuni segni ricorrenti che caratterizzano le sue illustrazioni, le sue immagini, le sue statue, le sue raffigurazioni, segni che in qualche modo sintetizzano la sua vita, la sua spiritualità e quello che noi siamo chiamati ad imitare guardando a lui. Il primo segno è il bambino, lo vediamo sempre raffigurato con in braccio il bambino. Lui il Signore l’ha accolto, lo ha abbracciato fortemente a sé, lo ha stretto a sé, l’ha voluto come compagno della sua vita, non ha avuto paura ad averlo nel suo cuore, non ha avuto paura del Signore. Un altro segno è il Libro, è un rimando alla Scrittura, al Vangelo, perché Antonio è stato attento ogni giorno ad ascoltare la parola che il Signore gli rivolgeva.
Per noi è un richiamo, perché nelle nostre giornate non ci dimentichiamo della parola del Signore, del suo Vangelo, di stare in ascolto del Signore che ci parla.
Antonio è stato chiamato “Dottore della Chiesa”, per la sua grande sapienza, la sua saggezza, che egli aveva attinto proprio dall’ascolto attento, costante della Parola del Signore. Il terzo segno è il giglio, simbolo di purezza, Antonio è stato un uomo puro nel cuore, nei comportamenti, nello sguardo, nei sentimenti, nei gesti, è stato limpido come una sorgente zampillante. La purezza come un elemento bello della nostra vita, che ci rende più belli e ci rende anche più realmente gioiosi e felici. Vicino ad Antonio troviamo anche spesso delle pagnotte di pane. Il pane ci ricorda la carità con la quale Antonio ha vissuto, l’amore particolarissimo che egli ha avuto per i bisognosi, per i poveri, per i dimenticati, per i malati, per gli afflitti, il “pane dei poveri”. È il segno di questo cuore pieno di carità che Antonio ha avuto verso tutti, verso tutti i bisogni umani. Anche noi siamo chiamati a vivere quella realtà che ci rende attenti, pronti, disponibili, a coloro che hanno bisogno sotto ogni punto di vista, perché Antonio, in chiunque fosse nel bisogno materiale o spirituale, vedeva Gesù da servire, da amare, da soccorrere, da aiutare. Un ultimo segno che troviamo spesso nelle raffigurazioni che lo caratterizzano, è il suo saio francescano, che ci ricorda un aspetto molto bello di Antonio tipicamente francescano: egli non si è mai preoccupato di nulla, perché sapeva che Dio aveva cura di lui. Egli ha vissuto in questo abbandono fiducioso alla Provvidenza, di Dio, ha creduto alla cura che Dio aveva di lui.
In preparazione alla festa di un santo è bello e soprattutto importante ricordare i momenti principali della sua vita, e lo è ancora di più per Antonio di Padova, considerato tra i santi più amati, popolari e venerati al mondo. Fernando di Buglione, questo è il suo nome di battesimo, nasce a Lisbona, il 15 agosto 1195, da nobile famiglia portoghese discendente dal crociato Goffredo di Buglione. A 15 anni è novizio nel monastero di San Vincenzo, tra i Canonici Regolari di Sant’Agostino, poi si trasferisce nel monastero di Santa Croce di Coimbra, il maggior centro culturale del Portogallo, dove studia scienze e teologia con ottimi maestri, preparandosi all’ordinazione sacerdotale che riceverà nel 1219, a 24 anni. Quando sembrava dover percorrere la carriera del teologo e del filosofo, decide di lasciare l’Ordine dei Canonici Regolari di Sant’Agostino anelando ad una vita religiosamente più severa. Il suo desiderio si realizza quando, nel 1220, giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare su mandato di Francesco d’Assisi.

Egli ammira il coraggio di questi giovani, e decise di spendersi per annunciare Gesù in mezzo a coloro che non lo conoscono ancora. Quando i frati del Convento di Monte Olivares arrivano per accogliere le spoglie dei martiri, egli confida loro la sua aspirazione di vivere nello spirito del Vangelo e chiede di poter andare in Marocco per continuare la missione dei frati martirizzati. Ottenuto il permesso dal Provinciale francescano di Spagna e dal Priore agostiniano di partire missionario in Marocco, Fernando entra nel romitorio dei Minori e fa subito la professione religiosa, mutando il nome in Antonio. Ma non era questa la volontà di Dio. Era la fine dell’anno 1220 quando Antonio s’imbarca su un veliero diretto in Africa, quando durante il viaggio viene colpito da una violenta febbre malarica e costretto a letto. Ci sono due versioni su cosa accadde successivamente. Secondo una prima versione, la malattia si protrae e i compagni lo convincono a rientrare in patria per curarsi. Secondo un’altra versione, Antonio non si fermò mai in Marocco: ammalatosi appena partito da Lisbona, la nave fu spinta da una tempesta direttamente in Sicilia, nella città di Messina, dove, curato dai francescani della città, in due mesi guarisce.
In occasione della Solennità della Pentecoste viene invitato al “capitolo generale di Assisi”, dove arriva con altri francescani nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, e lì ha la possibilità di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Lo incontrerà successivamente, il 30 maggio del 1221, in occasione della grande assemblea del Capitolo delle Stuoie. Il Ministro Provinciale dell’Ordine per l’Italia settentrionale gli propone di trasferirsi a Montepaolo, presso Forlì, dove era necessario un sacerdote per celebrare la Messa per i sei frati residenti nell’eremo. Per circa un anno e mezzo egli vive in contemplazione e penitenza, svolgendo le mansioni più umili, finché deve scendere con i confratelli in città, per assistere all’ordinazione di nuovi sacerdoti dell’Ordine; nella Chiesa di San Mercuriale predica alla presenza di una vasta platea composta anche dai notabili. Ad Antonio è assegnato il ruolo di predicatore e insegnante dallo stesso Francesco, che gli scrive una lettera raccomandandogli, però, di non trascurare la preghiera, elemento fondamentale per la vita religiosa e spirituale.
Comincia quindi a predicare nella Romagna. A Rimini non viene accolto bene, viene guardato con sospetto dalla popolazione. Allora si reca sulla spiaggia e invita i pesci a prestare attenzione alla Parola di Dio, che gli uomini non volevano ascoltare. Accadde un prodigio: un grande numero di pesci esce dal mare, si ammassa sulla riva per ascoltare il santo, e sembra dare segni di assenso con i movimenti della testa. Da allora molti riminesi iniziano a seguire con devozione i suoi meravigliosi Sermoni. A Rimini accade un altro episodio: un eretico lo sfida a dimostrare la reale presenza di Gesù nell’ostia consacrata. Una mula affamata, lasciata a digiuno per tre giorni, viene portata davanti ad un cesto di biada fresca, mentre Antonio porta un ostensorio con l’ostia consacrata. La mula ignora la biada, si inginocchia e abbassa la testa davanti all’ostia santa. Fu una grande lezione.
Antonio prosegue la sua predicazione nell’Italia settentrionale, è spesso chiamato “il martello degli eretici”, per la sua capacità di convertire gli eretici attraverso la predicazione e i miracoli. Antonio usa la sua parola per combattere l’eresia, catara in Italia e albigese in Francia, dove arriverà nel 1225.
Dal 1223 egli pone le basi della scuola teologica francescana, insegnando nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola. Quando è in Francia, tra il 1225 e il 1227, assume un incarico di governo come custode di Limoges. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate. Nel 1227 Francesco era morto da circa un anno, Antonio, come custode, partecipa al Capitolo generale di Assisi, dove il nuovo ministro dell’Ordine è Giovanni Parenti, quel provinciale di Spagna che lo accolse anni prima fra i Minori e che lo nomina Ministro Provinciale dell’Italia settentrionale, proseguendo nell’opera di predicazione. Il 13 giugno 1231 si trova a Camposampiero e, sentendosi male, chiede di rientrare a Padova, dove vuole morire: spirerà nel convento dell’Arcella. Antonio chiude gli occhi a 36 anni ed è proclamato santo a meno di un anno della morte. Un anno dopo la morte, infatti, la devozione dei padovani e la fama dei tanti prodigi compiuti, convinsero papa Gregorio IX a ratificare rapidamente la canonizzazione e a proclamarlo Santo il 30 maggio 1232, a soli 11 mesi dalla morte. Nel 1946 Pio XII lo ha proclamato “dottore della chiesa universale”, col titolo di Doctor Evangelicus.
È il processo di canonizzazione più breve della storia della Chiesa. Sulla sua tomba si moltiplicano i miracoli, tanto che Bonaventura da Bagnoregio, anche lui frate francescano, arriva a dire “chi vuole miracoli, vada da Antonio”. Dopo 32 anni dalla morte, nel 1263, presenziando alla traslazione del corpo di Sant’Antonio, fu lo stesso Bonaventura a trovare tra le ceneri riesumate, la lingua ancora intatta, che è lo strumento fisico della sua instancabile predicazione, la quale venne posta in un reliquario ed è conservata ancora oggi a Padova. È singolare il fatto che sia stata conservata la lingua: possiamo dire che è un invito ad usar bene la lingua, per trasmettere il bene, per dare una buona notizia, un incoraggiamento, per portare qualcuno al Signore, per evangelizzare, per annunciare il Signore.
Oltre ai suoi meriti come fine teologo francescano e predicatore, sant’Antonio è molto ricordato per i suoi miracoli, operati anche in vita, che lo hanno reso protettore dei poveri, degli affamati e degli oggetti smarriti; e ancora, esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba, o un piede, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato, rese innocui cibi avvelenati. L’espressione conosciuta “Troppa grazia sant’Antonio”, è nata perché un frate disse ad Antonio che desiderava una buona acqua nel convento dove tutto si stava seccando. Ebbene, Antonio pregò, e venne tanta acqua che allagò tutto il chiostro del convento. Infine, egli fu visto in più luoghi contemporaneamente, da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio.
Padova, con il suo forte legame con sant’Antonio, è un luogo di pellegrinaggio per i fedeli di tutto il mondo. Ogni anno la città si prepara a questo evento speciale.
Quest’anno ricorre la 19° edizione del Giugno Antoniano, il tema di quest’anno giubilare “Pellegrini di speranza con sant’Antonio”.
Il Giugno Antoniano 2025 ha il patrocinio del Comune di Camposampiero (PD) e del Progetto Antonio 800 della Provincia Italiana di S. Antonio di Padova ed è organizzato dal Comune di Padova, dalla Pontificia Basilica di S. Antonio, Provincia di S. Antonio di Padova dei Frati Minori Conventuali, Diocesi di Padova, Veneranda Arca di S. Antonio, Messaggero di sant’Antonio Editrice, Arciconfraternita di Sant’Antonio, Centro Studi Antoniani, Museo Antoniano, con la collaborazione di Ordine Francescano Secolare di Padova, Associazione Corsia del Santo – Placido Cortese, Associazione culturale Palio Arcella; alcuni contributi di banche e fondazioni e la media partnership con «Messaggero di sant’Antonio», «Messaggero dei Ragazzi», Telepace e Rete Veneta del Gruppo Medianordest.
Dal 23 maggio al 28 giugno si svolgono complessivamente 32 eventi culturali tra Padova, San Giorgio delle Pertiche e Camposampiero, oltre al tradizionale calendario spirituale con la “Tredicina a sant’Antonio”, che è iniziata sabato 31 maggio e termina giovedì 12 giugno, con pellegrinaggi dalle Diocesi del Veneto e sante messe ogni giorno, in vari orari.
Molto partecipata la sacra rappresentazione del Transito del Santo del 12 giugno. Un corteo storico racconta le ultime ore di vita del Santo con partenza quest’anno alle ore 20.45 dalla Chiesa di San Carlo Borromeo (via Guarneri, 22) fino al Santuario di S. Antonio d’Arcella. È la rievocazione storica degli ultimi momenti della vita di sant’Antonio, che sentendosi prossimo alla morte chiese ai confratelli di portarlo da Camposampiero nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini di Padova, antico nucleo di quella che divenne poi la Basilica del Santo. Il corteo arriverà al santuario arcellano, dove Antonio spirò, e da dove inizierà alle ore 21.30 il concerto delle campane della città di Padova, in collaborazione con le parrocchie cittadine e la Diocesi di Padova. È questo il momento che dà il via ufficiale alla Solennità del 13 giugno. Sempre il 12 giugno, dal tardo pomeriggio, sul sagrato della Basilica del Santo, avviene la preparazione dell’Infiorata a sant’Antonio con i maestri infioratori di Fucecchio (FI) e la possibilità da parte del pubblico di collaborare volontariamente alla sua realizzazione. Giovedì 13 giugno, Solennità di Sant’Antonio, la Basilica padovana resterà aperta dalle ore 5.30 alle 22:30 e saranno celebrate le Sante Messe quasi ogni ora, per agevolare i molti devoti attesi da tutto il mondo: alle ore 6.00 – 7.00 – 8.00 – 9.00 – 10.00 – 11.00 – 12.15 – 13.00 – 15.30 – 17.00 – 19.00 – 21.00.
In particolare alle ore 10:00, la Santa Messa sarà presieduta da S.E. Mons. Diego Giovanni Ravelli, Delegato Pontificio, alle ore 11.00, avrà luogo la Santa Messa Pontificale presieduta da S.E. Mons. Claudio Cipolla, Vescovo di Padova; e, alle ore 17.00, la Santa Messa Solenne presieduta dal Ministro Provinciale padre Giovanni Voltan, a cui seguirà, come tradizione, la Solenne Processione della Statua del Santo – già dall’inizio della Tredicina posizionata all’interno della Basilica, nella navata centrale – e delle sacre Reliquie (il mento e il dito del Santo), portata sul baldacchino lungo le strade del centro di Padova, con al seguito le autorità civili, militari e religiose, e la partecipazione di migliaia di fedeli. La Reliquia della lingua invece non viene trasportata fuori del Santuario, per le sue delicate condizioni, ma viene comunque venerata dai fedeli nella Cappella delle Reliquie.
Infine, anche quest’anno, su iniziativa del Comune di Padova, dal 10 al 13 giugno, Palazzo della Ragione e i Musei civici agli Eremitani, Palazzo Zuckermann, Museo del Risorgimento e dell’Età Contemporanea saranno a ingresso gratuito (è esclusa la Cappella degli Scrovegni). Un omaggio della Città del Santo ai molti devoti, cittadini e turisti che in quei giorni saranno a Padova.
Come sarebbe bello avere il testo di una sua omelia, di quando parlava, con quale modo sapeva affascinare gli uditori per portarli alla conversione, a commuoverli, a farli piangere per i propri peccati, come ci raccontano i suoi biografi. Come detto poc’anzi, anche Antonio parlava ai frati autorizzato dallo stesso Francesco.

La predicazione di Antonio si avvale della sua intelligenza, delle sue qualità oratorie, del suo intenso studio che aveva appreso dai padri della Bibbia nel Monastero portoghese della Santa Croce a Coimbra. Era un formidabile conoscitore dell’Antico e del Nuovo Testamento, tanto che Gregorio IX lo chiamò “arca dei testamenti”. Certamente le sue doti personali hanno contribuito a questa capacità di predicazione, ma come denotano i suoi “Sermones”, (Dom. IV di Avvento, n. 3, p. 925), c’è molto di più. “O Parola… che inebria il cuore, Parola dolce che conforta nella prova. – si Parola di beata speranza, o Parola, fresca acqua per l’anima assetata, gradito messaggero che porta liete notizie della terra lontana. Qui c’è il mormorio di una brezza leggera, l’ispirazione di Dio Onnipotente! …Ti scongiuro, o Signore, scenda sul tuo servo la tua Parola”. Il segreto del predicatore per Antonio è questo: desiderare prima di tutto questa Parola, come un assetato alla fonte, desiderare ardentemente la voce di Cristo, egli allora può annunciare veramente con la bocca la Parola di Dio, solo se nel cuore, dice Antonio, c’è anche l’unzione dello Spirito Santo.
Così, dice ancora Antonio usando una bella immagine musicale, “Quando l’arpista, (che per Antonio è lo Spirito Santo), che è il perfetto arpista di Israele, canta nel cuore del predicatore, allora scende sul predicatore stesso la mano del Signore, che infonde il dono della potenza, operando con lui in tutte le imprese alle quali metterà mano. Se questo divino arpista non canta per primo, la lingua del predicatore è muta”. Il predicatore è anche povero e silenzioso: povero, come Cristo fu povero, perché non ebbe dove posare il capo, se non sulla croce, dove piegato il corpo rese lo Spirito. Silenzioso, come Cristo, perché fu portato alla morte come agnello, e pur essendo maltrattato, non aprì la sua bocca. I veri predicatori sono coloro che si ritengono “minori” nell’assemblea dei fedeli, per poter essere degni di distribuire il Verbo nel Nuovo Testamento confermato nella morte di Gesù Cristo. E ancora, è fondamentale collegare lo studio con la preghiera: la preghiera prepara la predicazione e la conclude. Antonio, uomo della Parola di Dio di cui è plasmato, di cui è innamorato, di cui è profondo conoscitore, tanto da saperla spiegare in modo avvincente ai suoi frati e al popolo. Uomo della predicazione, uomo che è consapevole di essere “minores”, di farsi canale della grazia di Dio, di quel dialogo che Dio vuole intrattenere con l’uomo. Ed è anche uomo di preghiera, una preghiera totale, vocale e manuale, che sale dalla vita di ogni giorno, che si volge al povero, nel perdono, nella carità fraterna, perché chi opera il bene, prega a sua volta, e prolunga e completa la preghiera della mente e del cuore.
Vivere e annunciare la fede è sempre stato difficile; forse oggi, data la complessità del periodo storico che stiamo vivendo, lo è più che in altri tempi.
La famiglia è luogo primario di educazione alla vita comune e di trasmissione della fede. Al riguardo, papa Leone XIV, nella sua omelia al Giubileo delle famiglie, dei nonni e degli anziani, ha dichiarato che, proprio “nella famiglia la fede si trasmette insieme alla vita, di generazione in generazione: è condivisa come il pane sulla tavola e gli affetti del cuore. Questo la rende un luogo privilegiato per incontrare Gesù, che ci ama e vuole sempre il nostro bene”. E ha ricordato che “abbiamo ricevuto la vita prima ancora di desiderarla”. Come ha insegnato papa Francesco – egli ha continuato – “Siamo tutti figli, ma nessuno di noi ha scelto di nascere”.
Ha poi sottolineato che “il futuro dei popoli nasce dal cuore delle famiglie”. Questa omelia richiama le parole di papa Benedetto XVI, il quale affermava: “Nell’educazione e nella formazione alla fede, una missione propria e fondamentale, ed una responsabilità primaria, competono alla famiglia. I genitori infatti sono coloro attraverso i quali il bambino che si affaccia alla vita, fa la prima e decisiva esperienza dell’amore, di un amore che in realtà non è soltanto umano ma è un riflesso dell’amore che Dio ha per lui. Perciò, tra la famiglia cristiana, piccola “Chiesa domestica” (cfr Lumen Gentium, 11), e la più grande famiglia della Chiesa, deve svilupparsi la collaborazione più stretta, anzitutto riguardo all’educazione dei figli”.
Oggi si è verificata una rottura della catena della trasmissione della fede, dovuta a un cambiamento radicale delle popolazioni adulte.
Sant’Antonio, modello di vita cristiana, interceda per i nostri tempi. Il suo esempio di amore per Dio, di dedizione alla predicazione e di attenzione al prossimo, possa essere una fonte di ispirazione per le famiglie nel cammino di fede.
