Il sociologo Pira: “Pippo Baudo ci ha insegnato che la tv è uno strumento di coesione sociale”

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Conversazione con il professore dell’Università di Messina profondo conoscitore dei media: “lo conobbi a Marsala in Sicilia, fu un arricchimento personale e umano che porto con me”

Sabato 16 agosto, a Roma, al Campus Biomedico di Roma, all’età di 89 anni, Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo, detto Pippo, è morto. Muore nelle ore di un sabato sera, “in prima serata”, l’ora che per decenni era stato il suo appuntamento con la maggior parte di chi guardava la televisione. Se ne è andato in silenzio, come (quasi) in silenzio era stato negli ultimi anni. Nasce a Militello in Val di Catania, inserito con altri paesi del Val di Noto nel 2002 nella lista dei siti dell’Unesco e nel 2025 proclamato “borgo dei borghi”, il 7 giugno 1936. Nasce nella famiglia dell’avvocato Giovanni Baudo e dalla casalinga Innocenza Pirraccchio. Da bambino muove i primi passi sul palco del cinema-teatro “Tempio” del suo paese. Ama il teatro (legge e rappresenta Pirandello, Beckett), suona il pianoforte. Completa l’ultimo anno del Liceo Classico allo “Spedalieri” di Catania. Città dove conosce tra gli altri Tuccio Musumeci e intraprende gli studi universitari. La notte precedente alla discussione della Tesi di Laurea, prende parte in qualità di presentatore al concorso di bellezza “Miss Sicilia” che si tiene nei pressi di Ragusa. Si racconta che fece ritorno a Catania, all’alba, a bordo di un camioncino carico di frutta e verdura, raggiungendo in tempo la sede dell’università. La Tesi di Laurea che Baudo discute è un elaborato di ricerca chiesto al suo professore di Diritto del lavoro.

Il primo provino Rai è del 1960 svolto davanti a Antonello Falqui (grande regista, autore e direttore di “Studio Uno”) e Lino Procacci. La lunga e fortunata carriera di Baudo comincia con “Settevoci” grazie al quale gli viene affidato, nel 1968, per la prima volta, la conduzione del Festival di Sanremo, che dirige e conduce per ben 13 volte il Festival, l’ultima volta nel 2007. Negli anni Settanta eredita da Corrado Canzonissima. Sempre negli anni Settanta presenta il famoso varietà “Lunapark”, dove ad esempio, contribuisce al rilancio di Tina Turner ed è sempre in questo programma che in Italia conosciamo Heather Parisi. Negli anni Ottanta il programma di punta è “Fantastico” (con Heather Parisi, Lorella Cuccarini, Alessandra Martines, Tosca d’Aquino, ecc.). Ma non solo. Dal 1989 al 1997, e dal 2000 presidente, è stato direttore artistico del Teatro Stabile di Catania.

Uno dei talenti, una straordinaria capacità che tutti riconoscono a Pippo Baudo è quella di possedere intuito nell’individuare in persone sconosciute capacità e qualità non comuni. È stato uno scopritore di talenti, un ricercatore di talenti. Un fine osservatore in campo lavorativo, un grande lavoratore.

Con Francesco Pira, Professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Messina e profondo conoscitore dei media, vogliamo riflettere su cosa significa e cosa rappresenta esplorare, ricercare “talenti” in questa nostra società dove si afferma sempre più il trionfo dell’apparire sopra l’essere.

D.: Che cosa significa scoprire talenti? Quant’è importante in questa esplorazione partire dalla consapevolezza delle proprie capacità, dei propri talenti? Talento, non è solo, possedere competenze ma soprattutto avere consapevolezza di possedere un patrimonio interiore che permette di realizzare qualcosa di unico, qualcosa capace di differenziarci dagli altri. La Società Italiana di Sociologia (SIS), insieme al Centro Interdisciplinare per l’Aggiornamento (CAFRE) in collaborazione con la Ricerca Educativa dell’Università degli Studi di Pisa in questi anni sta realizzando un ambizioso progetto di ricerca denominato, appunto, “Talenti in fuga”, un progetto atto a valorizzare il grande patrimonio umano che in nostro Paese vanta e dall’altro frenare la cosiddetta “fuga dei cervelli”. La figura di Pippo Baudo cosa insegna?

R.: «Scoprire talenti, da una prospettiva sociologica, non è un semplice atto individuale, ma un processo complesso che coinvolge dinamiche sociali, culturali, educative e simboliche. Il talento, infatti, non si manifesta in un vuoto, ma si sviluppa, si riconosce e si valorizza all’interno di un contesto che ne permette la valorizzazione.

Individuare talenti significa, dunque, attivare uno sguardo competente e responsabile, capace di cogliere nelle biografie individuali quei tratti distintivi che, se opportunamente sostenuti, possono trasformarsi in valore per la collettività. La consapevolezza delle proprie capacità rappresenta il primo passo di questo percorso. Senza una coscienza di sé, senza un’identità costruita anche attraverso il riconoscimento sociale, il talento rischia di restare latente. Ecco perché la scoperta del talento è anche un processo relazionale, in cui entrano in gioco la scuola, la famiglia, i media, le istituzioni e tutte quelle agenzie che concorrono alla formazione del capitale umano. Il progetto “Talenti in fuga”, promosso dalla Società Italiana di Sociologia (SIS), in collaborazione con CAFRE e la Ricerca Educativa dell’Università di Pisa, si muove esattamente in questa direzione: da un lato, valorizzare il patrimonio umano e culturale che il nostro Paese possiede; dall’altro, contrastare la marginalizzazione di tanti giovani competenti e meritevoli, che spesso non trovano spazi per esprimersi e sono costretti a cercare altrove il riconoscimento che meritano. In questo scenario, la figura di Pippo Baudo, recentemente scomparso, rappresenta un modello emblematico. Non solo per la sua straordinaria carriera televisiva, ma soprattutto per la sua capacità unica di scoprire, credere e investire nel talento degli altri. Baudo ha incarnato quel raro connubio tra sensibilità culturale e responsabilità sociale: ha dato voce a nuove generazioni di artisti, intellettuali e comunicatori, contribuendo a costruire un’immagine dell’Italia come Paese capace di generare eccellenze. La sua attività, letta in chiave sociologica, ci insegna che il talento ha bisogno di essere riconosciuto, sostenuto, e messo in rete con una narrazione collettiva che lo legittimi. In un contesto sociale che spesso tende a omologare, Pippo Baudo ha saputo invece valorizzare la differenza, l’unicità, l’originalità, offrendo a molti giovani l’occasione di esprimersi. Oggi, mentre riflettiamo sulla fuga dei cervelli e sull’urgenza di trattenere i nostri migliori talenti, il lascito simbolico e culturale di Baudo ci invita a ripensare le nostre responsabilità collettive: chi scopre un talento, contribuisce a costruire il futuro. E per farlo, serve una società che sappia riconoscere la ricchezza umana delle persone prima ancora delle prestazioni, dei numeri o dei risultati».

D.: Durante i funerali, il padre spirituale dell’«uomo» Pippo Baudo, don Giulio Albanese, rivela che poco prima di morire gli confida che “il successo, e lui ne ha avuto tanto, non basta a riempire il cuore” Sempre durante i funerali la paradossale pagina evangelica delle Beatitudini rivela un altro aspetto umano e sociale di Baudo: il suo essere operatore di giustizia (“Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati”), capace di denunciare i soprusi della mafia. Cosa significa, quali messaggi, quali valori veicolano e trasmettono queste che non sono solo frasi ma atteggiamenti, consuetudini, frutti di anni di lavoro e di ricerca?

R.: «Le parole pronunciate durante i funerali di Pippo Baudo – sia quelle del suo padre spirituale, don Giulio Albanese, sia la scelta evangelica delle Beatitudini – non sono semplici ricordi o riflessioni personali, ma rappresentano indicatori simbolici, densi di significato sociale, culturale e valoriale. Sono, in sostanza, codici narrativi attraverso cui la società riconosce, celebra e trasmette il senso più profondo di una biografia pubblica che ha inciso sull’immaginario collettivo. Le parole di Baudo, che ammette come il successo non sia sufficiente a colmare il cuore, segnano un momento di vera presa di coscienza personale. Da un punto di vista sociologico, questo è un passaggio che smonta il paradigma del successo come unico indicatore di realizzazione personale e sociale. Al contrario, apre uno spazio di riflessione sul bisogno umano di pienezza relazionale, impegno etico e senso comunitario.

È un messaggio potente, che contrasta con la retorica dominante della performance e della visibilità a ogni costo. Ci ricorda che la costruzione del Sé non si esaurisce nei ruoli pubblici, ma si compie pienamente solo attraverso l’autenticità e l’impegno verso l’altro. La scelta delle Beatitudini, in particolare quella che recita “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia”, colloca Pippo Baudo in una dimensione etico-sociale. Non è solo il grande comunicatore, il talent scout infallibile, l’uomo dello spettacolo. È anche colui che ha usato la televisione – per decenni il cuore della comunicazione pubblica italiana – come strumento di denuncia e promozione di giustizia, come nel caso delle sue prese di posizione contro la mafia. Questo lo rende, a pieno titolo, un attore sociale consapevole, capace di interpretare la propria funzione pubblica come responsabilità collettiva. Le frasi evocate durante i funerali, quindi, non sono semplici ricordi affettivi, ma dispositivi comunicativi che attestano un modo di essere e di agire nel mondo. Sono espressione di atteggiamenti profondi, maturati nel tempo, che ci consegnano l’immagine di un uomo capace di tenere insieme umanità, coerenza e impegno civile. Dunque, i messaggi trasmessi in occasione della sua morte ci consegnano una figura stratificata, complessa, ma coerente, che ci interroga – come studiosi, educatori e cittadini – sul senso della comunicazione, sull’uso del talento e sul dovere di orientarlo verso il bene comune. In un’epoca in cui la spettacolarizzazione sembra svuotare i contenuti, Pippo Baudo rappresenta un esempio di comunicazione densa di senso, capace di costruire cultura, legittimare differenze, e promuovere giustizia».

D.: Pippo Baudo è stato un uomo capace di incidere nella vita di chi lo ha incontrato. Lei, professore Francesco Pira, ha avuto modo di conoscerlo. Cosa ricorda di quest’incontro e cosa le ha lasciato?

R.: «Ho avuto il privilegio di incontrare Pippo Baudo e di conoscerlo personalmente a Marsala dove presentava un Festival della Canzone. Altre volte lo incontrai in Rai. Quel giorno a Marsala, in quel Festival il grande Gino Paoli era il Presidente della Giuria, ed io ero Capo Ufficio Stampa a Video Music, fui nominato Presidente della Giuria della Critica. Mi chiese il mio rapporto con la musica e parlammo del talento di Giorgia che avevo visto per la prima volta in un locale del testaccio dove cantava con il papà e con il gruppo “Vorrei la pelle nera”. Con Gino Paoli invece parlammo di sentimenti e di amore.

Pippo Baudo era un uomo dotato di grande professionalità e di una passione autentica per il suo lavoro, che sapeva esattamente fino a dove spingersi per dare il meglio. Baudo ha scritto pagine fondamentali nella storia della televisione pubblica italiana, contribuendo non solo a definire un linguaggio televisivo, ma anche a costruire un immaginario collettivo che ha accompagnato intere generazioni. Una delle sue frasi che mi ha colpito profondamente, e che spesso ripeteva, è: “La

televisione non si fa con i numeri, ma con le emozioni”. Questa riflessione è ancor più rilevante oggi, in un’epoca dominata dalla rincorsa ai dati di audience e agli algoritmi, dove si rischia di perdere il valore umano e culturale della comunicazione. Pippo Baudo ci ha insegnato che il cuore del mestiere è saper emozionare, coinvolgere e raccontare storie che parlano alle persone, non solo inseguire risultati quantitativi. La sua eredità va ben oltre lo spettacolo: ci lascia un esempio di integrità, di responsabilità sociale e di amore per la comunicazione come strumento di cultura e coesione sociale. Personalmente, incontrarlo è stato un arricchimento personale e umano che porto con me come un insegnamento prezioso».

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